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Bancarotta per operazioni dolose: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta per operazioni dolose a carico dell’amministratrice di una società, fallita a causa del sistematico e protratto inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali. La sentenza stabilisce che tale condotta, creando un’esposizione debitoria insostenibile, integra il reato previsto dalla legge fallimentare, essendo sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di porre in essere un’operazione pericolosa per la salute finanziaria dell’impresa, accettandone il rischio del dissesto.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta per operazioni dolose: il caso del mancato pagamento dei debiti fiscali

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 36585 del 2024, offre un importante chiarimento sulla configurabilità del reato di bancarotta per operazioni dolose in caso di omesso versamento sistematico di imposte e contributi. La pronuncia conferma che anche una condotta puramente omissiva, se protratta nel tempo e idonea a cagionare il dissesto, può integrare questa grave fattispecie di reato fallimentare, delineando con precisione i confini della responsabilità penale dell’amministratore.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda la vicenda dell’amministratrice di una società di costruzioni, condannata in primo e in secondo grado per aver causato il fallimento dell’impresa. La condotta contestata non consisteva in classiche operazioni di distrazione di beni, bensì nel sistematico e prolungato inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali.

Questa gestione, iniziata quasi un decennio prima della dichiarazione di fallimento, aveva generato un’accumulazione di debiti verso l’Erario e gli enti di previdenza tale da diventare l’unica e determinante causa del dissesto finanziario della società. L’amministratrice ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza di prove sul nesso causale tra le sue omissioni e il fallimento, e contestando la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna dell’amministratrice. I giudici di legittimità hanno ritenuto le motivazioni delle sentenze di merito pienamente corrette e logiche, ribadendo principi consolidati in materia di reati fallimentari e specificando come questi si applichino al caso concreto.

La Corte ha stabilito che la scelta consapevole, estesa e sistematica di non versare i contributi e le imposte dovute costituisce un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. 2 della legge fallimentare.

Le Motivazioni della Sentenza

Le argomentazioni della Suprema Corte si concentrano su tre punti fondamentali che meritano un’analisi approfondita.

La Qualificazione della Condotta come Bancarotta per Operazioni Dolose

La difesa sosteneva che la mera omissione di pagamenti non potesse configurare le ‘operazioni dolose’ previste dalla norma. La Cassazione, al contrario, ha chiarito che il termine ‘operazioni’ ha una valenza ampia e ricomprende qualsiasi atto di gestione, anche omissivo, che sia intrinsecamente pericoloso per la salute finanziaria dell’impresa. L’inadempimento fiscale e contributivo, quando è sistematico e ingiustificato, non è una semplice difficoltà di cassa, ma una scelta gestionale che aumenta deliberatamente l’esposizione debitoria, rendendo prevedibile il conseguente dissesto. Si tratta di un abuso di gestione che pregiudica gli interessi dei creditori e dell’impresa stessa.

Il Nesso Causale e la Prova della Bancarotta per Operazioni Dolose

Un altro punto cruciale del ricorso riguardava il nesso di causalità. Secondo la ricorrente, non era stato provato che le sue omissioni fossero la causa diretta del fallimento. La Corte ha respinto questa tesi, evidenziando come i giudici di merito avessero accertato che l’ammontare del passivo fallimentare fosse quasi interamente costituito dai debiti fiscali e contributivi accumulati. Pertanto, la condotta omissiva non era una delle tante cause, ma la causa principale e diretta dell’insolvenza. Il fatto che i debiti fossero risalenti nel tempo non interrompeva il nesso causale, anzi, ne dimostrava la sistematicità e il progressivo aggravamento della situazione finanziaria.

L’Elemento Soggettivo: è Sufficiente il Dolo Generico

Infine, la Corte si è soffermata sull’elemento psicologico del reato. Per la bancarotta per operazioni dolose, a differenza della bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è richiesto il dolo specifico, ovvero l’intenzione di causare il fallimento. È sufficiente il dolo generico. Questo significa che l’amministratore deve essere consapevole di porre in essere un’operazione che mette a rischio la stabilità economica della società e deve accettare la probabilità che da tale condotta possa derivare il dissesto. Nel caso di specie, l’omissione sistematica e decennale dei versamenti, con la conseguente accumulazione di sanzioni e interessi, rendeva la decozione un evento altamente prevedibile, la cui verificazione era stata accettata dall’amministratrice come conseguenza della propria gestione.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio di grande rilevanza pratica per gli amministratori di società. La gestione aziendale deve essere improntata a criteri di prudenza e legalità. La scelta di non pagare sistematicamente imposte e contributi, magari per finanziare altre attività o semplicemente per inerzia, non è una mera irregolarità amministrativa, ma una condotta che può integrare il grave reato di bancarotta per operazioni dolose. La decisione della Cassazione serve da monito: la responsabilità penale per il fallimento di un’impresa può sorgere anche da comportamenti omissivi, quando questi rappresentano una scelta consapevole e rischiosa che porta inevitabilmente al collasso finanziario.

Il mancato pagamento sistematico di tasse e contributi può essere considerato bancarotta fraudolenta?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’inadempimento protratto, esteso e sistematico delle obbligazioni fiscali e contributive integra il reato di bancarotta cagionata per effetto di operazioni dolose, poiché tale condotta aumenta ingiustificatamente l’esposizione debitoria della società, rendendo prevedibile il suo dissesto.

Per la condanna per bancarotta per operazioni dolose è necessario che l’amministratore volesse specificamente far fallire l’azienda?
No, non è necessario. La sentenza chiarisce che per questo reato è sufficiente il ‘dolo generico’. Ciò significa che basta la consapevolezza di porre in essere un’operazione intrinsecamente pericolosa per la salute finanziaria della società, accettando il rischio che da essa possa derivare il fallimento, senza che vi sia la volontà diretta di provocarlo.

Cosa si intende per ‘operazioni dolose’ secondo la Cassazione in questo contesto?
Il termine ‘operazioni dolose’ include qualsiasi atto di gestione, attivo o omissivo, che comporti un abuso o un’infedeltà ai doveri imposti all’amministratore e che sia pericoloso per la stabilità economico-finanziaria dell’impresa. In questo caso, il mancato versamento sistematico di tributi e contributi è stato qualificato come tale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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