Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7233 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Barletta il 12/09/1958
avverso la sentenza del 14/11/2023 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, in sede di rinvio disposto da questa Corte, con sentenza n. 44664 – 21, resa dalla sezione Quinta penale, in data 27 ottobre 2021, in riforma della condanna emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, del 21 maggio 2013, ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui agli artt. 216, n. 1 r. d. n. 267 del 1942, relativo al bene mobile non rinvenuto nell’inventario e alla somma di euro 105.322,48 perché il fatto non sussiste, con riduzione della durata delle pene accessorie fallimentari in quella di anni uno e mesi quattro e conferma, nel resto, della pronuncia di primo grado.
1.1.La sentenza di secondo grado resa il 24 gennaio 2020, annullata parzialmente con la sentenza rescindente, aveva confermato la decisione di primo grado che aveva condannato l’imputato alla pena di anni uno e mesi
quattro di reclusione, per il GLYPH reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestatogli nella qualità di imprenditore individuale dichiarato fallito in data 8 luglio 2009, in relazione alla distrazione di un carrello elevatore del valore di 625,00 euro e della somma di 128.892,67 euro, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla circostanza aggravante di cui all’art. 219 n. 1 legge fall. e sulla contestata recidiva, con pene accessorie fallimentari per la durata di anni dieci.
1.2. La sentenza rescindente ha annullato con rinvio la pronuncia, riscontrando vizio di motivazione, sia quanto alla denunciata distrazione del bene mobile descritto nell’imputazione, sia rispetto alla contestata distrazione di somme, segnalando la sussistenza di vizio motivazionale anche nella sentenza di primo grado. Inoltre, si è rilevato che la conferma della decisione di primo grado era relativa anche alle pene accessorie fallimentari irrogate, però, in misura fissa di anni dieci quanto alla loro durata, dovendo, invece, trovare applicazione la norma nella formulazione successiva alla pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018.
1.3. Il Giudice del rinvio, con il provvedimento impugnato, ha annullato parzialmente la condanna, limitatamente alle operazioni distrattive relative al bene mobile non rinvenuto e alla somma di euro 105.322,48, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado, anche quanto all’entità della pena principale irrogata all’imputato, ma riducendo la durata delle pene accessorie fallimentari di cui all’art. 216, uc. legge fall. alla misura pari alla pena principale irrogata di anni uno e mesi quattro.
Propone tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, denunciando vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione alle due condotte distrattive residue (distrazione della somma di euro 14.500,00 attraverso bonifico effettuato alla RAGIONE_SOCIALE, in data 2 aprile 2007 e riduzione del credito di euro 9.070,18 effettuato in favore della stessa società, in data 30 dicembre 2008) e alle relative motivazioni.
2.1. Con riferimento alla prima operazione, si denuncia violazione dell’art. 216 n. 1 e 3 legge fall., vizio di motivazione e travisamento della prova, rappresentata dalla perizia svolta nel primo grado, dall’esame del perito, dalla consulenza tecnica del Pubblico ministero e dalla relazione del curatore fallimentare ex art. 33 legge fall.
Il Giudice del rinvio avrebbe omesso di considerare, nel ritenere ingiustificato il bonifico di euro 14.500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza di u rapporto di subappalto tra la ditta dell’imputato e la società a responsabilità limitata, pur riconoscendo l’esistenza di un rapporto commerciale e di lavoro tra le due imprese, in quanto la sentenza di appello sostiene che la società a
responsabilità limitata costituita da moglie e figlia dell’imputato, come cliente, avrebbe soltanto ricevuto forniture di beni dalla fallita.
Si denuncia, inoltre, vizio di motivazione quanto alla riqualificazione dell’operazione come bancarotta preferenziale, reato estinto per intervenuta prescrizione.
La difesa deduce che la RAGIONE_SOCIALE era cliente della fallita da cui veniva rifornita di beni e materiali operando nel medesimo settore e che, secondo la sentenza impugnata, avrebbe dovuto corrispondere alla ditta individuale dell’imputato il corrispettivo di beni e forniture. Tuttavia, la stessa sentenza indica come non giustificato il passaggio di danaro dal conto corrente aziendale a quello societario.
