Bancarotta Impropria: Anche Aggravare un Dissesto è Reato
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su una questione cruciale nell’ambito dei reati fallimentari: la configurabilità della bancarotta impropria anche quando la società si trovava già in una situazione di difficoltà economica. La Corte, con una decisione netta, ha ribadito che anche il semplice aggravamento di un dissesto preesistente, causato da operazioni dolose, è sufficiente per integrare il reato. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso: Il Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un amministratore di una società, condannato in primo e secondo grado per reati fallimentari, tra cui la bancarotta impropria per aver compiuto operazioni dolose. La Corte d’Appello territoriale, pur riformando parzialmente la prima sentenza, aveva confermato la responsabilità dell’imputato per questo specifico reato.
L’amministratore si è quindi rivolto alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e chiedendo l’assoluzione. A suo dire, non era stato provato adeguatamente il collegamento tra le sue azioni e il fallimento dell’impresa.
La Decisione della Corte sulla Bancarotta Impropria
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici di legittimità hanno sottolineato che le argomentazioni del ricorrente non erano volte a denunciare reali vizi logici nella motivazione della sentenza d’appello, bensì a sollecitare una nuova e diversa valutazione del merito della vicenda e delle prove. Questo tipo di riesame, come noto, è precluso in sede di Cassazione, dove il giudizio è limitato alla corretta applicazione della legge e alla logicità della motivazione.
Le Motivazioni: La Distinzione tra Dissesto e Fallimento
Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio giuridico consolidato in materia di bancarotta impropria. La Corte ha spiegato che, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che l’operazione dolosa compiuta dall’amministratore sia l’unica causa del fallimento.
Citando un proprio precedente (sentenza n. 40998/2014), la Cassazione ha chiarito che il nesso di causalità tra la condotta illecita e l’evento (il fallimento) non viene interrotto dalla preesistenza di una causa di dissesto efficiente. In altre parole, anche se la società era già in grave difficoltà economica, l’operazione dolosa che ha aggravato tale situazione è considerata una concausa sufficiente a far scattare la responsabilità penale.
La Corte distingue nettamente tra:
* Dissesto: una nozione economica che indica una situazione di difficoltà finanziaria, potenzialmente reversibile.
* Fallimento: una nozione giuridica, che corrisponde alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, un fatto storico e irreversibile.
Pertanto, ogni operazione dolosa che contribuisce a trasformare un dissesto, per quanto grave, in un fallimento conclamato, integra il reato di bancarotta impropria.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per amministratori, direttori e altri soggetti apicali di società in crisi. La decisione chiarisce che la presenza di difficoltà economiche preesistenti non funge da scudo contro la responsabilità penale. Qualsiasi atto di gestione doloso, che peggiori la situazione patrimoniale e finanziaria della società, sarà considerato penalmente rilevante se contribuisce a causare il dissesto definitivo che porta alla dichiarazione di fallimento.
In conclusione, la responsabilità di un amministratore non si attenua di fronte a una crisi aziendale; al contrario, richiede una gestione ancora più prudente e trasparente. Agire in modo fraudolento, anche solo aggravando una situazione già precaria, espone a conseguenze penali molto severe.
Per configurare il reato di bancarotta impropria, l’operazione dolosa deve essere l’unica causa del fallimento?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il nesso di causalità non è interrotto dalla preesistenza di altre cause di dissesto. È sufficiente che l’operazione dolosa abbia contribuito, anche solo aggravandola, alla situazione che ha portato alla dichiarazione di fallimento.
Se una società è già in uno stato di difficoltà economica (dissesto), un amministratore può essere comunque condannato per bancarotta impropria?
Sì. La sentenza specifica che la nozione economica di ‘dissesto’, che può essere reversibile, è distinta da quella giuridica di ‘fallimento’. Un’operazione dolosa che aggrava un dissesto già in atto è sufficiente per essere considerata concausa del successivo e definitivo fallimento.
Cosa ha deciso la Corte riguardo al ricorso dell’imputato?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Ha ritenuto che le argomentazioni dell’imputato non evidenziassero vizi logici nella sentenza impugnata, ma mirassero a una nuova valutazione delle prove, attività non consentita nel giudizio di legittimità. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1962 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1962 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MONTICHIARI il 22/08/1975
avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia che, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha ritenuto di escludere il praticato aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen., rideterminando la pena per reati di cui agli artt. 216, 223 e 219 R.D. 267/1942, confermando nel resto.
Considerato che il primo ed unico motivo con il quale il ricorrente denunzia vizio di motivazione in ordine alla mancata assoluzione dall’ipotesi di bancarotta impropria da operazioni dolose risulta manifestamente infondato non essendo consentite le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.
Con motivazione esente dai descritti vizi logici, il giudice di merito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità e facendo buon governo del principio affermato da questa Corte secondo cui ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile.(Sez. 5, n.40998 del 20/05/2014, Rv. 262189).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 dicembre 2024 Il consi i,ere estensore e[
Il Presidente