Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14361 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14361 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Caltanissetta il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 22 settembre 2023 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata il 19 gennaio 2024 dall’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente, con la quale si insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Milano, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di titolare della omonima ditta individuale (dichiarata fallita il 15 febbraio 2018), del reato di bancarotta semplice documentale.
Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputato, si compone di tre motivi d’impugnazione, formulati, il primo sotto il profilo del vizio di motivazione e, il secondo, anche sotto quello della violazione di legge.
In estrema sintesi, la difesa deduce con il primo motivo la totale cessazione di ogni attività a far data dal 20 febbraio 2017 (momento in cui presentava domanda di cancellazione della ditta dal registro delle imprese), la connessa cessazione del relativo obbligo di tenuta delle scritture contabili e la conseguente completezza della documentazione (regolarmente tenuta fino a tale data e ritualmente depositata al curatore). Tanto più alla luce dei chiarimenti resi al curatore nel corso delle informazioni da quest’ultimo assunte sull’andamento e sulla storia economica dell’impresa.
Con il secondo motivo si deduce l’insussistenza di ogni profilo di responsabilità, anche colposa, atteso che il ricorrente si era accordato per depositare la documentazione entro il 20 aprile 2018, laddove la relazione del curatore (redatta ai sensi dell’art. 33 I. fall.) è stata depositata prima dell scadenza di detto termine, il 18 aprile 2018. Tanto più che l’interesse perseguito dalla norma (la corrretta ricostruzione della reale consistenza del patrimonio), avendo il curatore dato atto dell’ammontare del passivo, non sarebbe stato concretamente pregiudicato.
Con il terzo motivo si denunzia la mancanza di una compiuta motivazione quanto alla quantificazione del trattamento sanzionatorio, concretamente determinato in misura superiore al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo e il secondo motivo infondati.
La Corte d’appello ha dato atto esplicitamente sia dell’incompletezza della documentazione depositata (avendo l’amministratore versato solo alcuni dei libri e delle scritture contabili prescritte dalla legge, segnatamente, i registri Iva relativ al 2016, con copia delle relative fatture di vendita e di acquisto, nonché il modello unico presentato nel 2016), sia della conseguente impossibilità di ricostruire la consistenza patrimoniale della società, per come attestata dal curatore.
Ebbene, il reato di bancarotta semplice documentale è un reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino, Rv. 275261).
Il reato si struttura intorno ad un mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 cod. civ.) e integra un reato di pura condotta, che si perfeziona anche quando non si verifichi, in concreto, alcun danno per i creditori, in quanto l’offensività della condotta discende non da una effettiva idoneità dell’omessa tenuta delle scritture contabili ad arrecare pregiudizio ai creditori, bensì dal potenziale rischio che la condotta arreca all’interesse dei creditori in relazione alla funzione tipica – di accertamento assolta dalla documentazione (Sez. 5, n. 18482 del 22/03/2023, Fanti, Rv. 284514).
In tale ottica, l’obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno anche nel caso in cui manchino passività insolute ovvero l’attività di impresa della fallita sia cessata di fatto, dovendo ritenersi non più sussistente tale obbligo solo se l’azienda abbia cessato anche formalmente la propria attività con la cancellazione dal registro delle imprese (ex multis Sez. 5, n. 4727 del 15/3/2000, Albini, Rv. 215985; Sez. 5, n. 35168 del 11/7/2005, COGNOME, Rv. 232572; Sez. 5, n. 15516 del 11/2/2011, COGNOME COGNOME, Rv. 250086).
Ebbene, tanto dà conto dell’irrilevanza sia della circostanza (meramente allegata dalla difesa) che la fallita avesse cessato qualsiasi attività nel febbraio 2017, sia, anche sotto il profilo soggettivo, dell’accordo asseritamente intervenuto quanto al termine entro cui doveva essere depositata la documentazione, atteso, peraltro, che, comunque, tale documentazione non risulta essere stata depositata, per come chiaramente esplicitato dalla Corte.
A identiche conclusioni deve giungersi anche con riferimento al terzo motivo.
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’ar 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410). Un onere motivazionale che si attenua quanto più la determinazione sia prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio di adeguatezza, nel quale sono
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impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
Ebbene, da un canto, la pena irrogata (mesi nove di reclusione) è ampiamente inferiore alla media edittale; dall’altro, sono chiaramente indicati i criteri logici fattuali utilizzati ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio (i precedenti penali e l’assenza di rivisitazione critica). E tanto, alla luce di quanto osservato, è ampiamente sufficiente a ritenere adempiuto il relativo onere motivazionale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’8 febbraio 2024
TI Consialiere estensore
Il Pr si,dente