Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43088 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43088 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MANTOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/01/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso letta la memoria del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per raccoglimento dei motivi di ricorso.
I
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 gennaio 2024, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge fall., dichiarata prevalente alla contestata recidiva, riduceva ad anni 1 di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestatogli, per avere, quale presidente del Cda della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 21 febbraio 2012, distratto, dal 2009 al 2012, la somma complessiva di euro 32.554, frutto di prelevamenti dai conti della società, a mezzo delle carte di credito affidategli, per spese private.
1.1. La Corte territoriale, in risposta ai dedotti motivi di appello, osservava quanto segue.
Era stato il curatore a rilevare una serie di spese estranee all’oggetto sociale. Si trattava di esborsi di carattere personale ed ammontavano alla somma complessiva indicata in imputazione.
L’imputato aveva riferito di avere utilizzato le carte di credito per acquistare generi alimentari ed abbigliamento da consegnare ai quattro dipendenti residui quali compensi in natura, e due di loro, escussi come testimoni, ne avevano confermato le dichiarazioni.
Tuttavia, affermava la Corte, le spese di carattere più voluttuario – in profumerie, gioiellerie, ristoranti ed alberghi siti in località turistiche – n potevano trovare giustificazione nel versamento di compensi, in natura, ai dipendenti della cooperativa, né l’imputato poteva essersi sodisfatto in tal modo del pagamento di quanto dovutogli per la sua attività di amministratore, non essendo stata adottata alcuna delibera assembleare che ne riconoscesse il diritto e che ne liquidasse l’importo.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando le proprie censure in due motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed in particolare dell’art. 429, commi 1 e 2, e 217 cod. proc. pen., eccezione già formulata e non accolta dai giudici del merito.
Il capo di imputazione, infatti, riportava come distratta la somma complessiva derivante dall’utilizzo di due carte di credito nell’arco di quattro anni, così non consentendo al prevenuto di difendersi su ognuna delle condotte ritenute costituire un’illecita distrazione.
Né, come pure aveva affermato il Tribunale, dagli atti si erano potute evincere le singole operazioni posto che, negli allegati alle comunicazioni di polizia giudiziaria, i dati delle singole spese erano stati aggregati per mensilità e per genere.
Costringendo così l’imputato, a fronte della contestazione generica, a difendersi in modo altrettanto generico.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge in riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il delitto di bancarotta contestatogli anche in relazione alla corretta qualificazione giuridica della condotta.
La stessa Corte d’appello aveva ammesso che l’imputato, in alcune occasioni, aveva pagato i dipendenti con beni vari (generi alimentari e ristoranti in loco) per sopperire alle difficoltà della società ma aveva aggiunto che non era attendibile che altrettanto avesse fatto acquistando oggetti vari presso profumerie, gioiellerie e strutture turistiche.
Rispetto a tali ultime spese, però, si configurava un’ipotesi di bancarotta preferenziale posto che, seppure il compenso da versarsi al prevenuto, amministratore della fallita, non era stato determinato dall’assemblea, questo, comunque, gli spettava e le somme prelevate, pari a qualche migliaio di euro in quattro anni, erano perfettamente proporzionate all’impegno lavorativo profuso.
Si ricordava poi la giurisprudenza di legittimità sul fatto che, per escludere l’ipotesi di bancarotta preferenziale nel caso di pagamenti di compensi agli amministratori, non fosse unicamente decisiva l’assenza di un’apposita delibera assembleare (Cass. 36416/2023).
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell’imputato ha inviato memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto in relazione a quanto argomentato nel secondo motivo.
Il primo motivo di censura – speso sulla assunta genericità dell’imputazione – è, invece, manifestamente infondato, posto si erano ascritte al prevenuto, a titolo
di distrazione fallimentare, le spese effettuate con le carte di credito della società fallita non inerenti l’attività di questa.
Spese che, seppure riportate in imputazione nella somma complessiva e nel pert’oeti di tempo in cui erano state effettuate, non avevano certo impedito le dettagliate deduzioni della difesa, tanto che gli stessi giudici del merito, sulle proteste d’innocenza del prevenuto, erano stati in grado di precisare come alcune di esse potessero rientrare in quei pagamenti in natura che il prevenuto aveva fatto, di debiti, lavorativi, della cooperativa ed altre, di carattere meramente voluttuario (indicandole in modo preciso: per ristoranti, alberghi, in negozi di abbigliamento di note località turistiche nel periodo di agosto e settembre) non potessero, invece, ritenersi tali.
Se ne doveva dedurre che l’accusa mossa all’imputato non difettava affatto di specificità.
Si è, infatti, anche da ultimo ribadito che, in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale (Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, Rv. 286023; Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, COGNOME, Rv. 279090).
Il secondo motivo, speso sulla mancata riqualificazione della condotta nell’ipotesi di bancarotta preferenziale, è fondato.
Sulla medesima censura formulata con l’atto di appello – sul presupposto che l’imputato avesse compiuto quelle spese personali a titolo di compenso per la sua attività di amministratore – la Corte di merito, infatti, si era limitata ad affermar che non poteva accedersi alla tesi difensiva della riqualificazione del fatto nell’ipotesi di bancarotta preferenziale perché non era stata adottata alcuna delibera, dai competenti organi della fallita, che disponesse a tale riguardo.
Dimenticando così che si è, anche di recente, precisato (Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023, Ciri, Rv. 285115) che, in tema di bancarotta fraudolenta, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto i soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al
compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso.
Ne deriva, quanto all’odierno caso di specie, che troppo scarna appare la motivazione della Corte di merito che ha negato l’invocata riqualificazione della ipotesi distrattiva solo considerando l’assenza di un’apposta delibera assembleare, che riconoscesse il diritto dell’amministratore a ricevégi compensi e ne liquidasse ( l’importo.
Dovrà, invece, ad opera del giudice del rinvio, operarsi una più ampia valutazione seguendo le coordinate dettate dalla sopra citata sentenza di legittimità, che questo collegio condivide, dovendo privilegiarsi la sostanza (il diritto dell’amministratore al compenso per il lavoro effettivamente svolto) alla mera forma (la presenza di una delibera assembleare in proposito).
Nel caso di specie poi deve considerarsi come la somma complessiva indicata come distratta – decurtata della parte riconosciuta priva di rilievo penale perché corrisposta ai dipendenti – appare particolarmente contenuta anche considerando il lasso di tempo, di anni, in cui le spese erano state fatte, a fronte dell’attività amministrazione della cooperativa svolta, per tutto il periodo, dal prevenuto.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata per consentire al giudice del rinvio di più adeguatamente motivare sulla mancata riqualificazione della condotta rubricata come bancarotta per distrazione in un’ipotesi di bancarotta preferenziale.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso, in Roma il 30 settembre 2024.