Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14409 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14409 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Carobbio degli Angeli il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 9 maggio 2023 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata il 19 gennaio 2024, dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse della parte civile costituita, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna la sentenza con la quale la Corte d’appello di Milano, confermando la condanna pronunciata in primo grado, lo ha ritenuto responsabile, nella sua qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 7 aprile 2016), dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver distratto l’intera azienda della fallita, trasferendola di fatto ad alt
società comunque riconducibile al ricorrente) e di bancarotta impropria da operazioni dolose (per aver contribuito a cagionare il fallimento omettendo sistematicamente il pagamento delle ritenute, tributi e imposte, così accumulando un debito di 8.877.403,60 euro).
2. Il ricorso si compone due motivi di censura.
2.1. Il primo deduce, sotto il profilo del vizio di motivazione, l’insussistenza degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta distrattiva, attesa la logica incompatibilità dell’assunto accusatorio rispetto a due pacifici dati fattuali emersi nel corso dell’istruttoria: le fatture di acquisto dei beni, che servirono alla RAGIONE_SOCIALE (cessionaria dell’azienda) per lo svolgimento della propria attività d’impresa, e la sostanziale diversità della nuova società rispetto a quella fallita, chiaramente desumibile dai differenti servizi forniti, circostanza immediatamente percepibile dalle dichiarazioni rese dai testi esaminati in dibattimento.
2.2. Il secondo, formulato sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, attiene alla contestazione formulata in termini di bancarotta impropria e lamenta, in particolare, l’omessa applicazione dell’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 del codice penale.
Nello specifico, secondo la prospettazione difensiva, l’inadempimento dei debiti erariali dovrebbe ritenersi giustificato dalle significative difficoltà finanziar (peraltro antecedenti rispetto alla condotta contestata) che avrebbero imposto la necessità di privilegiare posizioni soggettive (delle dei lavoratori) ugualmente garantite sul piano costituzionale. E ciò, peraltro, nella prospettiva di riuscire a proseguire l’attività aziendale e di ripianare in futuro i predetti debiti anche attraverso la rateizzazione delle cartelle esattoriali e la riduzione del personale; circostanze che, comunque, escluderebbero la configurabilità di una condotta dolosa diretta a cagionare il fallimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con le analitiche argomentazioni offerte dalla Corte d’appello.
Va premesso che all’imputato è contestato di aver distratto dal patrimonio societario l’intero complesso aziendale (comprendente avviamento, beni strumentali, rapporti di lavoro e rapporti commerciali), trasferendolo, di fatto e senza corrispettivo, alla RAGIONE_SOCIALE, appositamente costituita e riconducibile ai medesimi amministratori.
In disparte la considerazione per cui l’assenza di corrispettivo è circostanza, in sé, sufficiente, la Corte d’appello ha dato atto che le dichiarazioni rese dagli ex dipendenti della RAGIONE_SOCIALE non risultano affatto avere dimostrato quello che
sostiene la difesa, confermando, invece, il passaggio di maestranze licenziate dalla fallita nella struttura societaria costituita ex novo (la RAGIONE_SOCIALE), con identiche mansioni e l’utilizzo dei medesimi strumenti produttivi. Da ciò la sostanziale continuità dell’attività aziendale nella nuova società.
La circostanza per cui nella nuova società sarebbero stati introdotti taluni ammodernamenti gestionali non solo non esclude la ritenuta sovrapponibilità gestionale, ma, al contrario appare coerente, come rilevato dalla Corte territoriale, con la prospettazione accusatoria e, quindi, con la necessità, per l’imputato, “di abbandonare alla spalle tutte le difficoltà che avversavano l’attività della fallita, salvandone solo gli aspetti positivi nella nuova compagine”.
Ciò premesso, il ricorrente si limita a censurare non già l’esistenza, la logicità (manifesta) e la coerenza della motivazione, ma la valenza probatoria dei singoli elementi (peraltro valutati atomisticamente). Dimentica, tuttavia, che il controllo di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, della quale si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logicoargomentatívo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della motivazione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione delle vicende (ex pluribus, Sez. 3, n. 46526 del 28/10/2015, Rv. 265402; Sez. 3, n. 26505 del 20/5/2015, Rv. 264396).
