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Bancarotta per operazioni dolose: il caso in Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta per operazioni dolose a carico di un amministratore. L’imputato aveva creato una società ‘guscio vuoto’ per un’operazione di leasing immobiliare, la cui sostenibilità dipendeva esclusivamente dai pagamenti provenienti dal suo studio professionale. Interrompendo tali pagamenti, ha causato il fallimento. La Corte ha ritenuto l’operazione intrinsecamente pericolosa e il dissesto un evento prevedibile, configurando così il dolo eventuale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta per operazioni dolose: quando un’operazione rischiosa diventa reato?

La gestione di un’impresa comporta inevitabilmente l’assunzione di rischi. Ma qual è il confine tra una scelta imprenditoriale sfortunata e una condotta penalmente rilevante? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema, analizzando un caso di bancarotta per operazioni dolose. La decisione sottolinea come la creazione di una società ‘guscio vuoto’, utilizzata per un’operazione finanziaria la cui sopravvivenza dipende da un unico soggetto, possa integrare questo grave reato se l’amministratore accetta il rischio del fallimento.

I Fatti del Caso

Un amministratore unico e socio di maggioranza di una S.r.l. viene condannato per vari reati fallimentari, tra cui la bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, e la bancarotta impropria da operazioni dolose. Il fulcro della vicenda è un complesso schema negoziale: la società, priva di mezzi propri, stipula un oneroso contratto di leasing immobiliare. Per far fronte ai canoni, la stessa società subaffitta l’immobile allo studio professionale dello stesso amministratore.

Questo meccanismo, di fatto, rendeva la società totalmente dipendente dalla capacità reddituale del suo amministratore. Quando quest’ultimo, a causa di una propria crisi finanziaria, smette di pagare i canoni di subaffitto, la società non è più in grado di onorare il contratto di leasing, accumulando un debito ingente e venendo infine dichiarata fallita su istanza della società di leasing.
L’imputato si difende sostenendo che il dissesto non fosse prevedibile e che la sua condotta dovesse essere al massimo considerata colposa (bancarotta semplice), non dolosa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno ritenuto il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, ribadendo principi consolidati in materia. La Corte non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. In questo caso, la Corte d’Appello aveva correttamente ricostruito la vicenda, evidenziando la natura dolosa della condotta dell’amministratore.

Le Motivazioni: la prevedibilità del rischio nella bancarotta per operazioni dolose

Il punto centrale della motivazione della Cassazione risiede nella prevedibilità del dissesto. L’operazione era intrinsecamente pericolosa sin dall’inizio. La società era un ‘guscio vuoto’, senza alcuna autonomia finanziaria e liquidità, creata al solo fine di portare a termine un’operazione immobiliare nell’interesse dell’amministratore. La sua sopravvivenza era legata a un’unica fonte di reddito: il canone pagato dallo studio professionale dello stesso amministratore.

Secondo la Corte, era del tutto prevedibile che, al venir meno di quella fonte, l’intero schema sarebbe crollato. Stipulando il contratto di leasing in queste condizioni, l’amministratore ha consapevolmente esposto la società a un rischio altissimo, accettando la possibilità del fallimento. Questo configura il cosiddetto dolo eventuale: pur non perseguendo direttamente il fallimento, l’agente ne prevede la possibilità e accetta che si verifichi pur di realizzare i propri scopi.

Inoltre, la Corte ha qualificato come condotta distrattiva la mancata riscossione, da parte dell’amministratore, dei canoni dovuti dal proprio studio professionale. L’amministratore avrebbe dovuto agire contro sé stesso per tutelare il patrimonio della società, che è un soggetto giuridico distinto dalla sua persona.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: un’operazione societaria non è illecita in sé, ma lo diventa quando è strutturata in modo talmente precario da rendere il dissesto un esito altamente probabile. In tali circostanze, l’amministratore non può invocare l’imprevedibilità degli eventi. La scelta di procedere ugualmente, accettando il rischio concreto di mandare in rovina la società per perseguire un interesse personale o comunque esterno, integra il dolo richiesto per la bancarotta per operazioni dolose. Questo caso serve da monito per gli amministratori, richiamandoli al loro dovere di agire nell’interesse della società e di non esporla a rischi sproporzionati e mal calcolati.

Quando un’operazione aziendale rischiosa si trasforma nel reato di bancarotta per operazioni dolose?
Un’operazione rischiosa diventa reato quando è intrinsecamente pericolosa per la salute economica dell’impresa e l’amministratore, pur di realizzarla, agisce con la consapevolezza e l’accettazione del rischio che da essa possa derivare il dissesto della società.

Cosa significa ‘dolo eventuale’ nel contesto della bancarotta?
Significa che per la condanna non è necessario che l’amministratore abbia agito con lo scopo specifico di causare il fallimento, ma è sufficiente che si sia rappresentato il dissesto come una conseguenza possibile della sua condotta e, pur di non rinunciare ai propri obiettivi, abbia accettato il rischio che tale evento si verificasse.

Può un amministratore essere condannato per bancarotta per non aver recuperato un credito che la società vanta verso di lui?
Sì. Secondo la sentenza, la società è un soggetto giuridico distinto dal suo amministratore. Omettere di riscuotere un credito vantato dalla società nei confronti dello studio professionale dell’amministratore stesso integra una condotta distrattiva, perché priva la società di risorse dovute, contribuendo al dissesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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