Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19105 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19105 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nata a PORDENONE il 08/09/1970
avverso la sentenza del 20/06/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME
COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 20 giugno 2024 dalla Corte di appello di Trieste, che ha parzialmente riformato – concedendo all’imputata il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale – la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pordenone, resa all’esito di rito abbreviato, che aveva condannato COGNOME NOME per il reato di
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concorso in bancarotta fraudolenta preferenziale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE, fallita il 26 ottobre 2018.
Secondo i giudici di merito, l’imputata (dipendente della società fallita nonché amministratrice unica della società “RAGIONE_SOCIALE“) sarebbe responsabile – in qualità di concorrente estranea e in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME, amministratori della società fallita (nei cui confronti si è proceduto separatamente) – di alcuni pagamenti “preferenziali” in favore della “RAGIONE_SOCIALE” (per un import complessivo di euro 21.705,80), effettuati dalla “RAGIONE_SOCIALE” in un periodo in cui si trovava già in uno stato di dissesto. Non si trattava di pagamenti di forniture, ma della parziale restituzione di pagamenti (di dipendenti, forniture e imposte) che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva effettuato per conto della “RAGIONE_SOCIALE“, che «non poteva farne fronte in proprio».
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216, 223 e 224 legge fall.
Sostiene che i giudici di merito avrebbero motivato in maniera contraddittoria, in ordine alla «qualifica soggettiva» dell’imputata. Invero, dopo avere evidenziato tutta una serie di elementi che dimostrerebbero il ruolo di amministratrice di fatto da lei rivestito (riceveva gli incassi, operava direttamente sui conti correnti dell società, provvedeva a formare delle distinte di bonifico false, era “braccio operativo” dell’amministratore) avrebbero, poi, ritenuto l’imputata responsabile del reato contestato, a titolo di concorso dell’estraneo nel reato proprio dell’amministratore di diritto. Tale contraddizione, palese nella sentenza di primo grado, non sarebbe stata superata con la sentenza pronunciata dalla Corte di appello.
La ricorrente, in ogni caso, sostiene che l’imputata non potrebbe essere considerata amministratrice di fatto della società fallita, atteso che rivestiva il ruo di segretaria amministrativa, priva di qualsiasi autonomia decisionale.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Rappresenta che la difesa, con il primo motivo di appello, aveva dedotto la mancanza di consapevolezza da parte dell’imputata dello stato di decozione e di dissesto della società fallita.
Tanto premesso, la ricorrente sostiene che la Corte di appello, nel rispondere al motivo di appello, avrebbe ritenuto sussistente il dolo, «in parte mediante un’erronea applicazione della norma incriminatrice e in parte mediante palese travisamento delle risultanze probatorie». Invero, «non risultando che i pagamenti
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preferenziali in contestazione siano stati eseguiti» dall’imputata, questa potrebbe «ritenersi esclusivamente extraneus a titolo di percipiente il pagamento preferenziale». La Corte territoriale avrebbe addebitato all’imputata «una sorta di responsabilità di posizione esclusivamente in forza del suo ruolo formale di segretaria amministrativa del COGNOME».
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
L’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, ha depositato memorie di replica alle conclusioni del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
I giudici di merito, invero, hanno evidenziato le importanti mansioni che l’imputata svolgeva non per sostenere che essa fosse amministratrice di fatto della fallita, ma per porre in rilievo che la medesima, nell’ambito della società, aveva dei compiti di primaria rilevanza, che la portavano a essere a conoscenza delle vicende della società e, quindi, anche del pagamento preferenziale effettuato a favore della società da lei amministrata, concordato con i concorrenti intranei, in pregiudizio degli altri creditori.
In particolare, hanno posto in rilievo che: l’imputata era la responsabile del settore amministrativo della società fallita e quindi ne conosceva le vicende e l’andamento economico; era socia, tramite la “RAGIONE_SOCIALE“, della “RAGIONE_SOCIALE“, che vantava un credito nei confronti della fallita, e, pertanto, era a conoscenza dell’esistenza di altri creditori; era il «braccio operativo» dell’amministratore diritto della “RAGIONE_SOCIALE” nonché l’amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE” e, dunque, e sicuramente a conoscenza del pagamento effettuato dalla fallita in favore della società da lei amministrata.
In altri termini, i giudici di merito hanno valorizzato gli elementi in question non perché li hanno ritenuti rappresentativi dell’esercizio dei poteri di amministrazione della “RAGIONE_SOCIALE“, ma solo per sostenere la sussistenza del dolo del concorso dell’estraneo nel reato proprio dell’amministratore di diritto della fallita. Alcuna contraddizione, pertanto, è riscontrabile nelle loro motivazioni.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello, invero, come già detto, ha posto in rilievo che l’imputata aveva compiti di primaria rilevanza, che la portavano a essere a conoscenza delle vicende della società e, quindi, anche dell’andamento economico e finanziario della “RAGIONE_SOCIALE“, dell’esistenza di altri creditori e del pagamento preferenzial effettuato a favore della società da lei amministrata (cfr. pagine 7 e 8 della sentenza impugnata). La ricostruzione dell’elemento soggettivo è stata analitica e fondata su elementi concreti: dalla circostanza che l’imputata era la responsabile del settore amministrativo della società fallita e «braccio operativo» dell’amministratore di diritto è stato coerentemente dedotto che essa conoscesse le vicende e l’andamento economico e finanziario della “RAGIONE_SOCIALE“; dalla circostanza che la COGNOME era socia, tramite la “RAGIONE_SOCIALE“, della “RAGIONE_SOCIALE“, che vantava un credito nei confronti della fallita, è stato coerentemente dedotto che essa fosse a conoscenza dell’esistenza di altri creditori; dalla circostanza che l’imputata era il «braccio operativo» dell’amministratore di diritto della “RAGIONE_SOCIALE nonché l’amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE” è stato coerentemente dedotto che essa fosse a conoscenza del pagamento effettuato dalla fallita in favore della società da lei amministrata, che costituiva la parziale restituzione dei precedenti pagamenti (di dipendenti, forniture e imposte) che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva effettuato per conto della “RAGIONE_SOCIALE“, che «non poteva farne fronte in proprio».
Tali elementi hanno indotto la Corte territoriale a ritenere dimostrato l’elemento soggettivo del reato e a ritenere infondata la censura con la quale l’appellante aveva dedotto la mancata conoscenza dello stato di dissesto della società.
Si tratta di una motivazione priva di vizi logici, rispetto alla quale la ricorrent non ha dedotto alcun effettivo travisamento di prova, limitandosi a lamentare un generico e non meglio specificato «travisamento delle risultanze probatorie».
Va, peraltro, rilevato che il motivo di appello di cui la ricorrente lamenta l’inadeguata risposta (ossia quello con cui la difesa aveva dedotto la mancanza della consapevolezza dello stato di dissesto della società fallita) era infondato, atteso che, «in tema di concorso nel reato di bancarotta preferenziale, il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società» (Sez. 5, n. 27141 del 27/03/2018, COGNOME, Rv. 273481; Sez. 5, n. 16983 del 05/03/2014, COGNOME, Rv. 262905).
2. Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.