2. Il secondo è, invece, infondato.
In linea AVV_NOTAIO, il reato di cui al secondo comma, n. 2, dell’art. 223 I. fall. è un reato a forma libera ed è integrato da una condotta attiva o omissiva, costituente inosservanza dei doveri imposti ai soggetti indicati dalla legge e strutturato intorno ad una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non da una singola condotta, ma da un fatto di maggiore complessità, integrato da una pluralità di atti funzionalmente coordinati nella loro complessiva ed unitaria causa concreta ed eziologicamente idonei alla causazione del fallimento (Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Rv. 279071; Sez. 5, n. 44103 del 27/06/2016, Rv. 268207).
Non rileva, né è sempre immediatamente percepibile, il compimento di una singola azione dannosa, ma solo, appunto, una pluralità di atti (astrattamente legittimi nella loro dimensione individuale), tra loro funzionalmente concatenati. Ed è solo dalla valutazione sistematica di questi atti che è possibile cogliere la causa concreta dell’operazione posta in essere e, con essa, il pregiudizio subito dalla società.
Parallelamente, sotto il profilo soggettivo, la fattispecie normativa costruisce il reato come un delitto a dolo generico, dove il fallimento è solo l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria. Non è necessaria,
quindi, una volontà diretta a provocare il dissesto: è sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o in un’infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico-finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione (Sez. 5 n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207). Una sorta di bancarotta “preterintenzionale”, dove ciò che rileva è il collegamento puramente causale con l’evento dipendente da una condotta volontaria intrinsecamente idonea alla causazione dell’evento, accettato nella sua dimensione anche solo potenziale (Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247315; Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, Rv. 212613).
Ebbene, nella sentenza impugnata si dà atto dell’esistenza di un ingente debito tributario, ammesso al passivo per un importo di oltre otto milioni di euro (e, quindi, giudizialmente accertato) e del (pacifico) integrale inadempimento di tutte le obbligazioni tributarie a partire quantomeno dal 2010, circostanza, quest’ultima, in sé già idonea ad integrare il reato (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337).
Ebbene, a fronte delle analitiche osservazioni offerte dalla Corte territoriale, le censure sollevate dal ricorrente appaiono meramente ripetitive di argomentazioni già valutate o comunque ininfluenti ai fini del perfezionamento del reato (attesa la pacifica irrilevanza, in ragione della disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., tanto della genesi dei debiti societari, quant dell’asserita crisi di liquidità in ipotesi vissuta dalla società: Sez. 5, n. 40998 d 20/05/2014, Rv. 262189).
Quanto al profilo soggettivo, l’onere probatorio che incombe sull’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale (nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fronte degli interessi della società), nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie né l’effettiva rappresentazione, né la volontà dell’evento fallimentare (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207).
Ebbene il ricorrente, nella sua qualità amministratore della RAGIONE_SOCIALE, rientrando fra le prerogative proprie dell’amministratore il versamento delle imposte e la sottoscrizione delle relative dichiarazioni fiscali, era sicuramente a conoscenza dei debiti erariali e, quindi, alla luce della sua funzione e della conseguente consapevolezza del dato contabile, anche nella condizione di poter prevedere concretamente che il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali avrebbe esposto il patrimonio sociale
alle azioni di riscossione erariale, particolarmente gravose per gli imponenti interessi e sanzioni che per legge vengono applicati.
Ebbene, proprio perché non è richiesta la rappresentazione e volontà dell’evento fallimentare, quale obiettivo immediato e diretto della condotta posta in essere, l’impegno profuso (attraverso le rateizzazioni richieste) e le particolari contingenze economiche all’interno delle quali sarebbe maturato il fallimento sono circostanze inidonee ad incidere sulla bontà dell’impianto argomentativo offerto dalla corte territoriale.
Quanto all’ulteriore censura, va premesso che l’esimente della forza maggiore, di cui all’art. 45 cod. pen., sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agen abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica (Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145).
Ebbene, pur volendo ipotizzare la (pregressa) sussistenza di una significativa difficoltà finanziaria, in tale situazione la scelta di non adempiere alle obbligazioni fiscali e contributive non è imposta da nessuna prescrizione cogente, ma è solo il risultato di una libera determinazione dell’imprenditore, attraverso cui la prosecuzione dell’attività economica è stata finanziata con l’utilizzo del denaro spettante all’Erario e agli istituti previdenziali. In ciò, all’evidenza, l’impossibi logica e giuridica di ritenere configurabile l’invocata esimente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3500, oltre accessori di legge.
Così deciso il 30 gennaio 2024
Il Conslgliere estensore
Il Presidente