Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7818 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato ad ANDRIA il 30/09/1956
avverso la sentenza del 15/06/2023 della CORTE di APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la requisitoria con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Trani in data 10 ottobre 2019, NOME COGNOME fu condannato alla pena di 3 anni di reclusione in quanto ritenuto colpevole, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante prevista dall’art. 219, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fall.), dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, così riqualificati i fatti di bancarotta documentale di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, nn. 1 e 2, 217 comma 2, n. 1, 223 e 224, legge fall., perché, quale amministratore di fatto della ditta RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Trani del 31 luglio 2013, in concorso con NOME COGNOME quale di amministratore legale della predetta società, commettevano, in pregiudizio dei creditori, più fatti di bancarotta documentale e per distrazione, ovvero: non tenevano i documenti e le scritture obbligatorie rendendo impossibile l’esatta ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; distraevano dal patrimonio fallimentare la somma di 498.602,99 euro e alcuni beni strumentali, quali un ponte radio e un gruppo frigo mod. RAGIONE_SOCIALE; in Trani il 31 luglio 2013, luogo e data della dichiarazione di fallimento.
Con sentenza in data 15 giugno 2023, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto NOME COGNOME dal delitto di bancarotta fraudolenta documentale previsto dall’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. non essendo stata dimostrata l’esistenza del dolo specifico e ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 216, comma 1, n. 1, legge fall. Pertanto, esclusa l’aggravante di cui all’art. 219 legge fall. e disapplicata la recidiva, ha rideterminato la pena, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, in 2 anni di reclusione, disponendone la sospensione condizionale.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello per il tramite del Difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 216, comma 1, n. 1, legge fall., la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché il travisamento della prova in ordine alla esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti in favore della fallita e gli atti distrattivi precedenti e, conseguentemente, in relazione alla corretta applicazione dell’istituto della «bancarotta riparata». Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., il travisamento della prova rispetto all’avvenuto rientro, prima della dichiarazione di fallimento, delle somme corrispondenti al denaro (pari a 498.602,99 euro) e ai beni strumentali (un ponte radio Load RAGIONE_SOCIALE acquistato nel 2009 al costo di 4.205,67 euro e un gruppo frigo
mod. COGNOME marca COGNOME) oggetto delle condotte distrattive dell’imputato. Un rientro che, secondo la Difesa, sarebbe avvenuto attraverso l’azzeramento del debito operato per mezzo di una serie di operazioni compensative, costituite dalla cessione di un credito, pari a 250.000 euro, vantato dalla la RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico e che la RAGIONE_SOCIALE a sua volta, avrebbe ceduto alla banca RAGIONE_SOCIALE a estinzione di un suo debito; nonché dall’accollo da parte della stessa la RAGIONE_SOCIALE di debiti da lavoro dipendente e altro per complessivi 148.602,99 euro, avvenuto dalla seconda metà del 2012 sino al giungo 2013. La Corte di appello avrebbe richiamato un indirizzo giurisprudenziale non pertinente nel caso di specie, posto che, nella presente vicenda, non vi sarebbero somme “spostate” da una società ad un’altra facente parte del medesimo gruppo, né sarebbero stati operati “giri” all’interno della medesima struttura finanziaria. Né, infine, sarebbe possibile qualificare la cessione del credito dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE come una condotta «fintamente riparata» poiché realizzata con l’utilizzo di denaro proveniente dal medesimo creditore, trattandosi di un credito vantato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE verso il Ministero dello Sviluppo economico e non di somme proventi dalla fallita, la quale avrebbe a sua volta utilizzato il credito per estinguere un debito con la banca RAGIONE_SOCIALE, cui avrebbe comunque dovuto fare fronte la curatela. E le medesime considerazioni sarebbero spendibili per i debiti da lavoro dipendente e verso i fornitori e per i beni strumentali. Pertanto, nella specie avrebbe dovuto ravvisarsi un’ipotesi di «bancarotta riparata», ricorrente quando la sottrazione dei beni sia compensata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premesso che