Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 52113 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 6 Num. 52113 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Vibo Valentia il 20/01/1960
avverso l’ordinanza del 02/04/2019 del Tribunale di Catanzaro
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG, sost. NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilita del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Catanzaro ha applicato a NOME COGNOME la custodia cautelare in carcere per i delitti di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, con le aggravanti, tra le altre, della transnazionalità e dell’agevolazione mafiosa (capo 1 dell’incolpazione provvisoria), e di tentata importazione dall’estero di (capo 7), cocaina accogliendo l’appello proposto dal Pubblico ministero, a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 18 febbraio 2019, aveva disatteso la richiesta di misura cautelare avanzata dalla medesima autorità giudiziaria inquirente.
2. Con atto dei suoi difensori e procuratori speciali, COGNOME impugna per cassazione tale ordinanza, sulla base di quattro motivi.
2.1. Con il primo, deduce violazione di legge processuale, con riferimento al divieto di bis in idem cautelare.
La richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro era stata già presentata al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, dal Pubblico ministero presso quell’ufficio, unitamente alla richiesta di convalida del fermo di polizia giudiziaria disposto dalla medesima autorità inquirente (successivamente spogliatasi degli atti, trasmessi per competenza territoriale all’omologo ufficio di Catanzaro), e quel giudice l’aveva respinta, per difetto di gravità indiziaria.
L’ordinanza impugnata ha escluso l’identità delle due richieste, e quindi l’operatività di qualsiasi preclusione per quella successiva, sulla base di tre argomenti: a) la mancata disamina, da parte del tiudice di Milano, per problemi esclusivamente tecnici riguardanti i supporti informatici, di parte del materiale istruttorio a sua disposizione; ‘allegazione, a sostegno della successiva b) l richiesta, di elementi istruttori ulteriori e la formulazione, con essa, di nuov incolpazioni; c) l’esposizione, da parte dell’autorità inquirente catanzarese, di considerazioni volte a smentire gli argomenti del Giudice per le indagini preliminari di Milano.
Replica, tuttavia, il ricorrente che: ancata disamina, semmai tale, ad a) la m opera del G.i.p. di Milano, di parte del materiale istruttorio comunque non esclude che si tratti dello stesso compendio posto a fondamento anche della successiva richiesta, la quale, pertanto, non poggerebbe su nuove e diverse allegazioni; inoltre, l’ordinanza impugnata non indicherebbe quali elementi il primo giudice non avrebbe esaminato né l’eventuale rilevanza decisiva degli stessi ai fini di un diverso giudizio; né, ancor meno, darebbe conto di acquisizioni
nuove o sopravvenute; b) gli elementi istruttori sopraggiunti e le ulteriori incolpazioni formulate con la seconda richiesta riguardano altri indagati, non Campisi; c) le considerazioni critiche verso il provvedimento del G.i.p. di Milano, peraltro relative soltanto alle questioni tecniche sulla consultazione dei supporti informatici e non anche al merito della decisione, non rappresentano allegazioni diverse ed ulteriori, e, in ogni caso, avrebbero dovuto essere formulate con le impugnazioni previste dalla legge, non mediante la reiterazione della richiesta ad altro giudice.
1.2. Con il secondo motivo, il ricorso denuncia la violazione delle norme processuali sulla competenza per territorio, che non spetterebbe al Tribunale di Catanzaro.
Considerando, infatti, quale reato più grave quello associativo, e sia che si voglia individuarne il luogo di consumazione in quello di perfezionamento del patto o in quello in cui il sodalizio ha concretamente iniziato ad operare, oppure ancora in quello in cui si sono realizzate la programmazione, l’ideazione e la direzione delle relative attività criminose, comunque detta competenza dovrebbe attribuirsi al Tribunale di Milano, poiché nel relativo circondario si sono manifestati tutti quegli accadimenti.
La diversa opinione del Tribunale, invece, che ha valorizzato il luogo in cui detta associazione sarebbe sorta, si fonda sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che comunque non sarebbero conferenti, poiché riguardano un periodo significativamente antecedente a quello dedotto con l’incolpazione.
Inoltre, identica sarebbe la conclusione, per il profilo in esame, pure nell’ipotesi in cui si ritenesse non determinabile il luogo di consumazione del delitto associativo, dovendo aversi riguardo, in tal caso, a quello del primo, in ordine di tempo, dei reati in via gradata più gravi, che sarebbero quelli, rispettivamente, di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, rubricati ai capi 8) e 9) ed anch’essi commessi nel circondario di Milano.