Invece, la difesa deduce che, tra le due aziende, vi erano continuativi rapporti commerciali e di lavoro questi ultimi del tutto trascurati dai giudici del rinvio, pur essendo decisivi per la qualificazione del bonifico di cui si discute.
Eppure, a parere del ricorrente, la sussistenza di rapporti di lavoro tra la ditta individuale e la società responsabilità limitata è stata dedotta al giudice del rinvio, come si evince dal verbale di udienza del 2 ottobre 2023, dall’escussione del perito il quale ha affermato che vi era anche attività di subappalto da parte della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla ditta individuale dell’imputato.
Sicché, non sarebbe corretta l’affermazione del giudice del rinvio che individua la RAGIONE_SOCIALE solo come cliente della fallita perché con tale ragionamento si trascura il rapporto di lavoro e di fornitura di prodotti finiti in regime di subappalto esistente tra le aziende. Peraltro, si tratterebbe di rapporto che già emergeva in base alla consulenza tecnica del pubblico ministero e alla relazione del curatore fallimentare, prove riportate per stralcio a p. 8 e ss. del ricorso.
La ditta individuale dell’imputato, negli anni 2007 e 2008, non poteva produrre le malte e i gessi in regime di subappalto di manodopera e di fornitura del prodotto finito se non con la RAGIONE_SOCIALE e fino alla messa in liquidazione di quest’ultima, avvenuta alla fine del 2008.
Il consulente tecnico di ufficio ha rappresentato che le due imprese avevano la stessa sede operativa e di esercizio dell’attività d’impresa, fino alla messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE, mentre il curatore ha rilevato la carenza assoluta di personale nella fallita per la produzione di malte e gessi. Di qui l’equivoca natura dei plurimi bonifici effettuati dalla ditta individuale alla RAGIONE_SOCIALE che giudice del rinvio ha riconosciuto come distrazioni.
Si rimarca, inoltre, che la sentenza di primo grado ha assolto l’imputato dall’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale ritenendo l’esposizione di dati inesistenti o errati relativi soltanto alla ipotesi di bancarotta societaria e art. 223 legge Fall. mentre la fallita era una ditta individuale non escludendo,
tuttavia, la sussistenza dei fatti materiali e delle condotte descritte tra cui figurano le registrazioni del 2007, contabilizzate in entrata del conto cassa, per un totale di 21.500,00 euro, quando, invece, si trattava di bonifici transitati nelle casse del Monte Paschi di Siena in favore della RAGIONE_SOCIALE
Dunque, anche successivamente al giroconto del 2 aprile 2007 con contestuale bonifico alla s.r.lRAGIONE_SOCIALE di 14.500 C, risultano altri tre bonifici effettu dalla fallita alla s.r.l. con medesime modalità, operazioni per le quali non viene contestata alcuna distrazione.
Ciò, a parere del ricorrente, dimostrerebbe l’esistenza di plurimi pagamenti al subappaltatore i di cui quello del 2 aprile 2007 è stato contestato come distrazione perché, dalla fase delle indagini fino al giudizio di rinvio, si è ritenuto che il giroconto a spese di famiglia fosse stato utilizzato per finalità extraaziendali e non perché fosse da escludere un rapporto di subappalto tra le imprese.
Il rapporto tra le due aziende, per il ricorrente, è effettivamente esistente altrimenti a Daloiso sarebbe stata contestata la distrazione per tutti i bonifici che sono risultati in favore della s.r.l. per carenza di giustificazione, come il perito ha accertato trattandosi di beneficiaria degli importi di tali bonifici (per un totale d 21.500,00 euro, non contestati come distrazione ma solo come bancarotta documentale dalla quale Daloiso, peraltro, è stato assolto sin dal primo grado di giudizio).
