Bancarotta Operazioni Dolose: L’IVA non versata è Autofinanziamento Illecito
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di diritto penale fallimentare: il sistematico omesso versamento dell’IVA, se utilizzato come forma di autofinanziamento, può configurare il grave reato di bancarotta operazioni dolose. Questa decisione chiarisce come la condotta dell’amministratore venga valutata non solo nella sua legalità astratta, ma nel suo impatto concreto sulla salute dell’azienda.
Il Caso: Dissesto Aziendale e Omissioni Fiscali
Il caso riguarda l’amministratore unico di una società di elettronica, dichiarata fallita nel 2016. L’amministratore era stato condannato in secondo grado per aver commesso il reato di bancarotta per effetto di operazioni dolose. In particolare, la Corte d’Appello aveva accertato che, sin dal 2006, la società aveva sistematicamente omesso di versare l’IVA, utilizzando le somme non pagate per finanziare la propria attività. Questa pratica, considerata una forma illecita di autofinanziamento, era proseguita nel tempo, contribuendo in modo decisivo al dissesto finanziario che ha portato al fallimento.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo diversi punti. In primo luogo, ha contestato la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi (il dolo) del reato, ritenendo la motivazione della condanna contraddittoria, soprattutto alla luce della sua assoluzione per il delitto di false comunicazioni sociali. Inoltre, ha lamentato la violazione del principio di legalità, affermando di non aver potuto prevedere le conseguenze penali delle sue azioni, in particolare riguardo alla scelta di rateizzare il debito tributario, un’operazione di per sé lecita.
L’Analisi della Corte: la bancarotta operazioni dolose confermata
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il ricorso non presentava nuove critiche specifiche alla sentenza d’appello, ma si limitava a riproporre censure già esaminate e correttamente respinte. La Corte ha confermato la validità del ragionamento dei giudici di merito, che avevano individuato una chiara connessione causale tra la condotta dell’amministratore e il fallimento della società.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri fondamentali.
Il primo riguarda la qualificazione dell’omesso versamento dell’IVA come operazione dolosa. I giudici hanno stabilito che non si è trattato di un’omissione occasionale, ma di una strategia aziendale protratta per anni, finalizzata a ottenere liquidità a costo zero a danno dell’Erario. Tale condotta, per la sua sistematicità e durata, è stata considerata una causa diretta del dissesto, integrando pienamente la fattispecie di bancarotta operazioni dolose.
Il secondo pilastro concerne la questione della rateizzazione del debito fiscale. La Corte ha precisato che, sebbene la rateizzazione sia uno strumento astrattamente lecito, nel caso specifico le modalità concrete della sua attuazione ne hanno rivelato la vera finalità: non quella di sanare il debito, ma di ottenere una novazione dell’obbligazione per poter proseguire con il meccanismo di autofinanziamento illecito. La difesa, inoltre, non è mai stata in grado di provare l’effettivo e regolare pagamento delle rate concordate, a ulteriore riprova dell’intento puramente dilatorio e strumentale dell’operazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione ribadisce che la valutazione di una condotta potenzialmente integrante il reato di bancarotta non può fermarsi alla sua apparenza formale. Un’operazione lecita, come la rateizzazione di un debito, può diventare penalmente rilevante se inserita in un contesto più ampio di gestione aziendale fraudolenta e finalizzata a cagionare o aggravare il dissesto. Per gli amministratori, emerge un chiaro monito: la gestione finanziaria deve essere improntata alla massima correttezza e trasparenza, poiché il ricorso a forme di autofinanziamento illecite, come l’omissione sistematica dei versamenti fiscali, costituisce una condotta grave che può portare a una condanna per bancarotta.
Quando l’omesso versamento dell’IVA diventa bancarotta da operazioni dolose?
Secondo la sentenza, l’omesso versamento dell’IVA integra il reato di bancarotta da operazioni dolose quando è sistematico, prolungato nel tempo e utilizzato come una vera e propria forma di autofinanziamento aziendale, diventando una delle cause del dissesto della società.
Stipulare un piano di rateizzazione per i debiti fiscali può escludere il reato?
No. La Corte ha chiarito che se la rateizzazione, nelle sue concrete modalità, rivela l’esclusiva intenzione di proseguire un meccanismo di autofinanziamento illecito (ad esempio, attraverso la novazione del debito senza poi pagare le rate), non solo non esclude il reato, ma può essere considerata parte della stessa condotta dolosa.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato ritenuto meramente riproduttivo di censure già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza presentare una critica specifica e argomentata contro le motivazioni della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19277 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BRESCIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale in sede, ha assolto l’imputato per la contestazione di cui agli artt. 223 co.2 n.1 I. fall. 2621 c.c. perché il fatto non costituisce reato, confermando però la sua condanna per il reato di cui all’art. 223 co.2 n.2 I. fall. commesso nelle qualità amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nel 2016.
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso – con il quale il ricorrente, in primo luogo, deduce erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione in ordine alla prova dell’elemento oggettivo e del dolo nel reato di bancarotta da operazione dolose, nonché la contraddittorietà della motivazione rispetto alla pronuncia di assoluzione per il delitto di bancarotta causativa del dissesto per false comunicazioni sociali, nonché lamenta l’illegittimità del provvedimento in relazione al principio di legalità ex art. 25 co.2 Cost data l’impossibilità per l’imputato d prevedere ex ante le conseguenze penali del proprio agire in ordine all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità richiamata della pronuncia d’appello in materia di rateizzazione dei debiti tributari – non è deducibile in sede di legittimità in quanto riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giJridici dal giudice di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata (si vedano, in particolare, pag. 21, 22 e 23 della sentenza d’appello). Rilevato in tal senso che la Corte ha evidenziato come l’omesso versamento dell’IVA è stato perseguito dalla fallita a partire già dal 2006 quale forma di autofinanziamento ed è proseguito anche successivamente al recesso di Samsung. Circostanze queste che sono state poste a fondamento dell’affermata concausalità di tale condotta sul dissesto, che del dolo dell’imputato, con motivazione logica e coerente a tali risultanze e con la quale sostanzialmente il ricorrente ha preferito non confrontarsi. Rilevato che cor riguardo ai rilievi concernenti la rateizzazione del debito fiscale le doglianze del ricorrente si rivelano meramente reiterative e parimenti prive del necessario confronto con la motivazione della sentenza, che non ha negato l’astratta liceità dell’operazione, ma ha evidenziato come nelle concrete modalità in cui è stata realizzata la stessa riveli l’esclusiva intenzione di garantirsi, attraverso la novazione dell’obbligazione, la prosecuzione del meccanismo di autofinanziamento, tanto più che la difesa non ha mai provato l’avvenuto regolare pagamento dei ratei. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27/(Y3/2