Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32532 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32532 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nata in Russia il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 26 febbraio 2025 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la memoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
letta la memoria depositata il 27 giugno 2025 dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse della ricorrente, con la quale si insiste per raccoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Torino, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di bancarotta impropria da operazioni dolose perché, nella sua qualità di amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE” (dichiarata fallita il 19 novembre 2015), avrebbe sistematicamente omesso, dal 2009, il versamento di contributi e imposte, cumulando un debito erariale di oltre 870 mila e così cagionando il dissesto della società.
Il ricorso, proposto nell’interesse dell’imputata, si compone di tre motivi d’impugnazione, formulati sotto i profili della violazione di legge (il primo) e del connesso vizio di motivazione (il secondo e il terzo).
I primi due attengono al profilo soggettivo del reato e deducono che, contrariamente a quanto prospettato dalla Corte territoriale (che avrebbe desunto la partecipazione psichica della ricorrente dalla sola consistenza del passivo), nel ricostruire la partecipazione soggettiva dell’agente (strutturata normativamente in termini di dolo generico), occorrerebbe aver riguardo non solo all’astratta rappresentazione dell’evento (il dissesto e la conseguente dichiarazione di fallimento), ma all’effettiva accettazione di tale eventualità; circostanza non solo non accertata dai giudici di merito, ma sostanzialmente confliggente – sotto il profilo logico – con la significativa incidenza economica della condotta truffaldina di due dei committenti della società rispetto al successivo dissesto (dato fattuale specificamente devoluto alla Corte d’appello, ma radicalmente pretermesso nel complessivo impianto argomentativo offerto).
Il terzo deduce, invece, l’omessa valutazione – nell’accertamento della condotta omissiva, di quanto effettivamente versato a titolo di imposte (rispetto al loro complessivo importo) e di quanto effettivamente dovuto, tanto più che alcune delle cartelle esattoriale notificate sarebbero relative a presunti debiti maturati a titolo di IVA, pur essendo le prestazioni eseguite dalla società non soggette a tale imposta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso, anche alla luce di alcune pronunce richiamate dalla difesa e dell’assunto secondo cui occorrerebbe aver riguardo non soltanto alla prevedibilità del dissesto, ma all’effettiva accettazione di tale eventualità, impongono una necessaria puntualizzazione sul coefficiente psicologico che deve
investire, secondo la costruzione normativa, l’evento “dissesto” e sull’efficienza causale della condotta assunta dall’imputato rispetto al successivo verificarsi dell’evento.
2. Va premesso che il reato contestato (la bancarotta impropria da operazioni dolose) si struttura intorno ad una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente da una condotta (attiva o omissiva) costituente inosservanza dei doveri imposti ai soggetti indicati dalla legge, essa stessa articolata in una pluralità di atti, funzionalmente coordinati in una loro complessiva ed unitaria causa concreta ed eziologicannente idonei alla causazione del fallimento (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 279071; Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Ferlaino, Rv. 268207).
Nella sua dimensione oggettiva, ciò che rileva è l’incidenza causale della condotta rispetto al fallimento: né la genesi dei debiti societari, né l’asserito equilibrio finanziario in ipotesi vissuto dalla società in tempi antecedenti, né, in ultimo, la preesistenza di una causa in sé efficiente rispetto al fallimento (e, quindi, il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto),..sAk5eirbcsra hze alla luce della disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., ad interrompere il nesso di causalità tra le operazioni dolose e il successivo fallimento della società (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189).
Parallelamente, sotto il profilo soggettivo, come lucidamente ricostruito in una recente decisione di questa Corte (Sez. 5, n. 24692 del 04/07/2025, COGNOME), la costruzione della fattispecie si trae dal confronto tra le due ipotesi descritte all’interno del medesimo numero 2, comma secondo, art. 223 I. fall.: il delitto di causazione “dolosa” del fallimento, strutturata in termini di volizione e rappresentazione dell’evento del reato (il fallimento) e la bancarotta fraudolenta da operazioni dolose, nella quale, invece, l’oggetto diretto del dolo non è l’evento del reato (il dissesto che, poi, conduce alla successiva liquidazione giudiziale), ma, al contrario, la condotta ad esso prodromica, ossia le operazioni poste in essere dall’agente, che, nella concreta dinamica fattuale, hanno avuto concreta efficacia causale rispetto al fallimento.
Ed in questa prospettiva si comprendono le consolidate pronunce di questa Corte, che costruiscono il reato come un delitto a dolo generico, dove ciò che rileva non è l’esistenza di una volontà diretta a provocare il dissesto, ma la mera consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, determini la concreta
prevedibilità della decozione (Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207).
Una sorta di bancarotta “preterintenzionale”, dove il dato rilevante è il collegamento puramente causale con l’evento, dipendente da una condotta volontaria intrinsecamente idonea alla sua causazione (Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Rv. 212613). Ed in ciò la differenza rispetto al differente atteggiamento psicologico che caratterizza il dolo eventuale, esso stesso caratterizzato dalla volontaria accettazione non solo del rischio e del pericolo, ma anche della stessa realizzazione dell’evento dannoso, quale prezzo eventuale (non voluto) del risultato desiderato (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261104).
È pur verache in alcune isolate pronunce (come quelle richiamate dalla difesa) si evoca la categoria del “dolo eventuale” (così anche Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, COGNOME), ma anche in queste, in ultimo, pur dando conto della compatibilità della partecipazione in termini di dolo eventuale, si dichiara espressamente di porsi in linea con gli arresti giurisprudenziali finora evidenziati, richiamando, quale necessario (e sufficiente) coefficiente soggettivo, la mera prevedibilità del dissesto.
Ciò considerato, la Corte d’appello, da un canto, dà conto dell’efficacia causale delle omissioni tributarie e previdenziali rispetto al successivo dissesto (certificata da un’insinuazione al fallimento dell’agente per la riscossione per un importo di oltre 866.000 euro rispetto a un passivo complessivo di 1.096.893,74 euro), dall’altro, evidenzia puntualmente gli indici di concreta prevedibilità del successivo verificarsi dell’evento, sostanzialmente riconducibili all’aumento esponenziale delle passività, alla sistematicità delle omissioni tributarie e contributive e alla concreta conseguente possibilità dell’attivazione delle iniziative risarcitorie e/o sanzionatorie destinate a sfociare nel radicale ‘ii – n-el’t – nel4t0 della società e, quindi, nel successivo ed inevitabile dissesto.
A fronte di ciò, da un canto, la deduzione afferente ad un’asserita parziale estinzione della posta debitoria è rimasta allo stato di mera allegazione ed è, quindi, per la sua genericità, indeducibile; dall’altro, l’esistenza di condotte truffaldine da parte di due dei committenti della società è dato solo genericamente allegato e, comunque, alla luce della disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., inidoneo non solo, sotto il profilo oggettivo, ad interrompere il nesso di causalità tra le operazioni dolose e il successivo fallimento della società, ma anche, sotto il profilo soggettivo, ad escludere la concreta prevedibilità dell’evento,
proprio alla luce della persistente possibilità dell’attivazione delle iniziativ risarcitorie e/o sanzionatorie da parte dell’ente impositore (Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, COGNOME, Rv. 276996; Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 273337; Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270046; Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, COGNOME, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 261684; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, COGNOME, Rv. 260492; Sez. 5, n. 12426 del 29/11/2013, dep. 2014, Beretta, Rv. 259997).
Il ricorso, quindi, deve essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 luglio 2025
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Il Presidente