Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31690 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31690 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/06/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna, pronunziata a seguito di giudizio abbreviato, di COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME NOME per il reato di bancarotta impropria per operazioni dolose commesso nella loro qualità di soci illimitatamente responsabili della RAGIONE_SOCIALE, fallita nel corso 2014.
Avverso la sentenza ricorrono gli imputati con unico atto a firma dei comuni difensori articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo deducono violazione di legge e vizi di motivazione in merito al rigetto dell’eccezione del difetto di correlazione tra il reato contestato agli imputati e quel ritenuto in sentenza dal giudice di primo grado. In tal senso lamentano i ricorrenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, il G.u.p. del Tribunale di Palermo aveva ritenuto integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in merito agli asseritannente illeciti prelievi effettuati dagli imputati. Peraltro il g dell’appello non avrebbe precisato quale delle due fattispecie previste dall’art. 223 legge fall. ha ritenuto integrata, né avrebbe motivato sulla sussistenza del necessario nesso causale tra le condotte contestate e l’evento del reato ovvero sul dolo proprio del medesimo.
2.2 Con il secondo motivo i ricorrenti deducono erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla ritenuta configurabilità del reato di bancarot impropria. In proposito si osserva anzitutto che quello di operazioni dolose è reato proprio di coloro che rivestono cariche gestorie, non essendo dunque sufficiente la qualifica di soci illimitatamente responsabili della fallita per assumere il ruolo di sogge attivi dello stesso. Ed in tal senso la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria nella misura in cui, pure avendo escluso che gli odierni ricorrenti abbiano amministrato la fallita, ha ritenuto la loro responsabilità concorsuale nella consumazione del reato, senza peraltro spiegare in che termini il prelievo dalle casse societarie delle somme necessarie a retribuire l’attività lavorativa degli imputati avvenuto dieci anni prima del fallimento, possa ritenersi essere stato causa o concausa del dissesto della società ovvero dell’aggravamento del medesimo. Né la Corte ha motivato sulla prevedibilità da parte degli imputati del fallimento al momento dei prelievi, posto che le avvisaglie della crisi societaria risalirebbero a non prima del 201
ovvero, a tutto concedere e come ritenuto dal consulente della curatela, a non prima del 2008. Erroneamente, poi, il giudice del merito avrebbe ritenuto irrilevante la causale dei suddetti prelievi argomentando dal fatto che l’attività lavorativa era stata prestata “in nero”, atteso che la circostanza rileva ai meri fini previdenziali, ma non sufficiente per escludere l’effettività di tale attività, comprovata dalle concor dichiarazioni rese dagli imputati al curatore. Né potrebbe gravare sui soci illimitatamente responsabili che non si siano ingeriti nella gestione la responsabilità per la contabilizzazione delle somme elargite come prelievi da parte dei soci. Ancora, del tutto erroneamente e senza confutare i rilievi sollevati in proposito con il gravame di merito, la Corte avrebbe ritenuto che i prelievi siano proseguiti anche successivamente al 2010, non considerando invece come gli imputati abbiano, seppure parzialmente, iniziato a restituire quanto prelevato molti anni prima del fallimento, e travisando i prospetto realizzato dal consulente della curatela, dal quale si evincerebbe, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, come nel 2012 alcun prelievo è stato effettuato, posto che la voce “crediti verso soci” denunzia un progressivo decremento negli anni a partire dal 2005. Né può ritenersi per i ricorrenti che le somme percepite dagli imputati prima del 2008 non potrebbero essere imputate ad una lecita distribuzione di utili, posto che la curatela ha concentrato la propria attenzione solo sui bilanci e sulle risultanze contabili successivi a tale annualità e dunque, contrariamente a quanto affermato dai giudici del merito, non vi sarebbe prova alcuna dell’effettivo ammontare dei ricavi percepiti dalla società in epoca anteriore.
2.3 Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano erronea applicazione della legge penale in merito all’omessa derubricazione del fatto nel meno grave reato di bancarotta preferenziale, mentre con il quarto deducono violazione di legge e vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei limiti e nei termini di seguito illustrati.
