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Bancarotta impropria: quando il dolo è prevedibilità

L’amministratrice di una S.r.l. è stata condannata per bancarotta impropria a causa del sistematico omesso versamento di imposte e contributi, che ha causato il dissesto della società. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, specificando che per integrare il dolo in questo reato è sufficiente la mera prevedibilità del dissesto come conseguenza della propria condotta gestionale, non essendo necessaria l’accettazione dell’evento fallimentare.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Impropria: Basta la Prevedibilità del Dissesto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32532 del 2025, torna a delineare i confini del reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, soffermandosi in particolare sull’elemento psicologico richiesto: il dolo. La Corte chiarisce che per la condanna non è necessario dimostrare che l’amministratore volesse attivamente il fallimento della propria azienda; è sufficiente la mera prevedibilità del dissesto come conseguenza delle sue scelte gestionali. Questa pronuncia rappresenta un importante monito per tutti gli amministratori sulla diligenza richiesta nella gestione societaria.

Il Caso: Omissioni Fiscali e il Dissesto Societario

Il caso esaminato riguarda l’amministratrice di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita nel 2015. L’accusa era quella di aver causato il dissesto della società attraverso una condotta omissiva sistematica: a partire dal 2009, aveva omesso il versamento di imposte e contributi previdenziali, accumulando un debito erariale di oltre 870.000 euro. Tale condotta, secondo l’accusa, aveva minato irrimediabilmente la salute finanziaria dell’impresa, conducendola al fallimento.

I Motivi del Ricorso e la tesi della bancarotta impropria

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali. I primi due contestavano l’elemento soggettivo del reato. Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente desunto l’intenzione dolosa dalla sola entità del debito. Secondo la difesa, per configurare il dolo generico non basta la rappresentazione astratta del dissesto, ma occorre l’effettiva accettazione di tale evento. Inoltre, si evidenziava come la Corte non avesse considerato un fattore esterno cruciale: la condotta truffaldina di due importanti clienti della società, che avrebbe inciso in modo significativo sulla crisi aziendale. Il terzo motivo lamentava una valutazione parziale della situazione debitoria, senza considerare i pagamenti parziali effettuati o la presunta non debenza di alcune imposte (IVA).

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, offrendo una lucida ricostruzione dei requisiti del reato di bancarotta impropria.

Il Dolo Generico e la Prevedibilità dell’Evento

Il punto centrale della sentenza è la definizione del coefficiente psicologico. La Corte ribadisce che il reato in questione è un delitto a dolo generico. Ciò significa che non è richiesta la volontà specifica di provocare il dissesto. L’elemento soggettivo consiste, piuttosto, nella consapevolezza di porre in essere un’operazione intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria della società.

La Cassazione definisce il reato come una sorta di “bancarotta preterintenzionale”, dove l’evento finale (il dissesto) è una conseguenza prevedibile, anche se non direttamente voluta, di una condotta volontaria. In quest’ottica, la “mera prevedibilità del dissesto” è il coefficiente soggettivo necessario e sufficiente per integrare il reato, senza bisogno di dimostrare l’accettazione del rischio tipica del dolo eventuale.

Il Nesso Causale e l’Irrilevanza di Cause Esterne

Per quanto riguarda l’incidenza della condotta fraudolenta dei clienti, la Corte applica i principi del concorso di cause (art. 41 c.p.). L’esistenza di altre concause, preesistenti o simultanee, non interrompe il nesso di causalità tra la condotta dell’amministratore e il fallimento. Il comportamento omissivo, sistematico e protratto nel tempo, ha avuto un’efficacia causale concreta nel determinare il dissesto. La condotta dei terzi, pur potenzialmente dannosa, non è stata ritenuta idonea da sola a escludere la rilevanza penale delle scelte gestionali dell’imputata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su un’interpretazione consolidata della fattispecie di bancarotta impropria. La decisione si fonda sulla distinzione tra la causazione “dolosa” del fallimento, che richiede la volontà dell’evento, e la bancarotta da operazioni dolose, in cui il dolo investe la singola operazione prodromica, la quale deve essere semplicemente prevedibile come causa del dissesto. Nel caso di specie, l’accumulo esponenziale di debiti fiscali e la sistematicità delle omissioni rendevano il dissesto un evento non solo prevedibile, ma pressoché inevitabile. Le argomentazioni difensive relative a cause esterne o a parziali pagamenti sono state giudicate generiche e non supportate da prove concrete, e comunque inidonee a interrompere il nesso causale o a escludere la prevedibilità dell’evento.

Conclusioni: Un Monito per gli Amministratori

La sentenza ribadisce un principio di grande importanza pratica: la responsabilità penale di un amministratore per bancarotta impropria non richiede la prova di un’intenzione fraudolenta di mandare in rovina l’azienda. È sufficiente aver posto in essere, con consapevolezza, operazioni gestionali – anche omissive, come il mancato pagamento delle imposte – la cui pericolosità per la stabilità finanziaria della società era chiaramente prevedibile. Questa pronuncia sottolinea l’elevato grado di diligenza e prudenza richiesto a chi ricopre cariche societarie, le cui scelte devono essere sempre orientate alla salvaguardia della salute economico-finanziaria dell’impresa.

Per il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose è necessario che l’amministratore abbia voluto causare il fallimento?
No, secondo la Corte non è necessaria una volontà diretta a provocare il dissesto. È sufficiente la mera consapevolezza di porre in essere un’operazione pericolosa per la salute economico-finanziaria della società e la conseguente prevedibilità del dissesto come risultato di tale condotta.

Se altre cause, come la frode di un cliente, contribuiscono al fallimento, la responsabilità dell’amministratore viene esclusa?
No, la presenza di altre cause non interrompe il nesso di causalità tra la condotta dell’amministratore e il fallimento, a meno che tali cause non siano state da sole sufficienti a determinare l’evento. L’operato dell’amministratore che contribuisce al dissesto rimane causalmente rilevante.

Qual è la differenza tra il dolo richiesto in questo reato e il dolo eventuale?
Il dolo generico richiesto per la bancarotta impropria si ferma alla prevedibilità dell’evento-dissesto come conseguenza della propria condotta. Il dolo eventuale, invece, richiede un passo ulteriore: non solo la previsione ma anche l’accettazione volontaria del rischio che l’evento dannoso si verifichi, come “prezzo” da pagare per un altro risultato desiderato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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