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Bancarotta semplice: la responsabilità del prestanome

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta semplice documentale a carico di un’amministratrice di una società fallita, chiarendo che anche un amministratore ‘prestanome’ è responsabile per l’omessa tenuta delle scritture contabili. La Corte ha stabilito che l’accettazione formale della carica comporta l’assunzione dei doveri di vigilanza, e la negligenza è sufficiente per configurare il reato. Le difficoltà linguistiche o l’ignoranza della legge non sono state ritenute scusanti valide.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta semplice: la responsabilità dell’amministratore prestanome

L’accettazione della carica di amministratore di una società, anche se solo in veste di ‘prestanome’, non è un atto privo di conseguenze. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di bancarotta semplice documentale: chi accetta formalmente un ruolo gestorio si assume anche tutti i doveri di vigilanza e controllo ad esso connessi, inclusa la corretta tenuta delle scritture contabili. In questo articolo, analizzeremo la decisione e le sue importanti implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un’amministratrice di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita, condannata in primo e secondo grado per il reato di bancarotta documentale semplice. La sua colpa, secondo i giudici di merito, era quella di non aver tenuto la contabilità aziendale durante il suo mandato.

La difesa dell’imputata sosteneva che la donna fosse una mera ‘testa di legno’, convinta con l’inganno ad assumere la carica da un altro soggetto, che era il vero dominus della società. Affermava di essere all’oscuro dell’attività sociale, di non aver mai ricevuto i libri contabili e di avere una conoscenza limitata della lingua italiana e delle leggi in materia, elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto escludere la sua colpevolezza. I giudici, tuttavia, hanno respinto queste argomentazioni, confermando la condanna.

L’analisi della Corte di Cassazione e la bancarotta semplice

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, ritenendo la motivazione della Corte d’Appello logica, completa e giuridicamente corretta. I giudici hanno sottolineato diversi punti chiave per definire la responsabilità in caso di bancarotta semplice.

In primo luogo, è stato evidenziato che l’imputata stessa aveva ammesso di aver accettato il ‘posto di amministratore’. Questo atto formale è sufficiente per far sorgere in capo al soggetto tutti i doveri previsti dalla legge, tra cui quello fondamentale di vigilare sulla corretta gestione contabile.

La Corte ha chiarito che il reato di bancarotta documentale semplice, a differenza di quella fraudolenta, è punibile anche a titolo di semplice colpa. Non è necessario dimostrare la volontà deliberata di danneggiare i creditori; è sufficiente una condotta negligente, come l’omissione del controllo sulla regolare tenuta dei libri contabili.

La figura dell’amministratore prestanome

Uno degli aspetti più interessanti della sentenza riguarda la responsabilità del cosiddetto ‘prestanome’. La Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: l’accettazione della carica di amministratore, anche se si è meri esecutori di volontà altrui, comporta l’assunzione dei doveri di vigilanza e controllo previsti dall’articolo 2392 del codice civile. Pertanto, l’amministratore ‘di diritto’ che omette, anche solo per colpa, di esercitare questi poteri di controllo, risponde penalmente per la mancata tenuta della contabilità, che è un obbligo direttamente collegato al suo ruolo formale.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su principi giuridici solidi. Le norme civilistiche che disciplinano lo status di imprenditore e l’obbligo di tenuta delle scritture contabili sono considerate norme integrative della legge penale fallimentare. Di conseguenza, l’errore sulla qualità di imprenditore o sull’esistenza di tale obbligo non può essere invocato come errore di fatto per escludere la punibilità ai sensi dell’art. 47 c.p., poiché si risolve in un’ignoranza della legge penale, che di norma è inescusabile.

I giudici hanno anche respinto la richiesta di sostituzione della pena detentiva con i lavori di pubblica utilità. Questa decisione è stata motivata sulla base della ‘refrattarietà all’osservanza di leggi e prescrizioni’ dimostrata dall’imputata. La presenza di un precedente penale e il breve lasso di tempo trascorso prima della commissione di un nuovo reato sono stati considerati indicatori di una scarsa capacità di autodisciplina, rendendo la pena detentiva l’unico strumento idoneo a prevenire la reiterazione del reato e a favorire un percorso di rieducazione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante monito: assumere formalmente la carica di amministratore di una società è un atto di grande responsabilità. Non è possibile sottrarsi ai propri doveri legali sostenendo di essere un semplice prestanome o adducendo l’ignoranza della normativa. La legge presume che chi accetta un tale incarico sia consapevole degli obblighi che ne derivano, primo fra tutti quello di garantire una gestione trasparente e documentata dell’impresa. In caso di fallimento, la negligenza nella tenuta della contabilità può portare a una condanna per bancarotta semplice, con conseguenze penali significative che, come dimostra il caso, non sempre possono essere mitigate da pene alternative.

Un amministratore ‘prestanome’ può essere ritenuto responsabile per bancarotta semplice documentale?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che l’accettazione formale della carica di amministratore, anche in qualità di ‘prestanome’, comporta l’assunzione del dovere legale di vigilare sulla corretta tenuta delle scritture contabili. La violazione di questo dovere, anche se dovuta a semplice negligenza, integra il reato di bancarotta semplice documentale.

L’ignoranza della legge italiana o le difficoltà linguistiche possono scusare l’amministratore dalla mancata tenuta della contabilità?
No, secondo la sentenza, queste non sono scusanti valide. L’obbligo di tenere la contabilità è un dovere fondamentale connesso allo status di imprenditore commerciale, e l’ignoranza di tale obbligo legale è considerata inescusabile. Nel caso specifico, la Corte ha anche ritenuto non credibile la presunta difficoltà linguistica dell’imputata.

Perché la Corte ha negato la sostituzione della pena detentiva con i lavori di pubblica utilità?
La Corte ha negato la pena sostitutiva basandosi su un giudizio sfavorevole sulla capacità di autodisciplina dell’imputata. Questa valutazione è derivata dalla presenza di un precedente penale e dal breve intervallo di tempo trascorso prima della commissione di un nuovo illecito, portando i giudici a ritenere la pena detentiva l’unico strumento efficace per prevenire la reiterazione del reato e per la rieducazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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