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Bancarotta preferenziale: rimborso spese e responsabilità

Un amministratore delegato ricorre in Cassazione contro una condanna per bancarotta semplice, preferenziale e fraudolenta impropria. La Corte rigetta il ricorso, chiarendo che il pagamento di crediti a un co-amministratore in stato di dissesto integra il reato di bancarotta preferenziale, anche se per rimborsi spese. Viene inoltre confermata la sua corresponsabilità in virtù del suo ruolo apicale e la rilevanza penale dell’aggravamento del dissesto tramite false appostazioni di bilancio.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Preferenziale: Quando il Rimborso Spese Diventa Reato

La gestione di una società in crisi espone gli amministratori a rischi penali significativi, in particolare per quanto riguarda i reati fallimentari. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 38419/2024) offre importanti chiarimenti sulla bancarotta preferenziale, specificando i confini tra pagamenti legittimi e atti penalmente rilevanti, soprattutto quando si tratta di rimborsare crediti vantati da altri amministratori. La decisione analizza anche la corresponsabilità derivante da ruoli apicali e le conseguenze delle false comunicazioni sociali che aggravano il dissesto.

I fatti del caso: la condanna e il ricorso in Cassazione

Il caso riguarda un amministratore delegato di una società, dichiarata fallita, condannato per diversi reati fallimentari: bancarotta semplice, fraudolenta impropria e bancarotta preferenziale. Quest’ultima accusa derivava da pagamenti effettuati a favore di un co-amministratore per soddisfare suoi crediti verso la società, quali rimborsi per spese di trasferta. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basato su tre motivi principali:

1. Errata qualificazione dei pagamenti: Sosteneva che i rimborsi spese, essendo necessari per la continuità aziendale, non dovessero configurare bancarotta preferenziale.
2. Mancanza di corresponsabilità: Affermava di non aver contribuito ai pagamenti, in quanto decisi e gestiti da un altro amministratore con deleghe più ampie in quell’ambito.
3. Insussistenza della bancarotta da reato societario: Contestava la mancanza di prove circa le false appostazioni di bilancio e il nesso di causalità con l’aggravamento del dissesto.

La distinzione tra bancarotta preferenziale e fraudolenta

La Corte di Cassazione, nel rigettare il primo motivo, ribadisce un principio consolidato: risponde di bancarotta preferenziale, e non di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’amministratore che paga un proprio credito (o quello di un terzo, come un altro amministratore) verso la società in dissesto. La ragione è che, sebbene il pagamento violi la par condicio creditorum (la parità di trattamento tra creditori), non altera la consistenza patrimoniale complessiva dell’azienda. Alla diminuzione di liquidità, infatti, corrisponde l’eliminazione di un debito di pari importo. Il reato consiste proprio nel ledere il principio di parità, favorendo un creditore a scapito di tutti gli altri. La tesi difensiva secondo cui le spese erano ‘indispensabili’ è stata giudicata generica e priva di prove concrete.

La responsabilità dell’amministratore e il ruolo apicale

Sul secondo punto, la Corte ha respinto la tesi della mancanza di coinvolgimento. La motivazione della sentenza impugnata, considerata logica e corretta, ha evidenziato come l’imputato ricoprisse una posizione apicale non solo nella società fallita (come presidente del consiglio di amministrazione) ma anche nella holding del gruppo. Questo ruolo gli conferiva un potere decisionale effettivo sulla destinazione delle risorse societarie, inclusi i pagamenti contestati. Affermare il contrario, secondo i giudici, significherebbe violare il principio della responsabilità penale, che non si basa solo sulla qualifica formale ma sul potere di gestione concreto esercitato.

La bancarotta da reato societario e l’aggravamento del dissesto

Anche il terzo motivo è stato giudicato infondato. Le corti di merito avevano ampiamente argomentato le ragioni per cui alcune appostazioni di bilancio (relative a immobilizzazioni materiali e fatture da emettere) erano state ritenute false. Tali falsità avevano mascherato l’oggettiva situazione di insolvenza, consentendo alla società di proseguire l’attività e, di conseguenza, di accumulare ulteriori debiti. La Cassazione ha ricordato che, ai fini della bancarotta impropria da reato societario, è penalmente rilevante qualsiasi condotta che, pur intervenendo quando il dissesto è già irreversibile, ne aggravi l’entità. Il fenomeno del dissesto, infatti, non è istantaneo ma progressivo, e ogni azione che lo peggiora contribuisce a causare l’evento del reato.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su un’interpretazione rigorosa e consolidata delle norme fallimentari. Viene chiarito che il discrimine tra bancarotta fraudolenta e preferenziale risiede nell’esistenza o meno di un debito reale della società. Se il debito esiste ed è congruo, il suo pagamento in violazione della par condicio creditorum integra la fattispecie meno grave della bancarotta preferenziale. La Corte ha inoltre sottolineato che la responsabilità penale degli amministratori non può essere elusa invocando una suddivisione di compiti puramente formale, quando la posizione apicale ricoperta conferisce un potere di controllo e di indirizzo sull’intera gestione aziendale. Infine, è stato ribadito il principio secondo cui l’aggravamento di uno stato di dissesto già conclamato è sufficiente a configurare l’evento del reato di bancarotta impropria, poiché prolunga artificialmente la vita dell’impresa, aumentando il danno per i creditori.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per gli amministratori di società. In primo luogo, in una situazione di crisi o insolvenza, qualsiasi pagamento deve essere attentamente ponderato per non violare la parità di trattamento tra i creditori; anche il rimborso di spese legittime a un altro amministratore può costituire reato. In secondo luogo, le posizioni di vertice comportano una responsabilità estesa che non può essere facilmente schermata da deleghe o suddivisioni interne di compiti. Infine, la trasparenza e la correttezza dei bilanci sono essenziali: mascherare una crisi attraverso artifici contabili non solo è illecito, ma è considerato una causa diretta dell’aggravamento del dissesto, con pesanti conseguenze penali.

Il rimborso di spese a un amministratore durante lo stato di insolvenza della società costituisce reato?
Sì, secondo la sentenza costituisce il reato di bancarotta preferenziale. Anche se il credito per le spese è legittimo, il suo pagamento viola il principio della parità di trattamento dei creditori (par condicio creditorum) quando la società è in stato di dissesto.

Un amministratore può essere ritenuto responsabile per pagamenti decisi da un altro amministratore con deleghe specifiche?
Sì, può essere ritenuto corresponsabile. La Corte ha stabilito che la responsabilità non deriva solo dalle deleghe formali, ma anche dalla posizione apicale occupata (nel caso di specie, presidente del CdA della società fallita e vertice della holding), che conferisce un potere effettivo di controllo e decisione sulla destinazione delle risorse societarie.

Aggravare uno stato di dissesto già esistente è sufficiente per configurare il reato di bancarotta impropria?
Sì, la sentenza conferma che l’aggravamento del dissesto costituisce l’evento del delitto di bancarotta impropria da reato societario. Anche le condotte poste in essere dopo che il dissesto è divenuto irreversibile sono penalmente rilevanti se ne peggiorano lo stato, ad esempio continuando l’attività d’impresa sulla base di bilanci falsificati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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