1.3. Il terzo motivo contesta, sotto il profilo sia della violazione della legg penale e processuale di riferimento che dell’insufficienza della motivazione, la ritenuta sussistenza di un quadro di gravità indiziaria, evidenziandosi l’incongruenza cronologica tra i fatti narrati dai collaboranti e le condotte delittuose ipotizzate, nonché, con precipuo riferimento al fatto di cui al capo 7), la non configurabilità del tentativo punibile, in quanto si tratterebbe, al più, atti meramente preparatori.
1.4. Con il quarto motivo, si deducono violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari. Il Tribunale avrebbe fondato la sua decisione, per questa parte, esclusivamente
sulla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., genericamente valorizzando la gravità dei fatti ed i precedenti penali dell’indagato, peraltro non di tipo associativo, ma trascurando che, negli atti d’indagine relativi all’anno 2018, non si rinviene alcun riferimento a costui: dato, quest’ultimo, secondo la difesa ricorrente, idoneo a vincere l’anzidetta presunzione nonché contrastante con il requisito dell’attualità di tali esigenze.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso dev’essere respinto, perché nessuno dei motivi è fondato.
2. Riguardo al primo, mancano i presupposti di fatto del denunciato bis in idem cautelare. Per come riportata dallo stesso ricorrente, infatti, la sequenza procedimentale è stata la seguente:
30 gennaio 2019: ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Milano di non convalida del fermo di polizia giudiziaria e di rigetto della richiesta di misura cautelare avanzata dal Pubblico ministero presso quell’ufficio, per carenza di gravità indiziaria;
7 febbraio: quel Pubblico ministero interpone appello, ai sensi dell’art. 310, cod. proc. pen., al Tribunale di Milano;
8 febbraio: lo stesso Pubblico ministero si spoglia del procedimento e trasmette gli atti, per competenza territoriale, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro;
· 15 febbraio: nuova richiesta di misura cautelare, da parte di quest’ultimo ufficio;
18 febbraio: rigetto di tale richiesta da parte del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro, per carenza non di gravi indizi, bensì di esigenze cautelari;
· 28 febbraio: il Pubblico ministero di Catanzaro appella la relativa ordinanza, ai sensi dell’art. 310, cod. proc. pen., al Tribunale di quella città;
· 12 marzo: il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare, dichiara inammissibile l’impugnazione proposta dal Pubblico ministero presso quell’ufficio il 7 febbraio, poiché ritiene che sia venuto meno, medio tempore, l’interesse all’impugnazione, in ragione dell’intervenuta pronuncia del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro del 18 febbraio;
· 2 aprile: il Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza oggetto del presente ricorso, accoglie l’appello cautelare avanzato il 28 febbraio dal Pubblico ministero presso quell’ufficio.
Dunque, al momento della presentazione della seconda richiesta di misura cautelare, quella, ossia, del Pubblico ministero di Catanzaro, avanzata il 15 di febbraio, il provvedimento di rigetto della prima richiesta analoga, proposta dall’omologo ufficio milanese, era ancora sub judice, e perciò non poteva essersi formato, sullo stesso, alcun giudicato cautelare.
Né tale effetto preclusivo può riconnettersi alla successiva declaratoria d’inammissibilità dell’appello cautelare da parte del Tribunale di Milano, intervenuta il 12 marzo, poiché quei giudici non si sono pronunciati sul merito della domanda cautelare, e quindi sui presupposti della misura richiesta, bensì si sono limitati ad una decisione di natura meramente procedinnentale, basata su rilievi di natura esclusivamente formalC oltre che pressoché obbligata.
Nessun bis in idem cautelare, dunque, si è verificato per effetto della pronuncia oggetto di ricorso.
3. Anche l’eccezione d’incompetenza territoriale, di cui al secondo motivo di ricorso, non è fondata.
In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (in tal senso, tra moltissime altre, Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Rv. 272185).
