Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 103 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 103 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BAIANO il 02/07/1979
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME fette/sentite le conclusioni del PG COGNOME che ha concluso per kirammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che ha dichiarato NOME COGNOME amministratore, ne periodo 26/9/2011-9/3/2014, della DTS s.r.I., dichiarata fallita con sentenza del 23 luglio 201 – colpevole di cagionamento doloso del fallimento per avere omesso il regolare versamento delle imposte e dei contributi dovuti, generando così un debito nei confronti dell’erario per il qu l’Agenzia delle entrate è stata ammessa al passivo per oltre 450.000 euro.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvoca NOME COGNOME che si affida a quattro motivi, – enunciati nei limiti richiesti motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.proc.pen..
2.1. Vizio di motivazione in relazione al suo effettivo ruolo di testa di legno, essendo v amministratore (di fatto) della società l’ing. COGNOME in merito al coinvolgimento del qua nella gestione della fallita i giudici di merito, e prima ancora, il Pubblico Ministero, hanno ome qualsivoglia effettivo accertamento; il travisamento della prova sta nell’avere omesso di spiegare le ragioni per le quali il predetto, pur formalmente estraneo alla compagine sociale, si er interessato intensamente della vicende della fallita, nel periodo in cui era stato amministrator COGNOME;
2.2. Violazione di legge in relazione alla sussistenza del dolo, poiché non può applicarsi all’amministratore apparente la regola secondo la quale egli risponde del mancato reperimento delle risorse sociali, in caso di distrazione, senza l’accertamento della consapevolezza dell’attiv distrattiva a opera del gestore effettivo.
2.3. Violazione di legge, in riferimento all’elemento oggettivo del reato, poiché l’unico a compiuto dallo Spiezia è il deposito del bilancio 2011-2012. Resta, invece, indimostrato che le attività compiute durante il periodo amministrato dal ricorrente avessero finalità pregiudizievo per la massa creditizia. In realtà, la sentenza impugnata confonde scelte audaci della società con le condotte distrattive, peraltro indimostrate, in assenza di indici di fraudolenza, n enucleati dalla Corte di appello.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato in alcune sue deduzioni, e, per altro versa finalizzato a una diversa, quanto inammissibile, ricostruzione fatto, oltre che reiterativo di motivi già proposti dinanzi al giudice dell’appello, e da congruamente vagliati e puntualmente disattesi, non essendo consentito al giudice di legittimità di procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, il apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, non censurabile dalla Corte di Cassazione se condotta nel rispetto dei canoni della logica e della completezza (Sez. U. n. 6402/1997 , Dessimone, Rv. 207944). Motivi del genere più che specifici, come richiede l’art.
581 cod. proc. pen., risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipic funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822; conf. . Sez. 2 , n. 42046 del 17/07/2019 Rv. 277710). La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di a-specificità conducente, a mente dell’art. 591 cod.proc.pen comma 1 lett. c) all’inammissibilità (ex plurimis, Sez. 4 n. 256 del 18/09/1997, dep. 1998, Rv. 210157; Sez. 1, Ordinanza n. 4521 del 20/01/2005, Rv. 230751; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014 , Rv. 259425; Sez. 2 , n. 42046 del 17/07/2019 Rv. 277710).
2.Risulta – oltre che inammissibilmente reiterativo di analoga doglianza già scrutinata dalla Cort di appello – manifestamente infondato il primo motivo, con il quale si censura il giudizio espress dai Giudici di merito sul ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, denunciando u travisamento per omissione delle prove. La totale infondatezza della denuncia emerge dalla motivazione offerta dalle conformi sentenze di merito, le quali hanno ben spiegato come l’imputato abbia rivestito la carica di amministratore nel periodo in cui si è manifestata la sociale, con l’accumulo del passivo, perseguendo la scelta aziendale di utilizzare le risorse social costituite dal risparmio di spesa dovuto all’omesso pagamento delle somme dovute all’Erario, per finanziare l’attività dei cantieri in cui operava la società. Come si legge anche nella sentenza della società- è risultata essere solo la persona che si occupava della gestione e del ritiro della documentazione contabile mentre, al di là della petizione di principio, non sono stati allegati elemen sentenza “non dimostra univocamente il ruolo di amministratore di fatto impugnata, l’ing. COGNOME che la Difesa indica come il vero dominus dalla società, dimostrativi del suo ruolo gestorio, giacchè, come ha puntualmente annotato la impugnata, tale incarico dell’ingegnere e il conseguente ruolo di mera testa di legno di tutti gli amministratori della DTS 3. Risultano sostanzialmente decontestualizzate – e, dunque, generiche – le doglianze veicolate con il secondo e il terzo motivo di ricorso, incentrate sull’individuazione degli elementi tipici bancarotta distrattiva, dal momento che qui non risulta contestata la distrazione, ma il delitto cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, L. fall., ovvero la c.d. bancarotta impropria da causazione del fallimento mediante operazioni dolose, le quali, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, ben possono essere integrate dal mancato versamento delle imposte o dei contributi previdenziali con carattere di sistematicità, in quanto espressione di una consapevole strategia gestionale degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 2 del 19/02/2018, Rv. 273337 – 01; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016 – dep. 28/03/2017, Rv. 270046). A differenza della bancarotta patrimoniale – in cui la condotta distrattiva dissipativa) deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga – nella bancarott
impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in nesso eziologico co il fallimento; ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, è, dunque, l’immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.262188, secondo cui sussiste il delitto di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 223, comma secondo n 2, I. fall. anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa).