secondo la giurisprudenza di legittimità il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato di pericolo e non è, dunque, necessario, per la sua configurabilità, che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281031 – 01; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, COGNOME, Rv. 253933 – 01; Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012, COGNOME, Rv. 252307 – 01; Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, COGNOME, Rv. 214860 – 01). Più precisamente, esso è un reato di pericolo concreto; pericolo che oltre a dover sussistere al momento della commissione dell’atto antidoveroso, deve permanere fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr. ex plurimis Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437 – 01; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta,
u–
Rv. 269562 – 01). Ne consegue che ove la capacità pregiudizievole della condotta sia stata integralmente eliminata prima dall’apertura della procedura fallimentare, per effetto di un atto o di un’attività di segno inverso, capace di reintegrare totalmente il patrimonio della fallita, il reato non può ritenersi sussistente, non essendovi nessun potenziale danno per i creditori (Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 8402 del 03/02/2011, Cannavale, Rv. 249721 – 01; Sez. 5, n. 39043 del 21/09/2007, COGNOME, Rv. 238212 – 01; Sez. 5, n. 3622 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236051 01; Sez. 5, n. 7212 del 26/01/2006, COGNOME, Rv. 233604 – 01). E’, questa, l’ipotesi della cd. bancarotta riparata, di cui il ricorrente invoca l’applicazione nel caso qui esaminato, la quale appunto ricorre nel caso in cui la condotta distrattiva dei beni aziendali venga annullata da un’attività di segno contrario, che pur senza concretizzarsi in una restituzione del singolo bene sottratto (Sez. 5, n. 14932 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284383 – 01; Sez. 5, n. 34290 del 02/10/2020, COGNOME, non massimata), realizzi una piena e integrale reintegrazione del patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno, con la conseguente insussistenza dell’elemento materiale del reato (Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266025 – 01; Sez. 5, n. 50289 del 07/07/2015, COGNOME, Rv. 265903 – 01; Sez. 5, n. 52077 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261347 – 01). Pertanto, è onere dell’amministratore, il quale si sia reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra gli atti distrattivi precedentemente perpetrati e i versamenti compiuti per reintegrare il suddetto patrimonio (Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, COGNOME, Rv. 271922 – 01).
Nel caso di specie, tuttavia, la fattispecie richiamata non può ritenersi realmente integrata, come condivisibilmente sottolineato dalle due sentenze di merito.
3.1. Va premesso che già il Tribunale aveva ritenuto accertato, sulla base della relazione del curatore, dell’esame del consulente del Pubblico ministero e delle altre testimonianze raccolte, che all’atto della apposizione dei sigilli non erano stati rinvenuti i beni strumentali indicati nel capo di imputazione e che, in particolare, risultava provata la distrazione, in favore di NOME COGNOME, dell’importo complessivo di 50.000 euro nonché di ulteriori somme in favore della RAGIONE_SOCIALE, di cui lo stesso COGNOME era amministratore, costituite, per l’ammontare di 448.602,99 euro, dall’anticipazione dei canoni di locazione per l’affitto del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultima, infatti, già nel 2010 aveva registrato perdite consistenti, che erano state tuttavia azzerate attraverso un artificio contabile, atteso che in data 31 dicembre 2010, in sede di rilevazione delle
scritture di assestamento della fallita, gli oneri pluriennali (inseriti nell’attivo del stato patrimoniale tra le «immobilizzazioni immateriali») erano stati incrementati di 250.000.00 euro dal conto denominato «Retribuzione ristorazione» (voce di costo da registrarsi nel conto economico) grazie a un giroconto contabile che aveva avuto l’effetto di migliorare il risultato economico dell’esercizio 2010 per lo stesso importo, con la conseguente rappresentazione di un utile di 1.441,00 euro in luogo di una perdita di esercizio di 248.559,00 euro. In questo modo, attraverso l’anticipazione dei canoni di locazione era stato realizzato un drenaggio di risorse che dalla fallita era stato “dirottato” verso la RAGIONE_SOCIALE In cambio, secondo quanto accertato in sede istruttoria, quest’ultima aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE il proprio credito nei confronti del Ministero dello Sviluppo Economico per la somma complessiva di 250.000.00 euro e si era accollata debiti della fallita verso fornitori e dipendenti per un ammontare di 213.645,55 euro.
