Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36936 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36936 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a ALBA il DATA_NASCITA
Parte civile:
Curatela Fallimentare RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 30/01/2025 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Torino confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Asti del 9.05.2024, che condannava NOME COGNOME, alla pena ritenuta di giustizia, per i reati di aggravamento del dissesto e di bancarotta documentale semplice, ex art. 224, 217, comma 1, n.4, e co.2, e 219, co.2, L. Fall., perché, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento, dichiarato solo il 7.06.2019, aggravava il dissesto della
società, già manifestatosi alla chiusura dell’esercizio relativo al l’anno 2016, per erosione e perdita del patrimonio netto, nonché di bancarotta documentale semplice, perché teneva i libri e le altre scritture contabili obbligatorie in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari.
Contro l’anzidetta sentenza, l ‘ imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, affidato a due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge in relazione all’art. 521 cod. proc. pen.
Si deduce difetto di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto la sentenza impugnata fonda la responsabilità dell’imputato , per la bancarotta documentale semplice, sull’omessa tenuta del libro giornale degli anni 2016 e 2017, non contestata nell ‘ imputazione.
Si deduce carenza di motivazione sul rilevato contrasto tra la relazione del curatore (che fa riferimento alla non puntigliosa compilazione della contabilità di cantiere) e quella del consulente del PM (che rappresenta la omessa consegna del libro giornale degli anni 2016 e 2017), in punto di documentazione societaria vagliata, nonché il difetto di prova della omessa tenuta del libro giornale degli anni 2016 e 2017.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta vizi motivazionali, in punto di elemento soggettivo del reato di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, per ritardo nella richiesta del fallimento nella misura di euro 274.006, nonostante la perdita del patrimonio netto non irreversibile al 31.12.2016.
Si deduce la illogicità della motivazione della sentenza impugnata, che integra quella di primo grado, secondo la quale le criticità contabili costituiscono una sopravvalutazione delle rimanenze, finalizzate a mascherare il dissesto. La Corte territoriale non avrebbe valutato il motivo d’appello sull’elemento soggettivo , ossia sulla valutazione della scelta dell’amministratore (consigliata dal commercialista) di non emettere fatture nei confronti di due creditori (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), in condizioni di impossibilità di pagamento da parte di questi ultimi, scelta dettata dal fine di evitare il maggior costo dell’anticipazione dell’ IVA da parte della società
fallita.
Il difensore ha depositato memoria conclusiva, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso. Il procuratore Generale ha concluso come precisato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato.
Deve, in primo luogo, rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01; Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base dell’appello, l’iter motivazionale della sentenza di primo grado per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed esaminato le censure svolte. I giudici di merito hanno ricostruito nel dettaglio tutte le vicende societarie sulla base delle prove acquisite nel corso delle indagini preliminari e ne hanno dato atto con motivazione precisa, congrua e priva di illogicità, tantomeno manifesta, peraltro in doppia conforme.
2.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Esso è meramente reiterativo di doglianze prospettate e disattese dalla Corte di merito con motivazione congrua ed immune da vizi e censure.
A questo riguardo, giova precisare che la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta, prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione
e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, COGNOME, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, Cantoro, Rv. 264673). Ed è innegabile -né lo nega il ricorrente -che, nel corso dell’intero procedimento l’imputato ha avuto la possibilità di difendersi rispetto alla contestazione della omessa consegna del libro giornale degli anni 2016 e 2017.
Nella specie, la Corte d’appello ha correttamente evidenziato che l ‘ imputazione aveva ad oggetto le scritture contabili obbligatorie per legge e ha richiamato l’obbligo dell’imprenditore di tenuta delle scritture contabili obbligatorie, nelle quali rientra senza dubbio il libro giornale.
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda.
In ogni caso , al di là del riferimento, nel capo d’imputazione, a tutte le scritture contabili obbligatorie, già nel giudizio di primo grado era emerso che al curatore non erano stati consegnati i libri giornale per gli anni 2016 e 2017, ma soltanto le schede contabili, come sostanzialmente evidenziato dallo stesso ricorrente a pag. 7 dell’atto di ricorso, con la conseguenza che non vi è stato alcun pregiudizio del diritto di difesa.
Quanto alla mancata consegna del libro giornale per gli anni antecedenti al 2018, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ( ex multis , Sez. 5, Sentenza n. 18482 del 22/03/2023 Rv. 284514 -01) ritiene realizzata la consumazione del reato di bancarotta semplice documentale a prescindere dalla possibilità di ricostruire la contabilità aziendale attraverso documenti diversi da quelli prescritti dalla legge (il riferimento, a pag. 7 del ricorso, è alle ‘schede contabili’ prodromiche alla stesura del libro giornale).