L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio, rilevando come l’associazione di che trattasi rappresenti emanazione della cosca di ‘ndrangheta della famiglia COGNOME, operante nel territorio di Vibo Valentia, o sia comunque contigua a questa. A sostegno di tale assunto, il Tribunale ha valorizzato: a) le esplicite affermazioni in tal senso del collaboratore di giustizia COGNOME; b) una conversazione intercettata il 26 febbraio 2018 tra tali COGNOME e COGNOME, intranei anch’essi a quei contesti, i quali ribadiscono lo stretto e perdurante legame tra NOME COGNOME COGNOME, vertice del sodalizio, e la famiglia COGNOME; c) le concordi dichiarazioni di NOME COGNOME, figlio di uno dei maggiorenti della cosca, che ha di recente avviato anch’egli una collaborazione con la giustizia; l coinvolgimento, negli affari illeciti della d) i consorteria, di soggetti tutt’ora operanti in Calabria, quali NOME COGNOME nelle vesti di uno dei principali finanziatori, e NOME COGNOME fratello del capo NOME COGNOME e del suo braccio destro NOMECOGNOME dai quali acquistava lo stupefacente che poi distribuiva nel territorio calabrese, dove, a differenza dei fratelli, continua a vivere ed operare.
Si tratta di elementi non controversi nella loro consistenza in fatto e che, complessivamente valutati, rendono la decisione del Tribunale sul punto
logicamente lineare, oltre che rispettosa del disposto dell’art. 8, comma 3, cod. proc. pen., in tema di reati permanenti.
La contraria tesi difensiva non è idonea a disarticolare l’illustrato percorso argomentativo, fondandosi esclusivamente sull’inattualità delle dichiarazioni di COGNOME, tuttavia superata dalle ulteriori risultanze istruttorie anzidette, sulle qua il ricorso sorvola; e su aspetti, quale quello della rilevanza della piazza milanese e lombarda per tali traffici, che però attengono specificamente ai reati-scopo.
4. Il terzo motivo di ricorso è del tutto generico, nella parte in cui lamenta l’insufficienza della motivazione sul capo relativo alla gravità indiziaria per delitto associativo, limitandosi ad una mera manifestazione di dissenso, in alcun modo motivata.
E’ manifestamente infondato, invece, là dove deduce analogo vizio in ordine al tentativo d’importazione di stupefacente, rubricato al capo 7) dell’incolpazione.
Emerge dettagliatamente dalla motivazione, infatti, attraverso elementi di prova sostanzialmente incontroversi, che la trattativa per l’importazione era giunta praticamente sino alle soglie dello scambio merce-prezzo, con viaggi all’estero da parte di altri concorrenti al fine di intrattenere contatti diretti co intermediari, e con COGNOME che aveva procurato parte della provvista del denaro necessario: una transazione che poi non si è concretizzata, ma soltanto per motivi esterni alla volontà delle parti (pagg. 20-27, ordinanza).
Ebbene, integra il tentativo di importazione di sostanze stupefacenti la condotta che, collocandosi in una fase antecedente all’acquisto della proprietà della droga destinata ad essere trasferita nel territorio nazionale, si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che – per la natura, qualità ed il numero dei contatti intervenuti – i contraenti abbiano riposto concreto affidamento (Sez. 3, n. 29655 del 29/01/2018, Rv. 273717; v. pure Sez. 3, n. 7806 del 15/11/2017, Rv. 272446, in un’ipotesi, analoga a quella in esame, caratterizzata da numerosi contatti telefonici fra i potenziali acquirenti per il finanziamento dell’operazione, da trasferte all’estero e da incontri con gli intermediari).
5. Anche l’ultimo motivo di ricorso, attinente alla valutazione in punto di esigenze cautelari, è manifestamente destituito di fondamento.
Non è vero, infatti, che il Tribunale, per questa parte, si sia limitato richiamare l’operatività – pur irrefutabile – della presunzione di cui all’art. 2 comma 3, cod. proc. pen., né che abbia valorizzato soltanto i precedenti penali dell’indagato, tuttavia anche specifici (per associazione finalizzata al traffico
stupefacenti) e comunque gravissimi, come quello per omicidio volontario, per il quale egli risulta essere stato detenuto da ottobre del 1992 a maggio del 20 L’ordinanza impugnata, infatti, ha posto altresì in evidenza l’immediata ripresa attività delittuose, da parte del COGNOME, non appena questi è stato ammesso lavoro all’esterno, e quindi a pena ancora in corso (pagg. 29 s.).
Elndiscutibile, allora, che il dato generico dell’assenza di riferimenti a nei dialoghi intercettati tra gli indagati nel corso del 2018 ed il lasso tem piuttosto ristretto di tale “silenzio” non possono superare l’anzidetta presunz legale, occorrendo, a tal fine, l’allegazione di elementi specificam concludenti.
6. Al rigetto del ricorso consegue obbligatoriamente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del proponente al pagamento delle spese d giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28, reg. esec. C proc. pen..
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.