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Bancarotta preferenziale: il compenso senza delibera

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore che aveva prelevato fondi societari per spese personali. La difesa sosteneva che si trattasse di autocompensi, chiedendo la riqualificazione del reato in bancarotta preferenziale. La Cassazione ha stabilito che la sola assenza di una delibera assembleare non è sufficiente per escludere tale ipotesi, imponendo al giudice di valutare la sostanza: l’effettività della prestazione lavorativa e la congruità del compenso.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Preferenziale vs Fraudolenta: Il Compenso dell’Amministratore senza Delibera

Una recente sentenza della Corte di Cassazione riapre il dibattito sulla corretta qualificazione dei prelievi effettuati dall’amministratore dalle casse sociali a titolo di compenso. Quando questa condotta integra il più grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e quando, invece, la più lieve ipotesi di bancarotta preferenziale? La Suprema Corte, con la sentenza n. 43088/2024, ha chiarito che l’assenza di una formale delibera assembleare non è, da sola, un elemento decisivo, privilegiando un’analisi basata sulla sostanza del rapporto.

I Fatti: Il Caso dell’Amministratore e le Spese Personali

Il caso riguarda l’amministratore di una società cooperativa, dichiarata fallita, accusato di aver distratto circa 32.000 euro nell’arco di quattro anni. I prelievi erano stati effettuati tramite carte di credito aziendali per coprire spese di natura personale, tra cui acquisti in profumerie, gioiellerie e soggiorni in località turistiche.

Nei gradi di merito, l’amministratore era stato condannato per bancarotta fraudolenta patrimoniale. La Corte d’Appello aveva parzialmente ridotto la pena, riconoscendo che una parte delle spese (generi alimentari e ristoranti) era servita a compensare in natura alcuni dipendenti. Tuttavia, aveva confermato la natura distrattiva delle altre spese, ritenute voluttuarie. La difesa dell’imputato, invece, sosteneva che tali somme rappresentassero un legittimo compenso per l’attività di amministratore e che, al più, la condotta dovesse essere riqualificata come bancarotta preferenziale.

L’ostacolo formale e la richiesta di riqualificazione in bancarotta preferenziale

La Corte d’Appello aveva respinto la tesi difensiva basandosi su un unico argomento: la mancanza di una delibera assembleare che autorizzasse e liquidasse il compenso dell’amministratore. Secondo i giudici di secondo grado, in assenza di tale atto formale, qualsiasi prelievo personale dalle casse sociali doveva considerarsi un’illegittima sottrazione di patrimonio ai danni dei creditori, integrando così la bancarotta fraudolenta.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto questa motivazione eccessivamente scarna e formalistica, accogliendo il ricorso dell’imputato. Richiamando un proprio precedente (sentenza n. 36416/2023), la Suprema Corte ha affermato un principio di diritto fondamentale: in tema di bancarotta, bisogna privilegiare la sostanza sulla forma.

Il punto centrale è che il diritto dell’amministratore al compenso sorge nel momento in cui la carica viene accettata e l’attività lavorativa viene effettivamente svolta. La delibera assembleare ha la funzione di quantificare tale compenso, ma la sua assenza non cancella il diritto in sé. Pertanto, per distinguere tra distrazione e bancarotta preferenziale, il giudice non può fermarsi alla verifica formale dell’esistenza di una delibera. Deve, invece, scendere nel merito e compiere una duplice valutazione:
1. Esistenza del credito: Verificare se l’amministratore abbia effettivamente svolto la sua prestazione lavorativa, maturando così un diritto al compenso.
2. Congruità del prelievo: Accertare se l’importo prelevato sia proporzionato e congruo rispetto all’impegno profuso e all’attività svolta.

Se il prelievo è giustificato da un credito reale e congruo, la condotta non è una distrazione (cioè una sottrazione di beni senza titolo), ma un pagamento preferenziale. L’amministratore, pagando sé stesso prima degli altri creditori, viola la par condicio creditorum (la parità di trattamento), commettendo il reato di bancarotta preferenziale, punito meno severamente. La Corte ha quindi annullato la sentenza e rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova e più approfondita valutazione basata su questi principi.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un’importante guida per gli amministratori di società in crisi e per i giudici chiamati a valutare queste complesse fattispecie. Viene ribadito che il diritto penale fallimentare non può basarsi su meri formalismi. L’assenza di una delibera non è un lasciapassare per una condanna per il grave reato di bancarotta fraudolenta. È necessario un esame sostanziale che verifichi se dietro al prelievo vi sia un diritto di credito effettivo. Solo in questo modo è possibile distinguere correttamente tra chi svuota illecitamente il patrimonio sociale e chi, pur violando le regole del concorso tra creditori, cerca di soddisfare un proprio legittimo diritto.

L’assenza di una delibera assembleare che fissa il compenso dell’amministratore trasforma automaticamente un prelievo in bancarotta fraudolenta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’assenza della delibera non è un fattore decisivo. Il giudice è tenuto a verificare nel merito se il prelievo corrisponde a un compenso per un’attività lavorativa effettivamente svolta e se l’importo prelevato è congruo rispetto a tale attività.

Qual è la differenza tra bancarotta per distrazione e bancarotta preferenziale in questo contesto?
Si ha bancarotta fraudolenta per distrazione se l’amministratore preleva fondi senza averne alcun diritto, sottraendo così patrimonio ai creditori. Si configura, invece, la bancarotta preferenziale se l’amministratore, pur avendo un credito effettivo per il lavoro svolto, si auto-paga violando la parità di trattamento con gli altri creditori.

Cosa dovrà fare il giudice a cui il caso è stato rinviato?
Il giudice del rinvio dovrà effettuare una nuova valutazione dei fatti. Nello specifico, dovrà accertare se l’amministratore avesse effettivamente diritto a un compenso, se le somme prelevate fossero proporzionate al lavoro svolto e, sulla base di questa analisi sostanziale, decidere se la condotta debba essere riqualificata come bancarotta preferenziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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