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Bancarotta preferenziale: quando c’è dolo specifico?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6387/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta preferenziale. L’imputato sosteneva di aver agito per salvare l’azienda, ma la Corte ha confermato che la consapevolezza dello stato di decozione irreversibile è sufficiente a integrare il dolo specifico del reato, anche se il pagamento al singolo creditore era finalizzato a evitare un’istanza di fallimento. La decisione chiarisce che la finalità di preferire un creditore, con l’accettazione del potenziale danno per gli altri, configura il reato di bancarotta preferenziale.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Preferenziale: Salvare l’Azienda Giustifica il Pagamento di un Solo Creditore?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 6387 del 2024, offre un importante chiarimento sul reato di bancarotta preferenziale. Il caso riguarda un amministratore che, nel tentativo di evitare un’istanza di fallimento, aveva soddisfatto le pretese di un creditore particolarmente insistente a danno di tutti gli altri. La Suprema Corte ha stabilito che la volontà di ‘salvare’ l’azienda non esclude il dolo specifico del reato se l’imprenditore è consapevole dello stato di insolvenza irreversibile della società.

I Fatti del Caso: La Crisi Aziendale e il Pagamento Selettivo

L’amministratore unico di una società operante nel settore della moda, successivamente dichiarata fallita, veniva condannato in primo e secondo grado per diversi fatti di bancarotta. In particolare, la condotta al centro del ricorso per cassazione riguardava l’aver favorito una società creditrice, cedendole merce di magazzino per un valore di circa 22.000 euro a parziale compensazione di un debito pregresso. Questa operazione era avvenuta in un momento in cui l’azienda si trovava già in una palese e grave situazione di difficoltà finanziaria, nota come ‘stato di decozione’.

Il Ricorso in Cassazione: Le Ragioni dell’Amministratore

La difesa dell’amministratore ha basato il ricorso su due argomenti principali:

1. Assenza di dolo: Si sosteneva che l’intento non fosse quello di favorire quel creditore a danno degli altri, ma piuttosto quello di evitare il fallimento, dato che proprio quel creditore minacciava di presentare un’istanza in tribunale. L’azione, quindi, era volta a salvaguardare la continuità aziendale.
2. Violazione del divieto di reformatio in peius: La difesa lamentava che la Corte d’Appello, pur riqualificando il reato in bancarotta preferenziale (considerata meno grave), aveva confermato la pena del primo grado senza una motivazione adeguata.

Le Motivazioni della Corte: L’Analisi sulla Bancarotta Preferenziale e il Dolo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Le motivazioni della decisione sono fondamentali per comprendere i confini del reato di bancarotta preferenziale.

La Consapevolezza dello Stato di Crisi

I giudici hanno sottolineato che, al momento del pagamento selettivo, l’azienda si trovava in una condizione di decozione ‘evidente e irreversibile’. Lo stesso amministratore risultava protestato e i conti correnti, sia personali che aziendali, erano stati chiusi. In un simile contesto, secondo la Corte, non poteva esistere una ‘ragionevole speranza’ di evitare il fallimento. La presunta volontà di ‘salvare’ la società perde quindi di credibilità di fronte a uno stato di crisi conclamato. Inoltre, una precedente condotta distrattiva, non oggetto di impugnazione, dimostrava una volontà tutt’altro che tesa al risanamento aziendale.

Il Dolo Specifico nella Bancarotta Preferenziale

Il punto cruciale della sentenza riguarda la configurazione dell’elemento psicologico del reato. Per la bancarotta preferenziale è richiesto il dolo specifico, ovvero la volontà cosciente di favorire un creditore rispetto agli altri. La Cassazione ha chiarito che questo dolo sussiste anche quando l’intenzione di preferire un creditore è accompagnata da altri fini, come quello di neutralizzare una querela o, come in questo caso, evitare un’istanza di fallimento. L’intento di recare vantaggio a un creditore, con la conseguente accettazione del possibile danno per la massa dei creditori (secondo lo schema del dolo eventuale), è sufficiente a integrare il reato. Il movente soggettivo che spinge l’amministratore ad agire (la paura del fallimento) non esclude la consapevolezza di violare la par condicio creditorum.

Infine, la Corte ha ritenuto la doglianza sulla pena infondata, specificando che la condanna di primo grado era già stata emessa per bancarotta preferenziale e che la pena inflitta era già al minimo, tenuto conto della pluralità dei fatti contestati e delle attenuanti generiche.

Le Conclusioni: Implicazioni della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio cardine in materia fallimentare: di fronte a una crisi aziendale irreversibile, l’amministratore non può scegliere arbitrariamente quali creditori soddisfare. Anche se l’intento soggettivo è quello di guadagnare tempo o di placare il creditore più aggressivo nella speranza di salvare l’impresa, tale condotta integra il reato di bancarotta preferenziale. La legge impone, in tali situazioni, di tutelare il patrimonio sociale a garanzia di tutti i creditori in egual misura. Agire diversamente significa violare il principio della par condicio creditorum, con conseguenze penali significative.

Pagare un solo creditore per evitare il fallimento costituisce reato di bancarotta preferenziale?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. Se l’azienda si trova in uno stato di insolvenza irreversibile e l’amministratore è consapevole di tale situazione, effettuare un pagamento a favore di un solo creditore per evitare un’istanza di fallimento integra il reato di bancarotta preferenziale, in quanto viola la parità di trattamento tra i creditori.

Qual è l’elemento psicologico richiesto per il reato di bancarotta preferenziale?
Il reato richiede il dolo specifico, che consiste nella volontà di procurare un vantaggio a un creditore, con la consapevolezza e l’accettazione del potenziale pregiudizio per gli altri. La presenza di fini ulteriori, come quello di ‘salvare’ l’azienda, non esclude il dolo.

Se la Corte d’Appello riqualifica un reato in una fattispecie meno grave, è sempre tenuta a ridurre la pena?
No, non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la riqualificazione fosse superflua, poiché la condanna era già di fatto intervenuta per bancarotta preferenziale. Inoltre, la pena era stata correttamente determinata dal primo giudice al minimo possibile, considerando tutte le circostanze, quindi non vi era margine per un’ulteriore riduzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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