2.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
2.2.1 La fattispecie incriminatrice contestata è descritta dalla L. Fall., all’ art. 217, comma 1, n. 4, nella condotta dell’imprenditore che «ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa».
Il delitto di bancarotta semplice da mancata tempestiva richiesta di fallimento mira ad evitare che l’esercizio continuato dell’impresa, anche a fronte di una situazione di obiettiva impossibilità di far fronte alle proprie obbligazioni, possa prolungare lo stato di perdita.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, per l’integrazione della fattispecie, è richiesto tale coefficiente soggettivo, superando, così, le difficoltà interpretative legate all’ambiguità della norma, che vede l’indicazione della «altra colpa grave» dopo quella della mancata richiesta di fallimento, così apparentemente contrassegnando solo le condotte diverse da quella della mancata richiesta del fallimento in proprio; si è escluso, di contro, che tale coefficiente soggettivo sia insito nello stesso ritardo nella richiesta di fallimento in proprio, sì da non doverlo accertare aliunde , negandosi la sussistenza di una presunzione in tal senso (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, COGNOME, Rv. 272823; Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, COGNOME, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, COGNOME e altri, Rv. 257533). La sentenza COGNOME, in particolare, ha precisato che «non è difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della senza dubbio grave decisione dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato ad una vasta gamma di dinamiche gestionali; che si estende dall’estremo dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse. L’eterogeneità di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella più intensa dimensione della colpa. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, è ancora troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave; dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato».
Deve, altresì, rammentarsi che l’aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma primo, n. 4, deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita. L’elemento psicologico della colpa grave può essere desunto, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma in concreto, attraverso la dimostrazione di una consapevole omissione (Sez. 5, Sentenza n. 18108 del 12/03/2018, Rv. 272823 -01; Sez. 5, Sentenza n. 118 del 26/10/2021, dep. 2022, Rv. 282729 -01; Sez. 5, Sentenza n. 18677 del 08/02/2021, Rv. 281042 – 01).
2.2.2 Tanto premesso, nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre in buona parte le censure dedotte in appello, difettando di adeguata critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ragioni
della loro decisività rispetto al percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME e altri, Rv. 254584).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, lungi dal far discendere la sussistenza di colpa grave a carico dell’imputato dalla mera circostanza del ritardato deposito della domanda di fallimento, ha dato compiuta prova degli elementi da cui desumere la piena conoscenza da parte dell’imputato dello stato di decozione in cui versava l’impresa; elementi da cui si evince come NOME COGNOME ha potuto adeguatamente rappresentarsi preventivamente che la sua scelta di ritardare la presentazione dell’istanza di dichiarazione di fallimento ben poteva determinare un aggravamento del dissesto.
Il principio sopra ricordato è stato rispettato e la Corte ha puntualmente motivato, alle pagine 5-6-7 della sentenza impugnata, in ordine alla gravità della colpa che aveva sorretto psicologicamente l’azione dei NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha dapprima ricordato le dichiarazioni del curatore fallimentare, nonché quelle del consulente contabile che evidenziavano la sussistenza di un andamento negativo della società sin dal 2016 e la difficoltà a fronteggiare le sue obbligazioni, nonché ha conferito rilievo allo specifico ruolo preminente nella società rivestito dall’imputato sin dalla sua costituzione.
La Corte d’appello, sulla base della ricostruzione operata dal consulente tecnico della pubblica accusa e della relazione del curatore, ha individuato la colpa grave negli artifici contabili realizzati nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE, al fine di non fare emergere il dissesto della società amministrata dal ricorrente e le inadempienze della società committente, RAGIONE_SOCIALE, facente capo all’imputato, allo scopo di evitare il fallimento di entrambe le società.
RAGIONE_SOCIALE lavorava su commesse de RAGIONE_SOCIALE in diversi cantieri; RAGIONE_SOCIALE ( che faceva capo al 70% all’odierno imputato e al 30% a sua moglie) dal 2016 al 2019 aveva intrattenuto rapporti continuativi con RAGIONE_SOCIALE, ma sin da luglio 2017 non era più in grado di onorare le proprie obbligazioni (tanto che veniva dichiarata fallita nel 2020, su iniziativa del curatore di RAGIONE_SOCIALE); i rapporti tra le due società avevano ad oggetto la realizzazione di villette per civile abitazione; l’imputato, nella duplice veste di appaltatore e committente, sottoscriveva i relativi contratti.
