Bancarotta Preferenziale: Quando i Pagamenti dell’Amministratore a Sé Stesso sono Reato
La gestione di un’impresa in crisi richiede massima trasparenza e rispetto delle regole, soprattutto per tutelare tutti i creditori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di bancarotta preferenziale, chiarendo quando i pagamenti effettuati dall’amministratore a proprio favore, poco prima del fallimento, costituiscano reato. L’analisi di questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la linea sottile tra gestione lecita e condotta penalmente rilevante.
I Fatti del Caso: L’Amministratore Unico e i Pagamenti Sospetti
Il caso riguarda un amministratore unico di una società, condannato in primo e secondo grado per il reato di bancarotta preferenziale. L’accusa si fondava sull’aver effettuato, in prossimità della dichiarazione di fallimento, pagamenti a favore di sé stesso per estinguere propri crediti derivanti da forniture alla società. Tali pagamenti, secondo l’accusa, erano stati eseguiti con la piena consapevolezza dello stato di dissesto economico dell’azienda, violando così il principio della par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento tra tutti i creditori.
I Motivi del Ricorso: La Difesa dell’Imputato
L’imprenditore ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Assenza del dolo specifico: La difesa sosteneva che la sentenza d’appello non avesse motivato adeguatamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. A suo dire, mancava la prova della volontà specifica di favorire sé stesso a danno degli altri creditori.
2. Errata qualificazione giuridica: In subordine, si chiedeva di riqualificare il reato nella fattispecie meno grave di bancarotta semplice, sostenendo che la condotta non presentasse i caratteri della fraudolenza.
La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta Preferenziale
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno confermato la solidità della motivazione della Corte d’Appello, ritenendola logica, coerente e priva di vizi. Di conseguenza, la condanna per bancarotta preferenziale è diventata definitiva, con l’aggiunta per il ricorrente del pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte
L’ordinanza della Cassazione è particolarmente interessante per le motivazioni con cui ha smontato la linea difensiva dell’imputato.
La Prova del Dolo Specifico
Sul primo punto, la Corte ha chiarito che il dolo specifico nella bancarotta preferenziale può essere desunto da elementi fattuali chiari e concordanti. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato due aspetti cruciali:
* La conoscenza dello stato di decozione: L’amministratore, per il suo ruolo, non poteva non essere a conoscenza della grave crisi finanziaria dell’impresa, che risaliva addirittura a diversi anni prima.
* La natura dei pagamenti: I pagamenti erano stati eseguiti a favore di sé stesso. Inoltre, l’imputato si era affrettato a recuperare l’intero saldo delle sue forniture, a differenza degli anni precedenti in cui si era limitato a prelevare degli acconti. Questo cambio di comportamento è stato interpretato come un chiaro segnale della volontà di mettersi al riparo dal fallimento imminente, a scapito degli altri creditori.
La Cassazione ha sottolineato come queste non siano mere supposizioni, ma deduzioni logiche basate su prove concrete, sufficienti a dimostrare l’intento preferenziale.
La Qualificazione come Bancarotta Fraudolenta
Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato infondato. La Corte ha ribadito che la condotta contestata rientra a pieno titolo nell’ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale. Gli elementi chiave sono stati:
* L’esecuzione di prelevamenti dalle casse sociali.
* La presenza di uno stato di dissesto economico conclamato e conosciuto dall’amministratore.
* La finalità dei prelievi, volti a favorire il beneficiario (l’amministratore stesso) con consapevole pregiudizio per gli altri creditori sociali.
Non vi erano, quindi, i presupposti per una riqualificazione nel più mite reato di bancarotta semplice, che solitamente riguarda condotte negligenti o meno insidiose.