Il primo motivo di ricorso è invero infondato, atteso che correttamente la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione relativa alla violazione del principio di correlazi atteso che il G.u.p., come si evince dal dispositivo della sentenza di primo grado, ha condannato gli imputati proprio per il reato loro contestato e comunque non per fatti diversi da quelli descritti nell’imputazione. Né le eventuali incoerenze registrate dalla difesa nello sviluppo argomentativo della medesima pronunzia costituiscono, come ritenuto dal giudice dell’appello, manifestazione della volontà del primo giudice di operare quella che comunque sarebbe una mera riqualificazione dei medesimi fatti,
sulla quale i ricorrenti avrebbero avuto comunque ampia facoltà di svolgere le proprie difese nel giudizio di impugnazione.
Manifestamente infondata è invece l’obiezione per cui la Corte territoriale non avrebbe precisato quale delle fattispecie di bancarotta impropria previste dall’art. 223 comma 2 n. 2) legge fall. avrebbe ritenuto realizzata, posto che ripetutamente ed in maniera inequivocabile la sentenza impugnata ha specificato che i fatti contestati integrano quella di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose.
Colgono invece nel segno alcune delle doglianze proposte con il secondo motivo.
Va anzitutto ricordato che la responsabilità dei soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo per i reati previsti dal Capo I del Titolo VI della legg fallimentare discende dal disposto dell’art. 222 della stessa legge in riferimento ai fatti di manomissione del proprio patrimonio personale. Quanto ai fatti concernenti la gestione della società o che si traducono nella manomissione del patrimonio sociale e a quelli che integrano il reato di bancarotta impropria, il singolo socio può esserne chiamato a rispondere solo qualora abbia assunto formalmente, ai sensi dell’art. 2295 c.c., o di fatto l’amministrazione della società ovvero qualora sia concorso nella consumazione del reato con colui che ricopre le suddette qualifiche gestorie.
In tal senso deve allora osservarsi che la Corte territoriale ha apparentemente escluso – contrariamente a quanto aveva fatto il giudice di primo grado – un coinvolgimento, formale o di fatto che sia, degli odierni imputati nella gestione della fallit riconoscendo come la sua amministrazione fosse stata formalmente concentrata nelle mani di NOME, coimputata non ricorrente. In maniera del tutto apodittica, dunque, i ricorrenti sono stati ritenuti responsabili delle condotte descritte nel secondo e terzo punto dell’imputazione loro contestata, non avendo chiarito i giudici dell’appello a quale titolo e sulla base di quali elementi essi debbano rispondere anche di questi fatti.
Quanto invece ai prelievi asseritamente finalizzati a retribuire l’attività lavorativa deg imputati, la sentenza non ha sostanzialmente confutato le obiezioni svolte con i motivi d’appello in merito all’effettiva entità e collocazione temporale di tali prelievi, nonché alla progressiva restituzione di larga parte delle somme prelevate.
Se sulla causale dei prelievi le censure della difesa erano generiche, così come quelle svolte con gli odierni ricorsi, non essendo stati specificamente indicati gli elementi comprovanti l’effettivo svolgimento dell’evocata attività lavorativa, rimane il fatto che l’eventuale risalenza dei prelievi a diversi anni prima della manifestazione del dissesto societario è profilo indubitabilmente rilevante ai fini della valutazione della prevedibilit del fallimento quale conseguenza degli stessi ai fini della configurabilità del reato
contestato e ritenuto dai giudici del merito. E si badi che la questione assume rilievo anche qualora dovesse ritenersi più corretto riqualificare il fatto come bancarotta fraudolenta patrimoniale, atteso che nella sostanza quella oggetto di contestazione è una condotta distrattiva, nella quale gli imputati sarebbero concorsi con l’amministratrice della società, come peraltro correttamente contestato in diritto nell’imputazione, nella quale sono infatti evocati gli artt. 110 c.p., 216 e 223 legge fall Infatti, dovendosi in tal caso valutare la concreta pericolosità del distacco patrimoniale, comunque, quantomeno ai fini della configurabilità del dolo del reato, assumerebbe rilievo l’eventualità che i prelievi siano stati compiuti in epoca significativamente anteriore all’insorgenza della crisi dell’impresa e che nel tempo gli imputati abbiano cercato di restituire quanto prelevato, sempre che, ovviamente, i rilievi difensivi in proposito si rivelino fondati.
Alla luce delle evidenziate lacune motivazionali la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo giudizio, rimanendo assorbiti nell’accoglimento del secondo motivo le ulteriori doglianze proposte con gli altri motivi di ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Così deciso il 30/5/