La Corte d’appello ha ritenuto che gli artifici contabili attuati dall’imputato hanno violato il principio generale contabile OIC 23, c.d. della commessa completata, che disciplina, in occasione dell’esecuzione di appalti di durata pluriennale, l’annotazio ne in contabilità alla chiusura di ogni esercizio delle partite di dare e avere, nell’attivo , come ‘rimanenze’, di costi sostenuti fino a quel momento, e nel passivo, come ‘anticipi’, di somme ricevute in acconto, sui lavori ed oggetto di fatturazione.
Al completamento della commessa, il risultato complessivo viene contabilizzato come ‘ricavi’ ed è dunque nel corso dell’esercizio in cui si completano i lavori che il risultato operativo emerge dal conto economico.
Nella specie, i giudici di merito hanno correttamente inquadrato gli artifici contabili, attuati al fine di impedire l’emersione della situazione di grave difficoltà economica della RAGIONE_SOCIALE che affondava le sue radici già nel 2016 in termini di sopravvalutazione delle rimanenze.
Con riguardo ai rapporti con la società RAGIONE_SOCIALE, gli artifici contabili consistevano nella impropria annotazione, a nticipando l’iscrizione a ricavi, nell’anno 2017, di somme (euro 239.332,06), dovute da lla RAGIONE_SOCIALE, non maturate con certezza, in contrasto con il principio della c.d. commessa completata e con i criteri di prudenza, che devono improntare le valutazioni di bilancio.
La Corte d’appello, con motivazione immune da vizi di illogicità, ha ritenuto le annotazioni contabili non veritiere, perché non rispondenti alle rimanenze riportate in bilancio alla fine dell’esercizio, pari ad euro 341.395,00, a fronte di quelle contabili che ammontavano ad euro 102.602,94, differenza correttamente ritenuta virtuale e volta ad abbellire il dato contabile che sarebbe stato negativo.
Sul punto, le deduzioni difensive, che tendono a spiegare le operazioni contabili di cui sopra con la scelta della omessa fatturazione nei confronti della committente, come suggerita dal commercialista della fallita, allo scopo di evitare il maggior costo dell’anticipazione dell’IVA su fatture, che sarebbe stato difficile incassare, sono infondate.
Gli artifici contabili in questione, infatti, correttamente riscontrati dai giudici di merito, sussistono a prescindere dal tema della mancata emissione di fatture, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, mentre l’omessa fatturazione è stata ragionevolmente considerata dalla Corte di merito nel quadro dei complessivi rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ciò allo scopo di fare da scudo alle sorti della abituale committente, RAGIONE_SOCIALE, direttamente controllata dall’imputato.
Prive di rilievo, tenuto conto del ruolo di primo piano ricoperto dall’imputato nella società fallita, sono le deduzioni difensive che intendono attribuire responsabilità al consulente contabile della difesa, perché l’imprenditore non può scaricare sui propri consulenti le personali responsabilità gestorie.
Quanto ai rapporti con RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente deduce che non vi sarebbe stata una sopravvalutazione delle rimanenze, come ritenuto dai giudici di merito, ma, anche in questo caso, una omessa fatturazione.
Nella specie, con motivazione immune da vizi e censure, i giudici di merito, facendo proprie le considerazioni del consulente contabile del pubblico ministero,
hanno rilevato che, nel bilancio al 31.12.2016, si riscontravano rimanenze relative allo stato di avanzamento lavori del cantiere RAGIONE_SOCIALE per oltre euro 131.000,00, a fronte di anticipazioni ricevute per euro 31.851,00. L’operazione è stata correttamente ritenuta anomala ed economicamente incomprensibile in quanto poco plausibile che una società, già in situazione di difficoltà economica, possa avere affrontato costi per un cantiere a fronte di anticipi minimi da parte del committente.
Peraltro, l’anomalia dell’operazione ha trovato riscontro nella circostanza che , nell’esercizio contabile successivo, al completamento dell’opera, alla voce ricavi, è stata annotata solo la stessa somma che, nell’anno precedente, era stata indicata per acconti ricevuti. In sostanza, sarebbe stata gestita una commessa evidentemente in perdita, e ciò ha condotto i giudici di merito, tenendo conto della situazione di difficoltà economica della RAGIONE_SOCIALE, a ritenere che l’unica spiegazione ragionevole non potesse che essere individuata nella sopravvalutazione delle rimanenze per un importo di quasi euro 100.000,00, per abbellire il risultato del bilancio al 31 dicembre 2016.
Al riguardo, la motivazione che ha ritenuto ‘poco plausibile’ la sussistenza di un’ipotesi di sottofatturazione , proprio per le condizioni economico-finanziarie in cui si trovava la società, è immune da vizi e censure.
Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che lo scopo degli artifici contabili fosse quello di non fare emergere il dissesto della RAGIONE_SOCIALE in modo da c onsentire la prosecuzione dell’attività che ha , però, condotto ad un aggravamento del dissesto.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 10/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME