Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9572 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9572 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COLLEFERRO (ROMA) il 27/01/1969 avverso la sentenza del 19/06/2024 della Corte d’appello di Roma; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la condanna di NOME per il delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, numero 1, e 223 comma 1 r.d. 267/1942, perché, in concorso con altri e nelle sua qualità di amministratrice e socia al 50% della RAGIONE_SOCIALE, aveva distratto (rendendosene cessionaria) l’intera azienda (costituita da macchinari, attrezzature, impianti, merci, prodotti finiti e disponibilità liquide, per un valore pari a 2.071.133,00 euro) facente capo alla RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 27/1/2016.
In particolare, la RAGIONE_SOCIALE, con scrittura privata del 30/6/2015, aveva ricevuto in comodato la detta azienda, continuando nella medesima attività presso la sede operativa della cedente, obbligandosi a fornire, dietro pagamento
di corrispettivo, prodotti finiti alla fallita, ove da questa richiesto.
Avverso il detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata.
2.1. Col primo motivo lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale.
Si contesta l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello con riferimento all’accordo commerciale del 30/6/2015, erroneamente ritenuto elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Tale accordo, in realtà, non aveva causato alcun depauperamento del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE in assenza di un trasferimento di proprietà di beni, i quali non appartenevano alla fallita.
Era stato ignorato, inoltre, il fatto che la ricorrente non fosse più amministratrice della stessa fallita, ma solo della società cessionaria, al momento della stipula dell’accordo.
La concessione in uso gratuito di beni di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE (collegata al gruppo Caiola, che ne aveva poi chiesto la restituzione, venendo ammessa al passivo) era avvenuta, peraltro, a fronte dell’obbligo di effettuare la produzione per conto della fallita.
2.2. Col secondo motivo parte ricorrente si duole di vizi di motivazione, riproponendo analoghe argomentazioni.
Si contesta la metodologia di valutazione delle prove adottata dalla Corte d’Appello, che aveva selezionato in modo immotivato e illogico le dichiarazioni del curatore, decontestualizzandole e omettendo di considerare altri elementi probatori cruciali.
Si ribadisce che non fosse stato considerato che i beni in questione non fossero di proprietà della fallita, che la società proprietaria li avesse richiest indietro e che la società fallita non avesse subito un effettivo depauperamento patrimoniale, atteso che, con l’accordo in questione, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto utilizzare i beni aziendali per fornire prodotti finiti alla RAGIONE_SOCIALE, qualora quest’ultima ne avesse avuto necessità, in base alle esigenze di mercato.
L’accordo, si assume ancora da parte ricorrente, “non poteva certamente prevedere che l’effettuazione di tali lavorazioni avvenisse in modo gratuito a favore della società fallita”, né un corrispettivo per l’uso di beni che, comunque, non erano della concedente e per i quali la stessa non pagava, a chi ne era proprietario, alcunché.
Ed ancora, irrilevante era l’inserimento dei beni nell’attivo di bilancio, ciò che
non li rendeva di proprietà della società fallita.
La difesa critica il fatto che la Corte abbia richiamato un orientamento della Cassazione senza specificare gli elementi dai quali avrebbe desunto la distrazione e i punti rilevanti applicabili al caso in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, inammissibile per alcuni profili, è nel complesso infondato.
2. Questa Corte ha più volte ribadito che «possono essere oggetto di distrazione non solo i beni patrimoniali della società dichiarata fallita, ma anche tutti i beni che rientrino nella disponibilità autonoma della società e che costituiscano il patrimonio dei rapporti attivi facenti capo all’azienda» (così Sez. 5, n. 36595 del 16/04/2009, dep. 2009, Rv. 245132-01, in una fattispecie di costituzione in pegno, da parte degli amministratori di una società finanziaria, di titoli acquistati su mandato dei clienti; confronta, in termini analoghi: Sez. 5, n. 27410 del 25/05/2022, Rv. 283580-01, in un caso di distrazione di somme affidate ad una società fiduciaria dai singoli clienti; Sez. 5, n. 20108 del 17/03/2016, Rv. 267404-01, in una ipotesi di distrazione di strumenti finanziari sempre detenuti in modo fiduciario; Sez. 5, n. 44898 del 01/10/2015, Rv. 265509-01, in tema di distrazione di beni detenuti in virtù di leasing, sia traslativo che di godimento).
Ed ancora, «nella nozione di beni appartenenti del fallito (ossia riconnpresi all’interno della sua consistenza patrimoniale) rientra non solo il diritto di proprietà relativo ai beni ricompresi nel patrimonio aziendale, ma anche il diritto di godimento acquisito dalla fallita a seguito della stipula del contratto di affitto, diritto evaporato in conseguenza della sottrazione della res che ne costituisce il termine oggettivo (Sez. 5, n. 45044 del 24/10/2022, Minichini, Rv. 283812)» (Sez. 5, Sentenza n. 17979 del 28/2/2024, non massimata; confronta, negli stessi termini: Sez. 5, n. 45044 del 24/10/2022, Rv. 283812-01, nonché Sez. 5, Sentenza n. 17979 del 28/2/2024 e Sez. 5, Sentenza n. 6318 del 30/1/2023, non massimate).
Dunque, la Corte d’appello di Roma e, prima ancora, il Tribunale di Roma hanno correttamente applicato siffatti principi allorché hanno ritenuto avente natura distrattiva la cessione dell’intero compendio aziendale (capannone, macchinari e altri beni) “che era, comunque, nella disponibilità della fallita in base a contratti di comodato” (così la sentenza d’appello), conferitile, per quanto concerne il capannone, dal suo proprietario, COGNOME NOME, socio al 20% della fallita, e, per il resto, da società facenti capo alla famiglia COGNOME (tra cui
Microline, proprietaria di una parte dei beni e i cui soci erano NOME COGNOME l’imputata, COGNOME NOME, e COGNOME NOME): lasciando, così, che i beni azien e l’intera produzione fossero trasferitiViligh~1, senza corrispettivo alc
È indubbio, in definitiva, che anche la perdita di godimento di un bene, i cambio di nulla, ove pure nella disponibilità della fallita in virtù di con traslativo del solo godimento, costituisca distrazione ai danni della stessa viene comunque depauperata del menzionato diritto di godimento senza alcuna prestazione corrispettiva: tanto più laddove, come nella specie, sia pacifico esso si traduca nel sostanziale trasferimento dell’intero compendio azienda (come noto costituito anche dall’avviamento commerciale) e nel contestuale azzeramento, senza alcun utile o alcuna contropartita, della capacità produtti dell’impresa cedente.
La circostanza che l’accordo prevedesse il generico obbligo, in capo all cessionaria, di produrre beni a pagamento per la cedente di certo non rende l cessione dell’azienda onerosa: posto che i beni prodotti avrebbero comunque dovuto essere pagati dalla fallita.
Inammissibili sono, poi, le generiche doglianze circa la valutazione dell dichiarazioni del curatore, compito che spetta al giudice del merito, salvo rilev contraddizioni, omissioni o manifeste illogicità, qui neanche accennate.
Irrilevante è, infine, che l’imputata non fosse più amministratrice della fal al momento del fatto, essendolo pacificamente della società cessionaria: giammai avendo negato la stessa trattarsi di enti gestiti dalla stessa e da suoi fam dunque ben conscia della reale situazione e del depauperamento della fallita, d resto insito nella cessione del cospicuo complesso di un’azienda senza alcun controprestazione.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto se condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così è deciso, 23/01/2025
Il C ‘nsigliere estensore
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
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