Si segnala che le due aziende avevano la stessa sede, ubicazione negli stessi capannoni e che la fallita, negli anni 2007 e 2008, non aveva personale, rimarcando che questa aveva operato soltanto fino alla liquidazione della RAGIONE_SOCIALE
2.2. Quanto al vizio di cui all’art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. i relazione alla conferma della condanna per la distrazione del credito di euro 9070,18, vantato verso la RAGIONE_SOCIALE si denuncia violazione degli artt. 516, 518, 519, 520, 521, 522 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, violazione degli artt. 216 n. 1 e 217 n. 1 legge fall., travisamento della prova rappresentata dalla perizia effettuata in primo grado, dall’esame del perito, anche nel giudizio di rinvio, dalla relazione del curatore fallimentare, dall’esame testimoniale e dalla consulenza del Pubblico ministero.
Si afferma che detta distrazione non è contestata nel capo di imputazione relativo al complessivo importo di 215.871,04 C quale distrazione di somme utilizzate per uso personale e spese di famiglia. L’imputazione, infatti, descrive prelievi di somme per uso personale o spese di famiglia, dal 2006 al 2009, riportandosi al contenuto della perizia sia globalmente sia per annualità.
Il conto denominato spese di famiglia è un conto utilizzato nella contabilità delle ditte individuali in cui rifluiscono tutte le somme prelevate dal titolare per i proprio sostentamento o pagamenti di spese avvenute utilizzando disponibilità
liquide. Si tratta di prelievi di somme liquide di denaro per spese personali e di famiglia quindi la riduzione del credito non deve reputarsi compresa .l nell’imputazione se non come prelievo o giroconto a spese di famiglia della liquidità derivante dall’incasso del titolo, fatto diverso da quello contestato.
Si tratta di operazione di riduzione del credito, introdotta per la prima volta nell’elaborato peritale e che la sentenza rescindente ha escluso potesse dimostrare la distrazione di avviamento commerciale dalla fallita alla s.r.l.
Il giudice del rinvio ha sostenuto che l’imputato, con la riduzione del credito a favore della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe restituito alla stessa una somma percepita come credito per prestazioni erogate alla stessa società, così attribuendo a COGNOME un fatto diverso rispetto a quello contestato, cioè al prelievo di liquidità per uso di famiglia.
La sentenza impugnata non avrebbe ricostruito in modo corretto l’operazione come, invece, ha fatto il perito. Secondo quest’ultimo, l’imputato ha incassato il titolo avuto dalla società a cui non è mai stato restituito, ha utilizzato l’incasso per finalità non accertabili, tra cui potrebbero essere ricomprese anche transazioni relative al pagamento di debiti aziendali, ha operato la riduzione del credito verso la RAGIONE_SOCIALE con giroconto a spese di famiglia, evidentemente per dissimulare l’incasso e simulare la restituzione del credito a titolo gratuito.
Il giudice del rinvio ravvisa la distrazione nel mancato incasso del titolo e nella restituzione alla RAGIONE_SOCIALE a titolo gratuito ma nulla afferma circa l’utilizzo del somme per eventuali fini extra aziendali, effettivo comportamento che si ascrive all’imputato.
Si sostiene, in definitiva, che, alla base dell’operazione contabile, c’è stato un falso per dissimulare l’incasso del titolo e per simulare una riduzione del credito della società ormai in liquidazione, onde evitare a questa eventuali azioni revocatorie.
La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in pubblica udienza partecipata, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, comma 2, lett. a), b), c) e 3 del d. I. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.
All’odierna udienza le parti presenti hanno concluso nel senso riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Va premesso che, secondo il consolidato il principio affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345), a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a
compiere un nuovo, completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge, consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto, risultanti dalle emergenze processuali, nonché di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (conf. n. 27116 del 2014, Rv. 259811; n. 42814 del 2014, Rv. 261760; n. 36080 del 2015 Rv. 264861). Dunque, ipotesi di annullamento con rinvio per vizi della motivazione, la cognizione devoluta al giudice di merito – entro i motivi proposti con l’originario gravame – è limitata solo dalla preclusione derivante all’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questione di diritto e dal divieto di ripetizione de percorso logico, censurato dal giudice rescindente, mentre si estende, nell’ambito tracciato dai predetti limiti, alla rivalutazione integrale delle censure articolate, comprese quelle non esaminate dalla Corte di legittimità in quanto ritenute assorbite perché logicamente implicanti la necessaria rivalutazione della questione accolta.
