LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Bancarotta preferenziale: quando il salvataggio è reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta preferenziale. I pagamenti ad alcuni creditori, effettuati poco prima di richiedere il fallimento in proprio, non sono stati considerati un tentativo di salvataggio aziendale, ma un’azione con la piena consapevolezza del dissesto irreversibile, violando così la par condicio creditorum.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Preferenziale: Pagare Creditori per Salvare l’Azienda è Reato?

Un imprenditore in crisi si trova spesso di fronte a scelte difficili. Tra queste, una delle più rischiose è decidere quali debiti pagare quando le risorse sono scarse. Pagare un fornitore strategico per garantire la continuità operativa può sembrare una mossa logica, ma potrebbe configurare il grave reato di bancarotta preferenziale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 4814/2024) offre un’analisi rigorosa dei confini tra un legittimo tentativo di salvataggio e un atto criminale, sottolineando come la consapevolezza dello stato di dissesto sia un elemento chiave.

I Fatti del Caso: Pagamenti Selettivi Prima del Fallimento

Il caso riguarda l’amministratore di una società a responsabilità limitata, condannato in primo e secondo grado per bancarotta preferenziale. L’azienda, in una situazione di crisi economica conclamata già da diversi anni, era stata dichiarata fallita nel settembre 2018. Nei mesi immediatamente precedenti, tra febbraio e luglio dello stesso anno, l’amministratore aveva effettuato una serie di pagamenti a favore di alcuni creditori chirografari (cioè non assistiti da garanzie reali), nonostante la presenza di ingenti debiti verso creditori privilegiati, come quelli per il TFR dei dipendenti e le imposte non versate dal 2016.

La Difesa dell’Amministratore: Un Tentativo di Salvataggio?

L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che i pagamenti non erano volti a favorire illecitamente alcuni creditori, ma erano indispensabili per salvaguardare l’attività sociale. Secondo la sua tesi, saldare quei debiti era necessario per completare appalti in corso e per evitare azioni esecutive individuali che avrebbero paralizzato l’azienda. L’obiettivo, quindi, sarebbe stato quello di mantenere l’impresa operativa, a vantaggio dell’intero ceto creditorio. A prova di ciò, la difesa evidenziava come l’azienda avesse continuato a operare anche dopo il fallimento, tramite un contratto di affitto.

Bancarotta Preferenziale: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto completamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il giudizio di cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare i fatti o fornire una nuova interpretazione delle prove, ma deve limitarsi a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano costruito un percorso argomentativo solido e privo di vizi.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi dell’elemento soggettivo del reato: il dolo specifico. Per la bancarotta preferenziale, non basta pagare un creditore anziché un altro; è necessaria la volontà di favorirlo, con la consapevolezza di danneggiare gli altri. La giurisprudenza ammette che tale dolo possa essere escluso se i pagamenti sono effettuati con l’esclusivo o prevalente scopo di salvaguardare l’attività aziendale, a condizione che l’obiettivo di evitare il fallimento sia ‘più che ragionevolmente perseguibile’.

Nel caso in esame, questa condizione mancava totalmente. La Corte ha evidenziato la ‘stretta consequenzialità degli eventi’:

1. Stato di Crisi Evidente: L’azienda era in crisi dal 2014 e aveva smesso di pagare le imposte nel 2016.
2. Pagamenti Mirati: I pagamenti preferenziali sono avvenuti nel corso del 2018.
3. Richiesta di Fallimento: Nell’agosto 2018, subito dopo aver concluso tali pagamenti, è stato lo stesso amministratore a presentare istanza di fallimento in proprio.

Questa successione cronologica, secondo la Corte, dimostra in modo inequivocabile che al momento dei pagamenti l’amministratore non stava tentando di salvare l’azienda, ma agiva ‘nella piena consapevolezza del dissesto’, con scopi puramente liquidatori. La prospettiva di evitare il fallimento non era ragionevole, ma del tutto inesistente. I pagamenti, quindi, non erano altro che una scelta deliberata su chi soddisfare prima della fine, violando palesemente la par condicio creditorum.

Il fatto che l’azienda abbia continuato l’attività dopo il fallimento è stato giudicato irrilevante, in quanto un mero post factum che non può sanare un reato già consumato al momento dei pagamenti.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale per gli imprenditori: la linea tra gestione della crisi e illecito penale è determinata dalla reale possibilità di risanamento. Quando lo stato di insolvenza è irreversibile e il fallimento è un esito non più ragionevolmente evitabile, qualsiasi pagamento che alteri la parità di trattamento tra creditori configura il reato di bancarotta preferenziale. L’intento di ‘tamponare’ la situazione pagando i fornitori più insistenti o strategici non funge da scusante se, di fatto, si sta solo scegliendo chi beneficerà delle ultime risorse di un’azienda ormai destinata al collasso. La decisione di chi pagare, in una situazione di dissesto conclamato, non spetta più all’imprenditore, ma deve seguire le regole concorsuali per garantire un’equa ripartizione tra tutti i creditori.

Pagare alcuni creditori per consentire all’azienda di continuare a lavorare è sempre bancarotta preferenziale?
No, non sempre. Secondo la giurisprudenza, il reato può essere escluso se il pagamento è volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia dell’attività sociale e se l’obiettivo di evitare il fallimento è ritenuto ‘più che ragionevolmente perseguibile’. Se, invece, lo stato di dissesto è già irreversibile, tali pagamenti integrano il reato.

Qual è l’elemento psicologico necessario per configurare il reato di bancarotta preferenziale?
È richiesto il ‘dolo specifico’, ovvero la volontà di favorire un creditore a danno degli altri. Questa volontà è presunta quando l’imprenditore agisce con la consapevolezza dello stato di insolvenza e della conseguente impossibilità di soddisfare tutti i creditori, accettando quindi il pregiudizio per la massa creditoria.

Il fatto che l’azienda continui l’attività dopo il fallimento può escludere il reato di bancarotta preferenziale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la prosecuzione dell’attività dopo la dichiarazione di fallimento (ad esempio, tramite affitto d’azienda) è un ‘mero post factum’, un evento successivo che è del tutto irrilevante per la configurazione del reato. Il crimine si consuma al momento dei pagamenti preferenziali, quando l’imprenditore agisce con la consapevolezza del dissesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati