Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20736 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME nata a Montagnana il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Montagnana il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 22 giugno 2023 della Corte d’appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le memorie depositate il 15 e il 27 marzo 2024 dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse dei ricorrenti, con la quale, anche in replica alle conclusion rassegnate dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, si insiste per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME, NOME e NOME COGNOME sono stati tratti a giudizio per rispondere, in concorso tra loro, quali componenti del consiglio di amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Padova il maggio 2010, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, perché, al fine di
finanziare la società RAGIONE_SOCIALE (in stato di dec:ozione e della quale erano i soci), stipulavano con la predetta un contratto di affitto di azienda e un contratto di locazione di immobile, prevedendo canoni annuali di 120.000 euro per l’affitto e 60.000 euro per la locazione e l’accollo del debito della RAGIONE_SOCIALE verso i suo dipendenti per il TFR, senza compensare i relativi debiti con paralleli crediti vantati verso la medesima RAGIONE_SOCIALE; così da dissipare consistenti risorse finanziarie, per complessivi euro 565.299,22 (350.874,36 nel 2008; 180.770,70 nel 2009 e 33.654,16 nel 2010). Con le aggravanti del danno patrimoniale di rilevante entità (con un disavanzo pari a euro 2.145.088,00) e dei più fatti di bancarotta.
Celebrato il giudizio di primo grado, il Tribunale riteneva integralmente provata la prospettazione accusatoria e condannava tutti gli imputati alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, con le sanzioni accessorie di pari durata e l’interdizione temporanea dei pubblici uffici per la durata di cinque anni.
Investita dell’impugnazione proposta dai tre imputati, la Corte d’appello di Venezia dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per essere il reato a lui ascritto estinto per morte del reo e rideterminava la pena irrogata a NOME e NOME, riconoscendo loro le attenuanti generiche in termini di equivalenza rispetto alla contestata aggravante.
Propongono ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME, articolando tre motivi d’impugnazione.
Il primo deduce violazione dell’art. 216 I. fall. e connesso vizio di motivazione, nella parte in cui la Corte d’appello ha (ri)qualificato come distrattiva una condotta (consistente nell’indebita omessa compensazione con i crediti che la fallita pur aveva nei confronti dell’affittuaria) che, ricollegandosi, comunque, ad un effettivo rapporto credito-debito, potrebbe al massimo qualificarsi in termini di bancarotta preferenziale.
Il secondo deduce il vizio di motivazione, nella parte in cui, non essendo in contestazione l’effettività della controprestazione offerta dalla RAGIONE_SOCIALE e quindi l doverosità del pagamento effettuato e residuando una semplice omissione (quanto all’eccezione di compensazione), la Corte d’appello non avrebbe dato conto di come il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale possa consumarsi attraverso una mera condotta omissiva, in sé priva di effetti depauperativi.
Il terzo deduce la violazione dell’art. 1241 cod. civ., nella parte in cui la Cort d’appello non avrebbe tenuto conto dei limiti imposti alla compensazione legale, avendo le reciproche partite creditorie titolo, importi, decorrenze e scadenze del tutto disomogenee.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ai ricorrenti, per come si è detto, è contestato, nella loro qualità di amministratori della società fallita, di aver pagato i debiti contratti nei confron della RAGIONE_SOCIALE (della quale i ricorrenti erano soci e conoscevano lo stato di decozione) a titolo di canoni di affitto e locazione, senza eccepire la compensazione con i corrispondenti crediti vantati nei confronti della prima dalla fallita. Condotta originariamente qualificata in termini di dissipazione (e così ritenuta in primo grado) e successivamente (all’esito del giudizio di secondo grado) in termini di distrazione.
I ricorrenti deducono, da un canto, che la condotta omissiva contestata non avrebbe potuto realizzare il ritenuto effetto distrattivo ( rappresentando al massimo un pagamento preferenziale) e, dall’altro, l’insussistenza dei presupposti normativi per l’esercizio della prospettata compensazione legale.
Le deduzioni sono tutte infondate.
Appare opportuno premettere che le diverse condotte nelle quali si sviluppa la bancarotta fraudolenta patrimoniale sono (quanto meno quelle di dissimulazione occultamento, distrazione e dissipazione) diverse modalità di aggressione dello stesso bene giuridico (rappresentato dall’interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell’imprenditore, destinata, dall’art. 2740 cod. civ., a garanzia dei debiti contratti): singole modalità di esecuzione alternative e fungibili di un solo reato (Sez. 5, n. 30442 del 22/06/2006, Preziosa, n.m.), strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori); evento, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che può realizzarsi in qualunque forma e con qualunque modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale utilizzato, né la possibilità d recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate in favore della curatela (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Rv. 213120).
