Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31485 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31485 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME NOME ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che l’imputato COGNOME NOME ricorre avverso la pronuncia con cui la Corte di appello di Roma in data 6 ottobre 2023 ha confermato la sentenza emessa dal GUP del Tribunale della medesima città in data 11.11.2022 che aveva accertato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di bancarott fraudolenta impropria (per aver cagioNOME il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione per effetto di operazioni dolose, consistite nella sistematica omissione del pagamento dei debiti tributari e previdenziali dal 2009, maturando un’esposizione debitoria nei confronti dell’erario di euro 49.245.825,43) e lo aveva condanNOME, ritenuta sussistente la contestata aggravante di cui all’art. 219 comma 2 n.1 I.fall., esclusa la recidiva, alla pena di anni due e mesi due di reclusione, nonché alle pene accessorie di cui all’art. 216 ult. co . L.fall.;
Ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta violazione di legge in relazione all’art.216, comma 1 n.1 I.fall. nonché vizio di motivazione in ordine al presunto disegno fraudolento ed al presunto collegamento realizzato dall’imputato tra la società RAGIONE_SOCIALE e le cooperative affidatarie, lamentando, tra l’altro, che la Corte territoriale non avrebbe considerato che ai fini dell’integrazio della bancarotta patrimoniale per esposizione di passività inesistenti è richiesto dolo specifico e non quello generico, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni d suo convincimento (si vedano pagg. 4, 5, 6 e 7 della sentenza impugnata, in particolare pagg. 4 e 5 ove è chiaramente delineata la fattispecie contestata ed ascritta al ricorrente che è quella della bancarotta impropria per operazioni dolose, consistite nella sistematica omissione del pagamento dei debiti tributari e previdenziali dal 2009 al fallimento, maturando un’esposizione debitoria nei confronti dell’erario di euro 49.245.825,43, costituente la causa del fallimento richiesto proprio da RAGIONE_SOCIALE, fattispecie che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non richiede il dolo specifico, e non quella dell’esposizione o riconoscimento di passività inesistenti che nell’ottica difensiva sarebbe insussistente per mancat dimostrazione del dolo specifico (consistente nel fine di ingiusto profitto o di recar pregiudizio ai creditori).
Si evidenzia altresì nella sentenza impugnata come dovesse ritenersi quella della bancarotta impropria per operazioni dolose la fattispecie contestata e ravvisata, corroborata dalle iscrizioni a ruolo a carico della RAGIONE_SOCIALE (per imposte sue
proprie) per importi consistenti già a partire dal 2007 e con picchi proprio nel periodo di amministrazione del ricorrente, con la conseguenza che l’assunto difensivo – qui riproposto – imperniato sull’asserita riferibilità dei debiti erariali cooperative consorziate ed affidatarie è stato ritenuto privo del minimo riscontro fattuale e giuridico, senza che l’appello avesse rappresentato alcun elemento nuovo di valutazione al riguardo; con l’ulteriore conseguenza che tutte le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado in ordine al ruolo svolto dall’imputato nell’ambito di un più ampio gruppo societario – sulle quali si erano essenzialmente appuntate le critiche dell’appellante secondo quanto riporta la stessa sentenza di appello – dovessero ritenersi estranee all’ipotesi accusatoria potrebbero – sottolinea la Corte di appello – al più rilevare ad colorandum);
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettur degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, d 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944), a fronte peraltro di una compiuta ed argomentata disamina della fattispecie nella pronuncia impugnata che ha, in buona sostanza, già affrontato le questioni qui riproposte con argomenti congrui ed adeguati;
Considerato che il secondo motivo di ricorso che denuncia vizio di motivazione in ordine al travisamento dei fatti non è consentito dalla legge in sede di legittimit perché costituito da mere doglianze in punto di fatto; esso è per altro verso generico appuntandosi sul ragionamento che si assume, genericamente, meramente presuntivo (a fronte della congrua ricostruzione svolta nella sentenza impugnata);
Ritenuto che il terzo motivo di ricorso che deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all’art. 220 I.fall., è manifestamente infondato in quanto inerente ad asseriti difetti della motivazione non emergenti dal provvedimento impugNOME, oltre che indeducibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (avendo la sentenza impugnata già indicato le ragioni per cui non si potesse ravvisare la meno grave fattispecie di cui all’art. 217 I.f. che scaturiscono peraltro dalla complessi ricostruzione svolta dai giudici di merito che depone per la componente dolosa della fattispecie contestata rispetto alla quale la mera asserzione riportata ricorso, riflettente il punto 6 della pagina 7 della sentenza impugnata, si risol
solo in un’annotazione ulteriore, conclusiva che non fa venir meno la ricostruzione complessiva in termini di dolo);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16.05.2024.