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Buona fede reati ambientali: l’ok del Comune non basta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8341/2024, ha annullato l’assoluzione dei responsabili di una società di raccolta rifiuti. I manager erano stati assolti dall’accusa di deposito incontrollato di rifiuti e molestie olfattive invocando la buona fede, poiché sostenevano di seguire le indicazioni del Comune committente. La Suprema Corte ha stabilito che la cosiddetta “buona fede reati ambientali” non può essere invocata quando l’indicazione proviene da un ente non competente a derogare le normative ambientali. Gli operatori professionali hanno un dovere di diligenza superiore che impone la conoscenza e il rispetto della legge, indipendentemente dalle istruzioni del cliente, anche se pubblico. Il caso è stato rinviato per un nuovo processo.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Buona fede reati ambientali: l’ok del Comune non basta a escludere la responsabilità

La gestione dei rifiuti è un settore delicato, dove le normative sono stringenti per proteggere ambiente e salute pubblica. Ma cosa succede se un’azienda viola la legge ambientale sostenendo di aver seguito le direttive del Comune che le ha appaltato il servizio? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8341/2024) fa luce sulla questione della buona fede reati ambientali, stabilendo principi molto chiari sulla responsabilità degli operatori professionali.

I fatti del caso: rifiuti in sosta su strada pubblica

Il caso riguarda i responsabili di una società incaricata del servizio di raccolta rifiuti per un Comune ligure. L’azienda era solita parcheggiare i camion carichi di rifiuti su una via pubblica, in attesa del loro trasbordo su mezzi più grandi destinati alla discarica. Questa pratica, protrattasi per mesi, causava notevoli disagi ai residenti: cattivi odori, rumori, dispersione di percolato sull’asfalto e proliferazione di insetti.

In primo grado, il Tribunale aveva assolto gli imputati dai reati di deposito incontrollato di rifiuti e di emissioni moleste. La motivazione? Gli imputati avrebbero agito in ‘buona fede’, ritenendo che quella soluzione operativa fosse stata indicata e avallata dall’Amministrazione comunale, la quale non aveva messo a disposizione un’area di trasbordo dedicata. Di fatto, il Tribunale aveva ritenuto scusabile il loro comportamento.

La questione della buona fede nei reati ambientali secondo la Cassazione

Il Pubblico Ministero ha impugnato la sentenza di assoluzione, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione. Il punto centrale del ricorso era proprio l’errata applicazione del concetto di buona fede. La Suprema Corte ha accolto l’appello, annullando la sentenza e rinviando il processo per un nuovo giudizio.

I limiti dell’errore scusabile

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per escludere la colpevolezza nelle contravvenzioni (reati per cui è sufficiente la colpa), l’errore sulla liceità della condotta deve essere inevitabile. L’inevitabilità, tuttavia, non deriva da una semplice ignoranza, ma deve essere determinata da un fattore esterno e positivo che abbia indotto l’agente in errore. Questo fattore può essere un atto della pubblica amministrazione competente o un orientamento giurisprudenziale univoco e costante.

Il ruolo (non competente) del Comune

Nel caso specifico, l’indicazione del Comune non poteva scusare la condotta illecita. Il Comune agiva come committente del servizio, non come autorità normativa in materia ambientale. Non aveva, quindi, alcun potere di derogare alle leggi nazionali che vietano il deposito incontrollato di rifiuti. Affidarsi alle indicazioni di un soggetto non competente non genera un affidamento legittimo e scusabile.

La diligenza dell’operatore professionale

Un altro aspetto cruciale sottolineato dalla Corte è il dovere di diligenza particolarmente rigoroso che grava sugli operatori professionali. Chi opera in un settore tecnico e normato come quello dei rifiuti ha l’obbligo di conoscere la legislazione vigente e di operare in conformità ad essa. Non può semplicemente delegare la verifica della legalità delle proprie azioni al committente, anche se si tratta di un ente pubblico.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte sono state nette. In primo luogo, l’assoluzione basata sulla buona fede è stata ritenuta errata perché l’affidamento degli imputati non era stato generato da un’autorità competente a dettare le regole in materia ambientale. Il Comune era un semplice cliente, non un legislatore. Pertanto, l’aver seguito le sue indicazioni operative non poteva giustificare la violazione di norme penali. In secondo luogo, la Corte ha censurato la decisione del primo giudice riguardo al reato di emissioni moleste (art. 674 c.p.), giudicando illogico considerare le emissioni come una ‘conseguenza ordinaria’ di un’attività che era, alla radice, svolta in modo illecito. Infine, è stata criticata l’esclusione immotivata dell’aggravante ambientale, poiché la condotta violava specifiche norme poste a tutela dell’ambiente (art. 177 D.Lgs. 152/2006) che impongono una gestione dei rifiuti senza pericoli per la salute e senza inconvenienti da rumori o odori.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutte le aziende che operano in settori regolamentati. La responsabilità penale è personale e il dovere di rispettare la legge non può essere aggirato invocando istruzioni o presunte autorizzazioni da parte di soggetti non competenti. La professionalità impone non solo di saper eseguire un servizio, ma anche e soprattutto di saperlo fare nel pieno rispetto delle norme, in particolare quando sono in gioco beni primari come l’ambiente e la salute pubblica. L’assenza di un’area dedicata fornita dal committente non è una valida giustificazione per trasformare la pubblica via in una stazione di trasbordo illegale.

È possibile giustificare un reato ambientale sostenendo di aver agito in buona fede su indicazione del Comune?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la buona fede, per escludere la colpa, deve derivare da un errore inevitabile causato da un atto di un’autorità competente a legiferare o interpretare la norma, non da un’indicazione operativa di un ente committente come il Comune.

Un’azienda che gestisce rifiuti può essere ritenuta responsabile anche se il Comune non le ha fornito un’area idonea per le operazioni?
Sì. La mancanza di un’area di trasbordo fornita dal Comune non autorizza l’azienda a violare la legge, ad esempio creando un deposito incontrollato su suolo pubblico. L’operatore professionale ha il dovere di eseguire il servizio nel rispetto delle norme ambientali, a prescindere dalle mancanze del committente.

Cosa si intende per “errore scusabile” nei reati contravvenzionali come quelli ambientali?
L’errore scusabile non è una semplice ignoranza della legge. Deve essere un’errata convinzione sulla liceità del proprio comportamento, indotta da un fattore esterno e oggettivo, come un provvedimento specifico della pubblica amministrazione competente o un orientamento giuridico consolidato, che abbia ingenerato un ragionevole e incolpevole affidamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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