Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16421 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16421 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME nato a Fano il 31 maggio 1943;
avverso la sentenza del 18 settembre 2024 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME veniva tratto a giudizio per rispondere, nella sua qualità di perito incaricato della valutazione dei titoli utili utilizzati nell’operaz di aumento di capitale della società RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 10 gennaio 2017), del reato di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 (capo Al), per aver concorso nella causazione del dissesto della predetta società attraverso un fittizio aumento di capitale sociale (rilevante ai sensi dell’art. 2632 cod. civ.), realizzato mediante il conferimento di titoli obbligazionari valutati per euro 13.495.497, ma
in realtà privi di qualsivoglia valore economico, e del reato di cui all’art. 483 cod pen. (capo B), per aver attestato falsamente il predetto valore.
La prospettazione accusatoria è stata integralmente confermata dal Tribunale e, all’esito dell’impugnazione proposta dall’imputato, parzialmente, anche in secondo grado dalla Corte d’appello (che, tuttavia, dichiarava non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo B per intervenuta prescrizione).
Ricorre per cassazione il COGNOME formulando tre motivi d’impugnazione, tutti articolati sotto i profili della violazione di legge e del connesso vizi motivazione.
3.1. Il primo deduce l’insussistenza di un contributo causalmente orientato al dissesto economico della società, non essendo state accertate né le reali cause del fallimento, né l’effettivo valore dei titoli oggetto di valutazione, né, in ult l’incidenza della contestata operazione di aumento rispetto al successivo dissesto.
3.2. Il secondo censura l’applicazione della recidiva, ritenuta dalla Corte senza verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia stato sintom effettivo di maggiore riprovevolezza della condotta e pericolosità del suo autore
3.3. Il terzo, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e, i particolare, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, illogicamente escluse alla luce dei medesimi dati fattuali già valutati ai sensi degli artt. 99 e 133 cod. pen., per la quantificazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è, complessivamente, infondato.
Va premesso che il reato di bancarotta impropria contestato al ricorrente è un reato di evento in quanto presuppone, ai fini del suo perfezionamento, che la condotta commessa dall’agente (la consumazione del reato societario presupposto) abbia causato (o concorso a causare) l’evento descritto nella fattispecie normativa, il dissesto della società poi fallita, anche aggravando una situazione economica di decozione già manifestatasi (Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270877; Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 15/04/2015, COGNOME, Rv. 263803; Sez. 5, n. 33063 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286803).
Si tratta, com’è noto, di un reato proprio, al quale, tuttavia, in applicazione dell’art. 110 cod. pen., ben può concorrere un extraneus (come, nel caso specifico, un professionista esterno), fornendo un consapevole contributo morale o materiale alla realizzazione del fatto di reato.
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Ciò considerato, nella prospettazione accusatoria, condivisa da entrambi i giudici di merito, il contributo fornito dal NOME è consistito nella redazion della perizia di stima del Titolo JPMCC e nel conseguente determinante apporto (nei termini imposti dall’art. 2645 cod. civ., esplicitamente richiamati nell’attestazione) all’aumento del capitale della BG Intercom (da novantamila euro a dieci milioni di euro), resosi necessario in ragione dell’esigenza di offrire un’apparenza di solidità economica alla società e, con essa, attraverso la stipula di un contratto di affitto di ramo d’azienda con la RAGIONE_SOCIALE (comunque riconducibile al medesimo amministratore), permettere la predisposizione di una proposta credibile di concordato preventivo da parte di quest’ultima.
I titoli sono stati valutati per euro 13.495.497, ma, in realtà, sono risultat privi di qualsivoglia valore economico. In questi termini la concorde dichiarazione dei testi esaminati (fra i quali il funzionario della banca depositaria del titolo coerentemente riscontrata dagli esiti della procedura di vendita predisposta dal curatore della BG RAGIONE_SOCIALE (che ha condotto ad un ricavato di soli 6.500 euro).
