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Beni culturali: reato anche senza dichiarazione formale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un soggetto per l’omessa denuncia di trasferimento di reperti archeologici, qualificabili come beni culturali. La Corte ha stabilito che la qualifica di bene culturale non richiede necessariamente un preventivo provvedimento amministrativo, essendo sufficiente il suo valore intrinseco. Inoltre, ha chiarito che la nuova normativa sui reati contro il patrimonio culturale (L. 22/2022) si pone in continuità con la precedente, senza abolire il reato.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Beni culturali: quando la vendita è reato anche senza la dichiarazione di interesse

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30653 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per la tutela del nostro patrimonio: la qualificazione dei beni culturali e gli obblighi di denuncia a carico dei privati. La decisione ribadisce un principio fondamentale: per commettere il reato di omessa denuncia di trasferimento, non è necessaria una preventiva dichiarazione di interesse culturale da parte della Soprintendenza. Conta il valore intrinseco del bene.

I fatti del caso

Il caso ha origine dalla condanna di un privato per il reato previsto dall’art. 173 del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). All’imputato veniva contestata l’omessa denuncia degli atti di trasferimento della proprietà e della detenzione di alcuni reperti archeologici. La Corte di Appello di Bari aveva confermato la sentenza di primo grado.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. La violazione dell’art. 173, sostenendo che tale norma fosse stata abrogata dalla Legge n. 22 del 2022, che ha introdotto nuovi reati in materia nel codice penale.
2. La mancanza di una risposta da parte della Corte d’Appello sul punto decisivo secondo cui i reperti non erano mai stati formalmente qualificati come beni culturali attraverso un procedimento amministrativo.

Le motivazioni della Cassazione sui beni culturali

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato, e ha fornito importanti chiarimenti.

Sulla successione delle leggi penali

In primo luogo, i giudici hanno escluso che la nuova legge avesse abolito il reato. Hanno invece ravvisato un’ipotesi di “continuità normativa”. La Legge n. 22 del 2022 ha trasferito i delitti contro il patrimonio culturale dal codice di settore (D.Lgs. 42/2004) al codice penale (introducendo, tra gli altri, l’art. 518-novies c.p.), inasprendo anche le pene. Tuttavia, la condotta di chi aliena o trasferisce beni culturali senza la prescritta autorizzazione o denuncia rimane un illecito penale. Si tratta di un classico caso di abrogatio sine abolitione, in cui la fattispecie non cessa di esistere ma viene solo ricollocata e ridefinita. Le pene più severe, ovviamente, non possono essere applicate retroattivamente.

L’approccio sostanziale alla nozione di bene culturale

Il punto centrale della sentenza riguarda il secondo motivo di ricorso. La Cassazione ha ribadito con forza il proprio orientamento, definito “sostanziale”, in merito alla nozione di bene culturale. Secondo la Corte, per integrare il reato non è necessario che i beni siano stati oggetto di una previa dichiarazione di interesse culturale da parte dell’autorità amministrativa. È sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive del bene stesso, come la tipologia, la rarità o l’interesse archeologico.

L’obbligo di denuncia, previsto dall’art. 59 del D.Lgs. 42/2004, è finalizzato proprio a permettere allo Stato di venire a conoscenza dell’esistenza e della circolazione dei beni culturali, anche di quelli non ancora formalmente “dichiarati”. Si tratta di un reato di pericolo, volto a tutelare non solo la conservazione materiale del patrimonio, ma anche l’interesse pubblico alla sua individuazione. Attendere una dichiarazione formale renderebbe la norma inefficace, poiché lo Stato non potrebbe proteggere ciò di cui non conosce l’esistenza.

La Corte ha specificato che la nozione di “testimonianze aventi valore di civiltà”, contenuta nell’art. 2 del Codice, costituisce una formula di chiusura che permette di proteggere anche il patrimonio “reale”, ossia quei beni dotati di un valore intrinseco, a prescindere dal riconoscimento formale.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza per la protezione del patrimonio culturale italiano. Chiunque detenga, trasferisca o alieni oggetti di evidente interesse artistico, storico o archeologico è tenuto a rispettare gli obblighi di legge, primo fra tutti quello di denuncia. Affidarsi alla mancanza di un “bollino” formale da parte della Soprintendenza non è una scusante valida. La responsabilità penale sorge dal valore oggettivo del bene, un valore che il detentore non può ignorare. Questa interpretazione garantisce una tutela ampia ed efficace, coerente con il principio costituzionale (art. 9 Cost.) che affida alla Repubblica la salvaguardia del patrimonio storico e artistico della Nazione.

È necessario un provvedimento formale della Soprintendenza per qualificare un oggetto come bene culturale ai fini penali?
No. Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente che il bene possieda caratteristiche oggettive intrinseche di interesse artistico, storico o archeologico. L’obbligo di denuncia sorge per tutelare anche il patrimonio culturale “reale” non ancora formalmente dichiarato.

La nuova legge sui reati contro il patrimonio culturale (L. 22/2022) ha depenalizzato l’omessa denuncia di trasferimento di beni culturali prevista dal D.Lgs. 42/2004?
No. La Corte ha stabilito che si tratta di un caso di “continuità normativa”. La condotta è ancora reato, ma ora è disciplinata dall’art. 518-novies del codice penale. Il reato non è stato abolito, ma solo trasferito nel codice penale, con un inasprimento delle sanzioni non retroattivo.

Perché l’omessa denuncia di un bene culturale è considerata un reato anche senza una previa dichiarazione di interesse?
Perché si tratta di un reato di pericolo. La norma non tutela solo la conservazione fisica del bene, ma anche l’interesse primario dello Stato a conoscere l’esistenza e la circolazione dei beni che compongono il patrimonio culturale nazionale, al fine di poter esercitare le proprie funzioni di tutela.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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