Dal punto di vista meramente descrittivo, tuttavia, mentre la dissipazione si concretizza nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue rispetto alle effettive esigenze dell’azienda (avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti: Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020), la distrazione è nozione di carattere residuale e si realizza in tutte ipotesi in cui il bene consapevolmente sottratto alla destinazione impressa dall’art. 2740 cod. civ. e alla
conseguente apprensione da parte degli organi fallimentari, a prescindere dalle modalità attraverso le quali questo risultato è realizzato.
Ciò che caratterizza la condotta, quindi, in tutte le sue alternative manifestazioni, è il risultato ultimo, la lesione dell’interesse dei creditori conservazione dell’integrità patrimoniale conseguente ad un atto di disposizione che abbia determinato una diminuzione economicamente apprezzabile del compendio attivo della società fallita.
In questo contesto, tuttavia, e con particolare riferimento agli atti a tito oneroso, non ogni atto dispositivo è, all’evidenza, distrattivo, rientrando il potere di disposizione all’interno delle legittime facoltà dell’imprenditore. Ciò ch caratterizza l’atto distrattivo e lo differenzia rispetto alla lecita atti disposizione del suo patrimonio, dovendo le facoltà riconosciute all’imprenditore essere esercitate in funzione delle finalità proprie dell’attività economica realizzata, è la sua estraneità rispetto a tali finalità e la sua idoneità ad incid sull’integrità del patrimonio sociale.
Cosicché, anche l’esercizio di facoltà legittime, comprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall’ordinamento, può costituire uno strumento di frode in danno dei creditori, laddove, all’esito di un accertamento in concreto, le conseguenze prodotte sulle ragioni del ceto creditorio siano state effettivamente depauperative (Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME Febo, Rv. 260486), dovendosi valutare la reale incidenza dell’atto sulla consistenza della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e, quindi, l’esistenza, l’effettività e l’integrità del rapporto sinallagm che sta alla base dell’atto di disposizione (Sez. 5, n. 9430 del 17/05/1996, Gennari, Rv. 205921).
Ciò considerato, è dato pacifico che la RAGIONE_SOCIALE fosse in stato di decozione; che tutti i ricorrenti, in quanto soci di quest’ultima, fossero conoscenza del suo stato di decozione e che vi fossero delle reciproche poste creditorie non compensate.
Ebbene, le deduzioni difensive quanto alla concreta operatività della compensazione sono infondate, essendo irrilevante la prospettata diversità dei titoli giustificativi dei reciproci crediti, i singoli importi e le varie scadenze. Ci rileva è la loro comune natura pecuniaria e la loro concreta esigibilità e liquidità (al momento della coesistenza); circostanze tutte non oggetto di specifica contestazione. E a queste condizioni, la compensazione (legale) opera di diritto per effetto della sola coesistenza dei debiti e l’eventuale sentenza che la accerti è meramente dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi (Cass. civ. n. 22324 del 22/10/2014, Rv. 633014).
pur vero che la concreta operatività della compensazione presuppone sempre che una delle parti dichiari di volersene avvalere (essendo rimesso l’esercizio del correlativo diritto potestativo alla libera valutazione dell’interesse ciascuna delle parti all’adempimento: Class. civ. n. 23948 del 02/10/2018, Rv. 650589). Tuttavia, il fatto che il giudice non possa rilevare d’ufficio l compensazione, ai sensi dell’art. 1242, primo comma, cod. pen., non toglie che la causa estintiva operi ipso iure sin dal momento della coesistenza dei due debiti. E
In tale contesto, i ricorrenti, in quanto soci della RAGIONE_SOCIALE, ne conoscevano lo stato di decozione e quindi, nell’effettuare il pagamento senza tenere conto della compensazione, erano consapevoli delle significative potenzialità pregiudizievoli della loro scelta derivanti dalla concreta possibilità che alla luce del conclamato stato di decozione della debitrice, il credito della falli potesse rimanere insoddisfatto o essere pagato in moneta fallimentare.
Cosicché, in ultimo, non è la condotta omissiva ad avere valenza distrattiva, ma il conseguente pagamento, effettuato nonostante l’intervenuta estinzione per compensazione. In ciò la distrazione, rappresentando, logicamente, tale scelta un evidente strumento per immettere liquidità nella RAGIONE_SOCIALE, sottraendo le relative somme alla garanzia dei creditori della società poi fallita.
I ricorsi, quindi, devono essere rigettati e i ricorrenti condannati a pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2 aprile 2024
Il onsigliere estensore
Il Presidente