Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25183 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORINO il 30/06/1947
avverso la sentenza del 19/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI TORINO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che, riportandosi alla memoria del proprio Ufficio depositata in atti, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME che ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 19 dicembre 2024, che ha confermato la condanna inflittagli per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli art. 216, comma 1, n. 1 e 223, comma 1, I. fall. per avere, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 15 giugno 2015, distratto la somma di euro 94.000, costituente parte del corrispettivo della vendita di due immobili della società.
L’impugnativa consta di tre motivi, quivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto stabilito dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 216 e 223 L.F. e il vizio di motivazione con riguardo alla mancata sussunzione del fatto di cui all’addebito consistito nel non avere il ricorrente, da amministratore della società poi fallita, riversato nelle casse della stessa parte del corrispettivo della vendita di immobili di proprietà dell’ente – entro l’ambito della meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale. Disattendendo, senza congrua giustificazione, la prospettazione
difensiva volta ricondurre il trattenimento della somma di denaro, percepita dalla vendita, nell’alveo della remunerazione dovuta al ricorrente per la funzione gestoria negli anni esercitata e per l’impegno personale profuso in favore dell’attività della società, la Corte territoriale avrebbe, oltretutto, mostrato di non tenere in considerazione il principio di presunzione di onerosità dell’attività di amministratore.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 42, 43 e 646 cod. pen. e dell’art. 216 L.F. nonché il vizio di motivazione con riguardo alla mancata sussunzione del fatto contestato entro la cornice qualificatoria del delitto di appropriazione indebita.
E’ dedotto che, non essendovi prova che il dissesto fosse stato causato dalle condotte gestorie del ricorrente, rimasto amministratore sino al 27 aprile 2012, la condotta appropriativa imputatagli non poteva dirsi, né eziologicamente né psicologicamente, collegata alla messa in pericolo delle garanzie dei creditori, risultando, semmai, vulnerato solo l’interesse dei soci all’integrità del patrimonio sociale; deduzioni, queste, che ancorché già sviluppate nell’atto di appello, avevano meritato solo una tautologica risposta. In sostanza, in difetto di prova del nesso causale fra la condotta dell’imputato e lo stato di dissesto, il delitto andava riqualificato in quello di appropriazione indebita ex art. 646 cod. pen.
2.3. Il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione apparente o, comunque, carente con riguardo alla mancata applicazione al ricorrente delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione e al diniego di riconoscimento in suo favore della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Con memoria in data 10 aprile 2025, l’avvocato NOME COGNOME nominato dal ricorrente in data 23 gennaio 2024, con revoca del precedente difensore – come da atto di nomina depositato in pari data presso la Corte di appello di Torino – ha eccepito la mancata notifica nei propri confronti dell’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso dinanzi a questa Corte. Pertanto, l’udienza è stata differita all’odierna udienza.
Il Procuratore Generale, in persona del dott. NOME COGNOME riportandosi alla memoria depositata, ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Con memoria in data 14 aprile 2024, poi ribadita con altra memoria del 5 maggio 2025 e illustrata in udienza, l’avvocato NOME COGNOME difensore e procuratore speciale della parte civile costituita, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese sostenute dalla parte civile medesima per la difesa nel grado come da nota spese allegata.
Con memoria in data 14 aprile 2024, poi ribadita con altra memoria del 5 maggio 2025 e con le conclusioni orali, l’Avvocato NOME COGNOME difensore e procuratore speciale della parte civile costituita, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile medesima per la difesa nel grado come da nota spese allegata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che i primi due motivi di ricorso – che censurano la qualificazione giuridica del fatto ascritto al ricorrente – risultano generici, perch affidati a deduzioni prive di critico confronto con le rationes decidendi delle statuizioni al riguardo assunte nella sentenza impugnata.
2.1. Quanto al primo motivo, che censura la mancata derubricazione in bancarotta preferenziale della bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata a NOME COGNOME per avere omesso di versare nelle casse della RAGIONE_SOCIALE – da lui amministrata fino al 27 aprile 2012 – la somma di Euro 94.000,00, costituente parte del corrispettivo della vendita di due immobili della società a NOME COGNOME la Corte territoriale ha respinto il motivo appello, con il quale tale derubricazione era stata invocata, evidenziando come la tesi secondo la quale COGNOME avrebbe trattenuto la detta somma per soddisfarsi del credito vantato verso la RAGIONE_SOCIALE, per compensi spettantigli in virtù dell’attività gestoria prestata, fosse priva d fondamento: egli non aveva adempiuto all’onere di provare rigorosamente sia la qualità e la quantità dell’attività prestata, sia che titolo e quantità degli emolumenti fossero stati deliberati dall’assemblea dei soci.