1.2. Ciò premesso, si osserva che, nel caso al vaglio, l’annullamento con rinvio era limitato al rilevato vizio di motivazione (non essendosi, in alcuna parte, pronunciata la sentenza rescindente nel senso dell’insufficienza del complesso di prove a carico) con riferimento a più operazioni contestate come distrattive, relative al bene mobile e alle somme indicate a p. 3 e ss. della pronuncia, oltre al riscontrato vizio inerente alla motivazione relativa alla durata delle pene accessorie fallimentari.
All’esito del giudizio ex art. 627 cod. proc. pen., a fronte della pronunciata assoluzione per parte delle condotte, residuano all’esame di questa Corte i dedotti vizi relativi alla ritenuta responsabilità dell’imputato per due operazioni concernenti le distrazioni relative al giroconto del 2 aprile 2007, con bonifico contestuale alla RAGIONE_SOCIALE di 14.500 C, nonché alla sostanziale riduzione del credito di euro 9.070,18 effettuata in favore della stessa società, in data 30 dicembre 2008.
1.2.1. Con riferimento alla prima operazione, va premesso che la nozione di distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori) – che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf., Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486) – ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, n.
7555 del 30/01/2006, COGNOME, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, COGNOME, Rv. 203006). Tale ultima definizione rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche residuale, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto, diverso dall’occultamento o dalla dissimulazione, determinante la pura e semplice fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito / che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, Fabbri, Rv. 179047).
Va, poi, chiarito che, in tema di bancarotta per distrazione, per verificare la sussistenza del dolo è sufficiente accertare che l’atto dispositivo / che ha comportato diminuzione patrimoniale, sia privo di sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa e, poiché per la realizzazione del reato è richiesto il dolo generico (ravvisabile, a volte, in re ipsa), la divergenza obiettiva dell’atto di disposizione da tale fine (che è l’unico cui devono ispirarsi gli atti di gestione)› dà sufficientemente conto della direzione del volere dell’agente i) (Sez. 5, n. 4424 del 09/03/1999, COGNOME Rv. 213117 – 01 che ha indicato come del tutto irrilevanti i motivi che hanno determinato il comportamento dell’imprenditore).
Tali essendo i principi cui il Collegio intende dare continuità, si osserva che la prima operazione in esame è un bonifico che la fallita attribuisce alla società a responsabilità limitata, riferibile a moglie e figlia dell’imputato, non giustificabile secondo la Corte territoriale, in ragione dei fini istituzionali dell’impresa, con ragionamento che non appare manifestamente illogico né frutto di travisamento delle prove, anche assunte all’esito di rinnovazione istruttoria svolta.
Invero, il prelievo dell’importo dalla cassa della ditta individuale, pari a euro 14.500 viene giustificato contabilmente come prelievo per far fronte a spese di famiglia (cfr. p. 6 della sentenza di appello) ma la somma, diversamente dal contenuto della scrittura contabile, viene poi erogata, contestualmente, con bonifico, in favore della società RAGIONE_SOCIALE così determinando una diminuzione della disponibilità bancaria sul conto corrente della ditta individuale, con incremento, per pari importo, del conto esistente presso lo stesso istituto di credito ma intestato al diverso ente societario.
Significativa, nel senso della non manifesta illogicità delle conclusioni cui è giunta la Corte territoriale, è la causale del versamento che risulta delle scritture quale giroconto spese famiglia, per una somma che, invece, non risulta destinata a (giustificate) esigenze familiari dell’imprenditore individuale ma, anzi, risulta bonificata, contestualmente, per il medesimo importo, in favore della RAGIONE_SOCIALE riferibile a moglie e figlia del Daloiso.
La giustificazione che svolge il ricorrente per contestare la conclusione della ritenuta distrazione, quanto all’esistenza di un rapporto di subappalto tra le aziende, finisce per negare la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE fosse solo cliente della fallita dalla quale riceveva forniture di beni. Si prospetta, invece, un rapporto di reciproco dare e avere, sulla base di una sollecitata rilettura di fonti probatorie, in parte riportate solo per stralcio (cfr. p. 8 e ss. del ricorso), non consentita a questa Corte e, comunque, devoluta in assenza della specifica indicazione della rilevanza di, eventuali, generici rapporti di subappalto, intercorsi tra ditta individuale e società a responsabilità limitata, senza specifica indicazione di questi con puntuale riferimento alla singola operazione che è in contestazione.