3.2. Ebbene, dalla sentenza impugnata non emerge affatto che le descritte operazioni, asseritamente compensative, abbiano realizzato quella totale reintegrazione patrimoniale che è richiesta ai fini della configurabilità della fattispecie di «bancarotta riparata».
Infatti, sotto un primo profilo, non risulta che la distrazione concernente la somma di 50.000 euro, acquisita direttamente da RAGIONE_SOCIALE, sia stata in alcun modo reintegrata; né il ricorso, invero, argomenta affatto in ordine a tale segmento della condotta illecita ascritta all’imputato e a eventuali azioni “riparatrici”.
Inoltre, quanto alle restanti operazioni asseritamente compensative, in disparte la circostanza che, in ogni caso, la condotta distrattiva ha determinato la gratuita fuoriuscita di somme di denaro liquido idonee all’immediata destinazione al soddisfacimento delle ragioni dei creditori e in un periodo di dissesto per la RAGIONE_SOCIALE, deve comunque rilevarsi che non è stato affatto chiarito quali effetti giuridici avessero le cennate operazioni di cessione del credito e di accollo e, in specie, se esse avessero carattere liberatorio. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato, con particolare riferimento alle attività di accollo del debito, che dal momento che esso, ove cumulativo, non produce alcun effetto liberatorio del debitore, ove il medesimo costituisca il corrispettivo di una cessione di beni, deve ritenersi integrato il delitto di bancarotta per distrazione (Sez. 5, n. 20807 del 05/03/2018, COGNOME, Rv. 273032 – 01), considerato che, in un’ipotesi siffatta, la società accollata, a fronte del distacco di una componente attiva del suo patrimonio, non risulta definitivamente sollevata dalle passività (così Sez. 5, n. 48061 del 02/10/2019, COGNOME, Rv. 278313 – 01 e Sez. 5, n. 55409 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271876 – 01; si veda anche Sez. 5, n. 15803 del 27/11/2019, dep. 2020, lezzi, Rv. 279089 – 01).
Orbene, premesso che il ricorso, sul punto, è assolutamente silente, risultando, di conseguenza, del tutto generico, va rilevato che la natura non liberatoria (pro
p-.
so/vendo) della cessione del credito di 250.000,00 euro vantato dalla RAGIONE_SOCIALE verso il Ministero dello Sviluppo economico pare evincersi dal passaggio della sentenza di appello in cui si afferma che, in ogni caso, dopo la cessione di esso dalla fallita alla GBM – ex Banca Federiciana, quest’ultima sarebbe rimasta, comunque, creditrice verso la fallita; e quest’ultima sarebbe rimasta tale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per lo stesso importo rispetto alle somme dei canoni versate anticipatamente, sicché il curatore avrebbe potuto chiederne la restituzione per regolare i creditori della fallita. Analogamente, quanto agli accolli assunti dalla Iride in relazione ai debiti verso fornitori e dipendenti, tali operazioni, in mancanza di qualunque dimostrazione di un effetto liberatorio, determinarono unicamente il mero passaggio di posizioni debitorie da un soggetto economico ad un altro, peraltro in assenza di garanzie per il pagamento, di cui nulla è stato attestato da parte del ricorrente e, dunque, senza alcuna assicurazione di un futuro soddisfacimento del debito da parte dell’accollante.
3.3. Ne consegue, pertanto, la complessiva infondatezza delle doglianze articolate dalla Difesa dell’imputato con l’unico motivo di impugnazione.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
CORTE DI CASSAZIONE