E che tale (falsa) valutazione abbia inciso sulla causazione del dissesto emerge, nella uniforme valutazione dei giudici di merito, dalla possibilità offerta attraverso il disposto aumento – di proseguire l’attività economica, incrementando, così, la pregressa debitoria e il già esistente dissesto.
Ricostruiti in questi termini i dati fattuali, emerge con evidenza la complessiva infondatezza degli assunti difensivi. Ed invero, analizzando partitamente le censure: l’esatta individuazione delle cause del fallimento diviene circostanza irrilevante, ben potendo, per come si è detto, l’evento del reato contestato consistere anche solo nell’aggravamento di uno stato di un preesistente stato di decozione (non contestato dalla difesa); il prospettato differente valore del titolo valutato confligge con il dato oggettivo rappresentato dagli esiti della liquidazione fallimentare e, comunque, è dato fattuale rimasto allo stato di mera allegazione; l’incidenza della condotta assunta del COGNOME e, con essa, dell’aumento fittizio di capitale sullo stato di dissesto della BG Intercom ha trovato logico supporto motivazionale nelle argomentazioni in precedenza richiamate, con le quali il ricorrente omette ogni confronto.
Il secondo e il terzo motivo di appello attengono, per come si è detto, alla quantificazione del trattamento sanzionatorio, quanto, in particolare, all’invocata esclusione dell’aumento per la recidiva e al riconoscimento delle attenuanti generiche.
2.1. Con riferimento a quest’ultimo profilo, deve premettersi che la graduazione della pena presuppone un apprezzamento in fatto e un conseguente
esercizio di discrezionalità (ed è, quindi, riservata al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, ove non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). Naturale corollario di tale assunto è che il giudice deve dar conto, sia pure sinteticamente, delle singole decisioni adottate nell’esercizio del suo potere discrezionale; onere che può ritenersi adempiuto allorché il giudice di merito abbia indicato, nel corpo della sentenza, gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410) ed è tanto meno stringente quanto più la determinazione è prossima al minimo edittale, rimanendo, in ultimo, sufficiente il semplice richiamo al criterio d adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 28852 del 08/052013, Rv. 256464).
In questo contesto, le circostanze attenuanti generiche, in sé, non costituiscono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessitano, in positivo, di elementi ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente alla concreta gravità del fatto (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590). Da ciò la necessita di una specifica motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, anche attraverso la sola indicazione delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza la stretta necessità della contestazione o dell’invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
In concreto, Corte territoriale ha ritenuto di non riconoscere le attenuanti generiche alla luce della ritenuta inconferenza delle argomentazioni difensive (la non giovane età dell’imputato e la personalità del predetto, che, nella valutazione della Corte e contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, dimostrano una pervicace e costante determinazione a delinquere) e l’infondatezza dell’ipotizzato ridotto contributo causale (confliggente con il ruolo essenziale assunto dal NOME nell’aumento fittizio di capitale della fallita). La motivazione è logica e coerente e, in quanto tale, insindacabile in questa sede.
2.2. Infondata è anche l’ulteriore censura sollevata. La disciplina della recidiva, infatti, trova la sua giustificazione nella riscontrata insensibilità soggetto agente al trattamento repressivo e rieducativo; cosicché presuppone che
le pregresse condotte criminose (delle quali sia stata previamente accertata la commissione) siano state indicative di una perdurante inclinazione al delitto, che
abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato
sub iudice
(Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419). Sotto il profilo motivazionale, il relativo onere è soddisfatto in tutte le ipotesi nelle quali, anche
se con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n.
56972 del 20/06/2018, Rv. 274782). Ebbene, la Corte ha dato atto della maggiore pericolosità manifestata dal ricorrente evidenziando la reiterazione nel corso degli
anni di reati sostanzialmente identici a quello per cui è giudizio (plurime bancarotte fraudolente); circostanza che, in sé, assume valenza determinante, in quanto
espressione di una perdurante inclinazione al delitto, che ha influito, quale fattore criminogeno, nella consumazione del reato
sub iudice.
E tanto legittima la conclusione alla quale è giunta poi la Corte territoriale.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente