Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6387 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6387 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PESCARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ric:orso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto accogliersi parzialmente il ricorso, rigettandolo nel resto;
lette la memoria conclusiva depositata dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, con la quale, illustrati ulteriormente i motivi di ricorso, ne viene chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di L’Aquila, con la sentenza emessa il .31 gennaio 2023, riformava la sentenza del Tribunale aquiliano, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME, riqualificando, dell’originaria imputazione, la condotta del 1 giugno 2017 in quella di bancarotta preferenziale e confermando nel resto la condanna.
In particolare a COGNOME, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 4 ottobre 2018, venivano contestate due condotte: una prima relativa alla distrazione dal 31 marzo al 9 maggio 2017 dell’importo di euro 7.600,00 ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE che aveva versato tale somma come corrispettivo della vendita di rimanenze di magazzino, importo che COGNOME faceva confluire sul conto corrente di altra società denominata Challange SRAGIONE_SOCIALE sempre a lui riconducibile; una seconda, relativa all’aver favorito in data 1 giugno 2017 la società creditrice RAGIONE_SOCIALE (a seguire RAGIONE_SOCIALE), in danno di altri creditori, fornendo altra merce di rimanenza per un valore di euro 21.994,53 a compensazione del credito che la cessionaria aveva nei confronti della fallita.
Il Tribunale di L’Aquila – riconoscendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante dell’art. 219 comma 2, n. 1 legge fall. per aver commesso più fatti di bancarotta – condannava COGNOME alla pena di anni due di reclusione, con pene accessorie fallimentari determinate nella medesima durata.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione quanto alla bancarotta preferenziale, rilevando come la Corte territoriale non abbia dato conto del dolo dell’imputato di favorire la creditrice RAGIONE_SOCIALE a danno dei creditori, accedendo la sentenza alla tesi proposta dal teste di polizia giudiziaria COGNOME: diversamente, COGNOME voleva evitare il pericolo di istanze di fallimento e aveva il convincimento di poter far fronte a tutte le posizioni debitorie. Quindi la Corte di appello aveva trascurato tale atteggiamento psicologico, che trovava conferma anche nella dichiarazione della curatrice, che aveva evidenziato come l’imputato avesse effettuato un versamento di proprie risorse di oltre 58mla euro in favore della società e non avesse posto in essere condotte tese ad alterare il patrimonio della società. Inoltre, la teste COGNOME, evidenzia il ricorrente, narrava di come la RAGIONE_SOCIALE provvedesse a molteplici denunce in sede penale e, quindi, la cessione della merce, per altro datata e del valore del 20% del debito (come riferito dalla amministratrice della creditrice), avvenne proprio per evitare l’esercizio dell’azione in sede penale.
Anche il valore della merce, decisamente inferiore a quello del credito, dimostrava che COGNOME aveva agito nell’interesse della società debitrice e che si trattava dell’adempimento di una obbligazione pregressa. Ma con tali profili la Corte di appello non si sarebbe confrontata.
Il secondo e il terzo motivo deducono violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto alla riqualificazione operata dalla Corte di appello, della seconda condotta nel delitto meno grave, non è conseguita la riduzione della pena, in violazione del principio del divieto della reformatio in peius, né una motivazione adeguata a giustificare la conferma della pena quantificata in primo grado.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, dl. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto accogliersi il ricorso in ordine ai motivi secondo e terzo e il rigetto nel resto.
Il difensore del ricorrente ha depositato conclusioni con le quali ha reiterato il contenuto dei motivi di ricorso, specificando c:he la Corte di appello non avrebbe dato conto del dolo specifico richiesto per la bancarotta preferenziale a fronte della querela per truffa e del versamento da parte di COGNOME dell’importo di oltre 58mila euro.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 chcembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, di. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo, come rileva la Procura AVV_NOTAIO, in tema di bancarotta preferenziale, la compensazione volontaria, pur consentita dagli artt.1252 cod. civ. e 56 legge fall., può integrare il delitto di cui all’art. 216, comma 3, legge fall. nei casi in cui l’accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri (Sez. 5, n. 26412 del 26/04/2022, COGNOME, Rv. 283526 – 01; nello stesso senso Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, COGNOME, Rv. 262904 – 01; Massime precedenti Conformi: N. 31894 del 2009 Rv. 244498 – 01).
Rileva questa Corte come le motivazioni dei Collegi di merito, assolutamente conformi e come tali integranti un unico complesso argomentativo, risultano escludere che COGNOME, come sostiene invece la difesa, abbia agito con l’intenzione non di favorire un creditore, bensì di sottrarre la società al fallimento.
A ben vedere dalle sentenze emerge che nel giugno 2017 la società si trovava in una condizione di decozione evidente, tanto che lo stesso COGNOME risultava protestato, segnalato alla Banca d’Italia e aveva visto chiusi i propri conti correnti bancari e quelli della società (fol. 6 sentenza di primo grado).
Ciò di fatto esclude che vi fosse una ragionevole speranza di poter evitare il fallimento, tanto più che anche l’assunto versamento di 58mila euro da parte di COGNOME, quale finanziamento soci, viene ritenuto non comprovato dal Tribunale di L’Aquila (fol. 7), non risultando la prova dei versamenti da parte dei congiunti dell’imputato a quest’ultimo per sostenere la società.
Se pure è vero che l’elemento soggettivo del reato di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale, e tale finalità preferenziale non è ravvisabile allorchè il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare i fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Sez. 5, COGNOME, cit.), è altrettanto vero che la Corte di appello abbia escluso, seppur sinteticamente ma in modo non manifestamente illogico, tale ragionevole plausibilità, rilevando come COGNOME fosse già consapevole dello stato di decozione irreversibile della società da lui amministrata (fol. 4).
D’altro canto, deve rilevare questa Corte, la condotta distrattiva relativa alla prima parte della imputazione, consolidatasi per omessa impugnazione, che risulta precedere cronologicamente quella preferenziale, palesa già una volontà tutt’altro che tesa a «salvare» la società. Inoltre, quanto al dolo specifico, lo stesso è ravvisabile quando l’atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri, quindi senza la volontà diretta di danneggiare altri creditori (Sez. 5, n. 673 del 21/11/2013, dep. 10/01/2014, COGNOME, Rv. 257963 – 01; mass. conformi: N. 4427 del 1998 Rv. 211138 – 01, N. 31894 del 2009 Rv. 244498 – 01).
Né esclude il dolo specifico la circostanza che COGNOME abbia agito per ‘neutralizzare’ la querela per truffa, in quanto lo stesso dolo non è incompatibile con fini ulteriori (Sez. 5, n. 7856 del 12/03/1987, Imondi, Rv. 176284 – 01), tanto più che si verterebbe in tema di movente della condotta che non ha rilevanza quanto al dolo.
Quanto al secondo e terzo motivo, deve preliminarmente evidenziarsi che la Corte di appello opera una riqualificazione superflua, in quanto l’origina contestazione, come si evince dal tenore della descrizione della condotta («… p avere … favorito … la società creditrice … in danno di altri creditori riferimento all’art. 216, comma 3, legge fall. contenuto nell’imputazione, pale come la condanna in primo grado fosse già intervenuta in relazione alla bancarotta preferenziale.
Per altro, deve anche rilevarsi come la Corte di appello abbia chiarito in modo corretto che la dosimetria minima della pena fissata dal Tribunale, con l prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla circostanza aggravante dell’art. 219, comma 2, n. 1 legge fall. per la pluralità dei fatti di bancarott consentiva una ulteriore riduzione della pena.
Ne consegue la genericità del motivo che non si confronta con la sentenza impugnata oltre che la manifesta infondatezza dello stesso.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma, 14/11/2023
Il Consigliere estensore
Il Pres .
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