Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2349 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2349 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SEREGNO il 14/02/1965
avverso la sentenza del 24/05/2024 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sost Procuratore generale, COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata deliberata il 24 maggio 2024 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Monza che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME per bancarotta fraudolenta documentale cd. generica, quale amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal Tribunale di Monza il 21 luglio 2017. La riforma in appello è consistita nella riqualificazione della bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice, nel riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge fall. e nella conseguente rimodulazione in mitius del trattamento sanzionatorio.
L’imputato ha presentato ricorso, a firma del difensore di fiducia.
L’unico motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione.
La motivazione sarebbe illogica – assume il ricorrente – in quanto la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato ad onta di una serie di circostanze pro reo, che pure ha riconosciuto.
In particolare – si legge nel ricorso – era stato trascurato che COGNOME si era rivolto sempre a professionisti, che aveva tenuto la contabilità fin quando era riuscito a pagare il commercialista, che la cessazione della tenuta delle scritture contabili era dovuta all’impossibilità economica di proseguire l’attività ed era durata dal 2015 al 2017 e che l’imputato aveva consegnato tutta la documentazione in suo possesso, grazie alla quale era stato possibile ricostruire la composizione del patrimonio immobiliare della società; ancora, i Giudici di appello avrebbero trascurato che era emerso un sostanziale equilibrio tra attività e passività, che la massa attiva rinvenuta era compatibile con quella ricavabile dallo stato patrimoniale riportato nel bilancio al 21.12.14 e che la vendita del compendio immobiliare aveva consentito un realizzo prossimo al soddisfacimento di tutti i creditori.
Il ricorrente aggiunge, quindi, che nessun rimprovero, neanche colposo, gli può essere mosso, giacché aveva fatto tutto il possibile per amministrare bene la società, come dimostrato, appunto, dal soddisfacimento dei creditori e dalla tenuta della contabilità fin quando si era manifestata la carenza di liquidità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Occorre innanzitutto rappresentare che gran parte delle argomentazioni critiche del ricorrente presenta un vizio di fondo, ossia quello di indulgere su aspetti di merito, adducendo una serie di dati che, nella tesi sviluppata, deporrebbero per l’assenza di penale responsabilità.
In particolare, il ricorrente indugia sull’ambito temporale in cui si è tenut la condotta, sull’affidamento a professionisti della tenuta delle scritture contabi e sull’impossibilità di pagarli quale causa dell’omissione, sulla condotta collaborativa tenuta con la curatela, sull’assenza di operazioni depauperative del patrimonio sociale e sul quasi completo equilibrio tra attività e passività emerso nella procedura concorsuale. E’ evidente dunque che, nella parte in cui è così impostato, il ricorso finisce per contestare il ragionamento probatorio della Corte di merito proponendo una propria, alternativa composizione dei dati fattuali
raccolti, collocandosi così al di fuori dei rigidi confini del giudizio di legitti Questo approccio, infatti, è contrario all’esegesi – fatta propria anche dalle Sezioni Unite – secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri del Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260).
2. In disparte le argomentazioni di puro merito adoperate dal ricorrente, il secondo limite dell’impugnativa oggi sub iudice che ne sancisce l’infondatezza – è che essa agita una serie di circostanze che, in tesi, sarebbero state illogicamente valutate dalla Corte di merito, circostanze che, tuttavia, il Collegio ritiene ininfluenti ai fini dell’auspicata decisione liberatoria, pur essendo sta considerate dalla Corte territoriale per la concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 2, legge fall.
2.1. Nessun peso, infatti, può essere attribuito all’assenza di operazioni predatorie ai danni della società in epoca coeva a quella dell’omissione documentale e al sostanziale equilibrio tra attività e passività; e ciò in quanto la bancarotta documentale semplice si consuma per il solo fatto che la contabilità non sia stata tenuta o sia stata tenuta in maniera irregolare nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, a prescindere dal pregiudizio per le ragioni economiche dei creditori e dalla concorrente volontà di depauperare la società, dato, quest’ultimo, valorizzato dalla Corte distrettuale ad altri fini, ci per riqualificare la bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice. Questa conclusione risponde a un principio incontrastato, nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la bancarotta semplice documentale è un reato di pericolo presunto, che prescinde dal concreto pregiudizio per i creditori, in quanto è posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino, Rv. 275261 – 01; Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011, COGNOME e altro, Rv. 250407 – 01; Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, COGNOME ed altro, Rv. 215985 – 01).
2.2. Ugualmente indifferente, ai fini della propugnata decisione assolutoria, è il dato della durata dell’omessa tenuta, che il ricorrente lamenta essere stata inferiore ai tre anni indicati all’art. 217, comma 2, legge fall. A questo riguard
va ricordata e ribadita la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel reato di bancarotta semplice documentale, la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non deve protrarsi per l’intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento, sussistendo il reato anche se tale condotta venga tenuta, durante il periodo di tempo indicato, per un arco temporale inferiore ai tre anni (Sez. 5, n. 37910 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 271218 – 01; Sez. 5, n. 8610 del 20/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251732 – 01; Sez. 5, n. 38598 del 20/06/2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 242018 – 01). A questa conclusione si è giunti, da una parte, valorizzando il dato letterale, giacché l’art. 217, comma secondo, legge fall. recita: «La stessa pena si applica al fallito che durante i tre anni precedenti alla dichiarazione del fallimento .. non ha tenuto i libri e le alt scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolar incompleta», donde il termine “durante” riferito al triennio mostra come il legislatore abbia inteso punire la condotta descritta anche se non abbia coperto tutto il periodo in oggetto; dall’altra, si è sostenuto che la ratio della previsione incriminatrice risiede pacificamente nell’esigenza di tutela della correttezza della tenuta della scritture contabili, che può essere elusa in ogni momento ed anche per un breve periodo, mentre la previsione del triennio vale a segnare il limite temporale sino al quale – secondo scelte discrezionali di politica criminale del legislatore – può spingersi l’accertamento al riguardo.
2.3. Al di là, poi, dell’evidente irrilevanza, ai fini dell’invocata pronunz assolutoria, della condotta successiva di collaborazione del fallito con la curatela va, infine, osservato che la predicata mancanza di liquidità per pagare il commercialista non costituisce una circostanza che può giustificare l’omessa tenuta, dal momento che le scritture contabili vanno aggiornate fin quando la società non viene sciolta (Sez. 5, Martino, cit.).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 16/10/2024