Inoltre, si deve riscontrare che tale prospettazione non era stata devoluta al giudice della legittimità con il primo ricorso per cassazione nel quale, anzi, proprio il secondo motivo formulato dava atto che le uniche operazioni che avevano comportato un vantaggio per la RAGIONE_SOCIALE erano proprio il bonifico di 14.500,00 C e la riduzione del credito vantato dalla ditta individuale dell’imputato verso la RAGIONE_SOCIALE
A ciò va aggiunto il decisivo rilievo che attribuisce la sentenza impugnata alla data in cui si colloca l’operazione (2 aprile 2007) in un momento, cioè, di dissesto della ditta individuale e alla circostanza che, comunque, dal punto di vista contabile, il prelievo della somma veniva giustificato come giroconto spese famiglia, ma con destinazione dell’importo non assicurata perché la medesima somma, contestualmente, era confluita nella diversa s.r.l.
La sentenza di appello, in definitiva, descrive, con ragionamento immune da illogicità manifesta, come, in costanza di dissesto, si fosse verificato il ricorso a prelevamenti da parte del titolare dell’impresa, solo apparentemente destinati a spese familiari e che, in sostanza, avevano determinato un deflusso finanziario idoneo ad alterare ulteriormente il già precario equilibrio patrimoniale dell’azienda.
Né può assumere rilievo, con riguardo alla specifica operazione contestata, ripercorrere, come vorrebbe il ricorrente, le ragioni per le quali altri “passaggi” di somme (per euro 21.000,00) dalla ditta individuale dell’imputato e la RAGIONE_SOCIALE, indicati come emersi nel corso dell’istruttoria svolta, non siano stati ritenuti espressione di condotte distrattive.
Del resto, è noto che ai fini della sussistenza della bancarotta per distrazione è centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
I giudici del rinvio hanno accertato l’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo, nonché l’elemento soggettivo, rappresentato dal dolo generico, valorizzando, quale indice di fraudolenza, la condizione
patrimoniale e finanziaria dell’impresa individuale, il contesto in cui operava, le cointeressenze di COGNOME rispetto alla sRAGIONE_SOCIALE, riferibile a suoi stretti congiunti, l sussistenza della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa, in quanto collocata in un momento di estrema difficoltà dell’impresa individuale già in decozione.
Infine, con riguardo alla condotta in esame, la mancanza di collegamento ravvisata dai giudici di merito tra l’operazione e un credito certo della s.r.lRAGIONE_SOCIALE nei confronti della fallita,z esclude in radice la configurabilità della fattispecie della bancarotta preferenziale, integrando, invece, la condotta accertata un indebito depauperamento del patrimonio della fallita non anche una mera alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori.
1.2.2. Quanto al secondo aspetto censurato, va premesso che la riduzione ) del credito che viene riconosciuta dal giudice del rinvio come distrazione è operazione che rientra nella complessiva contestazione di bancarotta patrimoniale ascritta all’imputato (cfr. p. 7 della sentenza di primo grado).
In sostanza, si tratta di credito che la ditta individuale doveva percepire dalla cliente RAGIONE_SOCIALE e che, invece, viene, in sostanza, ridotto dalla fallita in periodo di decozione e a ridosso del fallimento (in data 30 dicembre 2008), per l’importo di euro 9070,18. Tale somma, secondo il perito del giudice, era imputata a spese di famiglia sul conto 7.07.005 così denominato, nonostante si sia trattato della – sostanziale – riduzione di un credito vantato verso la cliente RAGIONE_SOCIALE (cfr. 4 della sentenza impugnata ove si richiama la tabella della relazione peritale p. 15 e 16).