Le Conclusioni
Questa pronuncia della Suprema Corte riafferma un principio di grande importanza pratica: l’amministratore di una società in crisi ha il dovere di gestire il patrimonio sociale nel rispetto della parità di trattamento dei creditori. Pagare i propri crediti in via prioritaria, essendo consapevoli dell’incapacità dell’azienda di soddisfare tutti gli altri, non è una legittima riscossione, ma una condotta penalmente rilevante che integra il grave reato di bancarotta preferenziale. La decisione serve da monito per tutti gli amministratori, richiamandoli a una gestione corretta e trasparente, specialmente nei momenti di difficoltà aziendale.
Come si prova il dolo specifico nel reato di bancarotta preferenziale?
Secondo la Corte, il dolo specifico si desume da elementi oggettivi, come la piena consapevolezza dell’amministratore dello stato di insolvenza della società e l’aver agito con il fine di favorire sé stesso o altri creditori a danno della massa. In questo caso, l’essersi affrettato a saldare integralmente i propri crediti, a differenza del passato, è stato ritenuto un elemento decisivo.
Un amministratore che paga un proprio credito verso la società prima del fallimento commette sempre bancarotta preferenziale?
Sì, se lo fa quando è consapevole dello stato di crisi dell’azienda e con lo scopo di avvantaggiarsi rispetto agli altri creditori. La sentenza chiarisce che il pagamento di un debito, sebbene legittimo, diventa illecito se lede il principio della parità di trattamento tra i creditori in una situazione di imminente fallimento.
Perché la condotta non è stata riqualificata come bancarotta semplice, un reato meno grave?
La Corte ha ritenuto che la condotta rientrasse pienamente nella bancarotta fraudolenta preferenziale a causa dell’intenzionalità (dolo) di favorire un creditore (l’amministratore stesso) a danno degli altri, in un contesto di dissesto economico noto e risalente nel tempo. La bancarotta semplice riguarda condotte meno gravi, spesso prive di un chiaro intento fraudolento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22697 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22697 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a ALTAMURA il 06/09/1976
avverso la sentenza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
‘ GLYPH dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che ha parzialmente riformato, rideterminando la pena inflitta, la sentenza di primo grado, con cui egli era stato riconosciuto colpevole del delitto di bancarotta preferenziale ai sensi dell’art. 216, comma 3, legge fall.;
rilevato che, con il primo motivo, il ricorso prospetta il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta assenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico del reato di bancarotta preferenziale;
ritenuto che esso sia manifestamente infondato in quanto lo stesso prospetta un difetto di motivazione non emergente dal provvedimento impugnato, il quale presenta una motivazione tutt’altro che illogica o carente, avendo la Corte territoriale evidenziato come lo stato di decozione fosse certamente noto all’imputato e come non possa dubitarsi che, nella sua qualifica di amministratore unico, dinnanzi all’approssimarsi della dichiarazione di fallimento, egli abbia voluto favorire uno o più creditori della società a discapito dei restanti, atteso che i pagamenti preferenziali furono eseguiti a favore di sé stesso e che egli si era affrettato a recuperare l’intero saldo della sua fornitura anziché limitarsi a prelevare una somma in linea con gli acconti prelevati negli anni precedenti (si veda, in particolare, la pagina 4 del provvedimento impugnato);
ritenuto, altresì, che il motivo sia costituito da deduzioni in fatto senza che sia stato dedotto ritualmente un eventuale travisamento delle prove;
rilevato che, con il secondo motivo, il ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nel meno grave reato di bancarotta semplice;
ritenuto che anch’esso sia manifestamente infondato in quanto prospetta un difetto di motivazione non emergente dalla sentenza della Corte territoriale, la quale ha adeguatamente specificato perché nella specie ricorra un’ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale, stanti l’esecuzione dei prelevamenti dalle casse sociali in presenza di uno stato di dissesto risalente al 2015, conosciuto dall’imputato, da considerarsi preferenziali in quanto volti a favorire il relativo beneficiario con pregiudizio per i restanti creditori sociali (si veda, in particolare, la pagina 3 del provvedimento impugnato);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende,
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 maggio 2025
GLYPH
Il Consigliere estensore
Il Presidente