A fronte di tale puntuale, se pur concisa, motivazione, i rilievi difensivi articolat sul punto, oltre a non confrontarsi realmente con essa, finendo per reiterare la doglianza d’appello e, quindi, per semplicemente contestare le ragioni della decisione, esibiscono la mancata considerazione degli approdi della giurisprudenza di legittimità in materia, espressasi nel senso di ritenere che commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritannente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse dell società, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano
un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Rv. 271464); ciò, tanto più nel caso in cui tali compensi siano solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Rv. 273767). Si è chiarito, oltretutto – alla luce degli importanti principi affermati dalle Sez. Un. Civili con la sentenza n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004 – che il rapporto che lega l’amministratore alla società si inquadra tra i “rapporti societari”, data l’essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo all’amministratore, che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. ‘immedesimazione organica’, alla vita della società, consente alla stessa di agire. Tale rapporto, poiché serve ad assicurare l’agire della società stessa, non è assimilabile né ad un contratto d’opera, né tantomeno ad un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato. Ciò, non esclude, tuttavia, che s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assume, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera, ma la sussistenza di un simile rapporto deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile, accertare l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico (Sez. 5, n. 31721 del 14/06/2023, non massimata; Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, Rv. 279103).
D’altro canto, il ricorrente richiama il principio – fissato da Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023, Ciri, Rv. 285115 – 01 – per cui in tema di bancarotta fraudolenta, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto i soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso. Ma, come osservano le difese di parte civile, non vi è stata alcuna doglianza specifica tesa a lamentare il mancato accertamento delle attività effettivamente svolte dall’imputato per la società, passaggio logico essenziale per poter verificare la congruità dell’asserito compenso, fermo restando che, come evidenziano sempre le difese di parte civile, nel caso in esame alcun prelievo dalla cassa della società vi è stato, in quanto la distrazione è avvenuta con la vendita degli immobili e la distrazione immediata dell’importo di 94mila euro,
risorse queste ultime mai entrate nelle casse sociali pur spettando alla società. Aspetti, questi ultimi, decisivi, sui quali nulla è stato dedotto dal ricorrente.
2.2. Il secondo motivo censura la sentenza impugnata con riferimento all’esatta identificazione del coefficiente psicologico che avrebbe animato l’agire di COGNOME Quest’ultimo, nella prospettiva difensiva, omettendo di riversare nelle casse della RAGIONE_SOCIALE somme di denaro di pertinenza di questa – che, al momento del fatto, non versava in stato di dissesto – aveva, al più, avuto la coscienza e volontà di creare un pregiudizio ai soci e non, invece, ai creditori della società, con la conseguenza che avrebbe dovuto rispondere del delitto di appropriazione indebita e non, invece, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il motivo oltre che generico, è anche manifestamente infondato.
Va richiamato e ribadito il diritto vivente, del quale ha fatto buon governo la Corte di appello, secondo cui: «Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività»; «L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte» (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 Rv. 266805). Va dato atto che la sentenza impugnata correttamente si è posta nel solco del pacifico insegnamento di questa Corte secondo cui «I reati di appropriazione indebita e bancarotta patrimoniale, pur essendo fattispecie tra loro strutturalmente diverse, contemplano elementi costitutivi che danno luogo ad un reato complesso ex art. 84 cod. pen., sicché gli stessi fatti riconducibili nel reato di appropriazione indebita possono essere contestati, dopo la declaratoria di fallimento, come bancarotta» (Sez. 5, n. 48743 del 29/10/2014, Rv. 261301; Sez. 5, n. 37298 del 09/07/2010, Rv. 248640)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto comporta che, in caso di dichiarazione di fallimento, il delitto di appropriazione indebita è assorbito in quello di bancarotta (nel senso che la fattispecie ma/or “incapsula” la minor), di modo che gli stessi fatti, già contestati ex art. 646 cod. pen., possono essere ricondotti alla fattispecie di bancarotta (Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015, dep. 2016, Rv. 266018). Nel caso in esame, dunque, anche sotto questo profilo la qualificazione giuridica del fatto si rivela corretta.
Privi di pregio sono i rilievi di cui al terzo motivo.
3.1. Manifestamente infondata è la censura che attinge il diniego della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., la quale non è applicabile nell’ipotesi in cui la fattispecie accertata sia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, essendo comminata per tale figura di reato una pena fissata nel minimo in anni tre, quindi in misura superiore al limite di anni due di reclusione fissato dalla disposizione di cui al comma primo della norma evocata.
3.2. Non consentita nel giudizio di legittimità è la censura che si appunta sul diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione; diniego giustificato dal Collegio territoriale assegnando rilievo alla «non indifferente gravità concreta del fatto e al precedente specifico dell’imputato».
Si tratta, invero, di motivazione compiuta e plausibile in ordine alle scelte compiute dal giudice di merito nella determinazione del trattamento sanzionatorio, a fronte della quale le censure del ricorrente sulla misura della riduzione di pena corrispondente alle riconosciute circostanze attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. pretendono di rimettere in discussione valutazioni in fatto riservate in via esclusiva al giudice di merito. Afferma, tra l’altro, questa Corte che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). Il che nel caso in esame non è.
Dall’inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Quanto alle parti civili, va evidenziato come le stesse avevano tempestivamente depositato le prime memorie in vista dell’udienza precedente, in assenza di richiesta di trattazione orale, cosicché rituali sono tali conclusioni.
Il ricorrente va, pertanto, anche condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili, che si liquidano in complessivi euro 1844,00 per ciascuna delle stesse.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi
euro 1844,00 per ciascuna, oltre accessori di legge.
Così deciso il 13/05/2025