La Corte territoriale sottolinea, ai fini di qualificare l’operazione come distrazione, il momento dell’operazione, svolta in pieno dissesto e, dunque, in danno ai creditori perché, in quel momento, appariva senz’altro ingiustificata la riduzione del credito vantato dalla ditta individuale di Daloiso; si segnala, poi, che tale riduzione si è svolta attraverso il contestuale versamento della somma, almeno dal punto di vista contabile, nel conto spese famiglia, con conseguente diminuzione dell’attivo da destinare ai creditori, perché evidentemente non reperita dopo il fallimento.
Va precisato che, nel capo di imputazione, vi è indicazione di somme distratte perché indicate come sottratte da quel conto e non destinate agli scopi imprenditoriali propri della ditta individuale, in assenza, quindi, della denunciata violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. e 6 CEDU.
In primo luogo, si deve riprendere, rispetto a tale doglianza, la pronuncia rescindente (§ 2. del considerato in diritto) ove risulta già esaminata la censura riproposta nella presente sede con il motivo di ricorso, seppure con riferimento soltanto all’importo di euro 9.070,18.
In secondo luogo, si osserva che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo confronto letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051, in una fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta postfallimentare qualificato dalla Suprema Corte come bancarotta prefallimentare).
Nel caso in esame, la sentenza rescindente ha già spiegato che le somme che si contestano come distratte sono quelle estranee alle finalità imprenditoriali, e, in ogni caso, si evidenzia in questa sede che non vi è, nel senso precisato, alcuna “trasformazione radicale” del fatto, o incertezza sull’oggetto dell’imputazione, atteso che l’intera contestazione, nel suo complesso, concerneva somme di importo superiore a quelle in relazione alle quali è stata confermata dalla Corte territoriale la responsabilità, tema specifico sul quale, peraltro, l’imputato si è ampiamente difeso.
In definitiva, secondo la motivazione non illogica della Corte territoriale, il titolo incassato dalla ditta individuale e proveniente dalla società, nella specie, è stato indicato in giroconto a spese di famiglia e non confluito nel conto aziendale, dunque, realizzando, in sostanza, una riduzione del complessivo credito vantato dalla ditta individuale in favore della RAGIONE_SOCIALE
Tale conclusione la Corte territoriale trae confrontandosi con la prova svolta anche in sede di rinnovazione istruttoria in grado di appello (cfr. p. 4), con motivazione che viene confutata dal ricorrente prospettando una ricostruzione alternativa rispetto a quella che emerge dalla motivazione, lineare e non manifestamente illogica, della Corte di appello (cfr. p. 7 e ss. del ricorso).
Del resto, si osserva che il delitto di bancarotta per distrazione è qualificato dalla violazione del vincolo legale che limita, ex art. 2740 cod. civ., la libertà di disposizione dei beni dell’imprenditore che li destina a fini diversi da quelli propri dell’azienda, sottraendoli ai creditori. L’elemento oggettivo è realizzato, quindi, tutte le volte in cui vi sia un ingiustificato distacco di beni o di attività, con conseguente depauperamento patrimoniale che si risolve in un danno per la massa dei creditori.
Nella specie, secondo il ragionamento dei giudici del rinvio, si è verificata, in sostanza, un’ingiustificata riduzione del credito della fallita, attraverso la
rimessione di un titolo, ricevuto dalla RAGIONE_SOCIALE debitrice, nel conto spese famiglia per un importo che, nonostante il momento in cui la ditta individuale era già in decozione e in procinto di fallire, era finito per ritornare agli stessi debitori (per essere la RAGIONE_SOCIALE riferibile a moglie e figlia dell’imputato) senza, peraltro, nemmeno indicare precise emergenze atte a giustificare le effettive necessità familiari che quell’importo aveva soddisfatto.
È appena il caso di osservare che, tenuto conto della data del fatto (sentenza dichiarativa di fallimento del 8 settembre 2009), dell’esistenza di plurime cause di interruzione del corso della prescrizione (sentenza di primo grado del 21 maggio 2013) e della contestata recidiva reiterata (non esclusa ma bilanciata con la circostanza aggravante di cui all’art. 219 n. 1 legge fall.), il termine massimo di prescrizione, alla data odierna, non è decorso (termine ordinario pari ad anni quindici oltre l’interruzione; cfr. Sez. U, n20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275319 – 01 in mot.).
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 5 novembre 2024
Il Consigliere estensore