3.1. E’ bene anche ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che l’art 223, comma 2, I.fall.- secondo cui la causazione del fallimento deve essersi verificata con dolo o per effetto di operazioni dolose – prevede due autonome fattispecie criminose, che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, incentrandosi la differenza tra t due fattispecie – che contemplano entrambe una condotta dei soggetti qualificati che ha determinato il dissesto da cui è scaturito il fallimento – sull’elemento soggettivo, per nell’ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente a operazioni dolose, esso è solo l’effetto, dal punto di vista della causali materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio che esso verifichi. Si afferma, dunque, che la locuzione “con dolo” va intesa con riferimento all definizione di cui all’art. 43 cod.pen., per cui il fallimento deve essere previsto e vo dall’agente come conseguenza della sua azione od omissione; la giurisprudenza è orientata, cioè, a ritenere che detta espressione si riferisca ai soli casi in cui il fallimento della società si l’obiettivo avuto di mira dall’agente ( dolo diretto di evento). (Sez. 5 n. 405 del 19/10/1984 d 1985, COGNOME, Rv. 167402). Quanto, invece, al dissesto per effetto di operazioni dolose, si ritien nella giurisprudenza di legittimità più recente, che le operazioni dolose di cui all’alt 223, com secondo, n. 2, L. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad at intrinsecamente pericolosi per la “salute” economico-finanziaria dell’impresa, e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato ( Sez. 5, n. 176 del 18/02/2010, Rv. 247316 ; conf. Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684, che, in applicazione dei principio, ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nel sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società; conf. tra le altre, Sez. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep. 2014, Rv. 259997; Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Rv. 264080 secondo cui integra il reato di fallimento cagionato per effetto di operazioni dolose la condotta dell’amministrator che ometta il versamento delle imposte dovute, gravando così la società clì ingenti debiti nei confronti dell’erario, e successivamente proceda alla distribuzione dei predetti utili a fav dei soci, in quanto, allorché l’assegnazione dell’utile avvenga senza la pre-deduzione dell’onere tributario e della conseguente penalità tributaria – che sorge al momento dell’erogazione della ricchezza – si concreta una manomissione della ricchezza sociale, trattandosi di distribuzione che eccede quanto di pertinenza dei soci.).
3.2. Dunque, la prima fattispecie è a dolo diretto di evento, in quanto il dissesto “entra fuoco della volontà”, mentre la seconda è a dolo eventuale, giacchè non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, il quale è, piuttosto, l’effetto dal punto di vista della ca materiale, di una condotta volontaria ma non diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione accetta la probabilità che il dissesto si verifichi; sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la sal economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione, qual effetto della condotta antidoverosa ( Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, COGNOME, Rv. 265510; conf,. Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207). Nei confronti della società, l’amministrazione ha, invero, un obbligo di fedeltà e , ai sensi dell’art. 2394 cod. civ., di non creare dolosame una situazione economico-finanziaria tale da rendere necessario il fallimento; ogni violazione di tale obbligo integra, sussistendone le altre condizioni, un -operazione dolosa” rilevante ai sensi della norma in esame.
3.3.Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha ricostruito le vicende finanziarie della società, evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali era stato il frutto di una consapevole strategia gestionale degli amministratori, attuata fin dal 2010, scelta che fu protratta fin fallimento, determinando un’esposizione di oltre 500.000 euro, connotandosi, dunque, come estesa e sistematica, donde la ravvisata sussistenza dell’elemento psicologico, ossia della coscienza e volontà delle operazioni da cui l’imputato poteva prevedere che potesse derivare il fallimento, giacchè, anche in ragione dell’inevitabile carico sanzionatorio, proprio per l’ampiezz del fenomeno e per la sua sistematicità, che, di fatto, ha caratterizzato un ampio arco temporale, egli poteva prevedere ragionevolmente il conseguente dissesto (Sez. GLYPH 5, n. GLYPH 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046). Correttamente, la Corte di appello ha posto l’accento sulla circostanza che l’autofinanziamento operato attraverso il mancato pagamento delle imposte “descrive gli effetti nel breve periodo, e in ultima analisi, la ragione pratica del comportame – senza per questo menomare il fondamento degli effetti di medio periodo, in ragione della crescita esponenziale del debito “( Sez. 5 n. 24752/2018). L’approdo decisorio dei giudici di merito è coerente con l’indirizzo di questa Corte secondo cui le operazioni dolose di cui all’a
223, comma secondo n. 2, I. fall., possono consistere nel compimento di qualunque atto intrinsecamente pericoloso per la salute economica e finanziaria della impresa e, quindi, anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa (Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492). In realtà – è stato chiarito I’ “operazione” è termine semanticamente più ampio dell’ “azione”, intesa come mera condotta attiva, e ricomprende l’insieme delle condotte, attive od omissive, coordinate alla realizzazione di un piano; sicché, può ben essere integrata dalla violazione – deliberata, sistematica e protratta nel tempo – dei doveri degli amministratori concernenti il versamento degli obblighi contributivi e previdenziali, con prevedibile aumento dell’esposizione debitoria dell società.( Sez. 5 n. 24752 del 01/06/2018, Rv. 273337).
Manifestamente infondata e generica anche la doglianza incentrata sul diniego delle attenuanti generiche, poiché si limita a dedurre lo stato di incensuratezza del ricorrente, laddove l statuizione della Corte di appello fonda sulla mancanza di elementi positivamente apprezzabili, in linea con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficient solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge ( art. 616 cod.proc.pen ) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2024 Il Con GLYPH re