Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26862 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26862 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a BUROLO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a VERCELLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito per le imputate l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna di COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose commesso nelle rispettive qualità di presidente e di componente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, fallita nel novembre del 2015.
Avverso la sentenza ricorrono autonomamente le imputate. 2.1 Con il ricorso proposto nell’interesse della COGNOME vengono dedotti vizi di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. In tal senso lamenta la ricorrente che la Corte, in merito al contestato inadempimento degli obblighi tributari, non avrebbe tenuto conto di quanto riportato perfino nella sentenza di primo grado ed oggetto di specifica doglianza difensiva, ossia che nella nota integrativa al bilancio del 2009 era stato precisato come si fosse proceduto alla rateizzazione delle cartelle relative ai versamenti non effettuati nei due esercizi del mandato della COGNOME. Circostanza questa indubbiamente decisiva ai fini di escludere la dolosa preordinazione dell’omesso pagamento dei debiti erariali e previdenziali e la stessa prevedibilità del dissesto. La stessa Corte non avrebbe poi considerato, come pure eccepito nello stesso senso, che la cliente più importante della cooperativa non avesse assicurato il regolare pagamento di quanto dovuto per i servizi ricevuti. Infine i giudici dell’appello avrebbero apoditticamente interpretato le dimissioni dell’imputata come il tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità, anziché attribuirle, come prospettato, a quello di favorire un ricambio gestionale per rilanciare l’attività d’impresa. Infine del tutto ingiustificatamente la Corte avrebb attribuito all’imputata la responsabilità per l’omesso pagamento dell’intero debito erariale e previdenziale, compresa la parte maturata successivamente alle sue dimissioni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2 II ricorso della COGNOME deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all’affermazione della responsabilità dell’imputata. Anche in questo caso le doglianze riguardano essenzialmente la configurabilità dell’elemento psicologico del reato, osservando la ricorrente come l’imputata si sia dimessa nell’aprile del 2009, come la relazione del revisore dei conti relativa all’esercizio 2008, trascurata dalla Corte, avesse evidenziato elementi di criticità che la società aveva ritenuto di poter fronteggiare, evidenziandosi dunque la convinzione del consiglio di amministrazione di poter evitare il fallimento della cooperativa. I giudici dell’appell avrebbero ingiustificatamente omesso di considerare le conclusioni del consulente
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della difesa sull’effettiva entità del debito erariale e previdenziale maturato al termine dell’esercizio relativo al 2008.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati.
Non è in discussione il principio per cui le operazioni dolose di cui all’art. 223 comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (ex multis Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, De Mattia, Rv. 273337).
L’incriminazione di cui si tratta non intende però sanzionare l’evasione fiscale e previdenziale di per sé, bensì la conseguenza di tali comportamenti, ossia la causazione o l’aggravamento del dissesto della società, e sempre che gli stessi possano qualificarsi come vere e proprie operazioni dolose, ossia l’espressione di specifiche e selettive scelte gestionali preordinate alla sistematica omissione degli adempimenti fiscali e previdenziali.
Deve dunque rifuggirsi dalla tentazione di radicare un rigido automatismo per cui il non occasionale versamento dei tributi o degli oneri previdenziali, qualora la società pervenga al fallimento, integra sempre e inevitabilmente la fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. non solo nella sua materialità, ma anche nella sua componente soggettiva, dovendosi in proposito ricordare che, per il costante insegnamento di questa Corte, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (ex multis Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510).
Alla luce di tali consolidati principi deve allora rilevarsi che la Corte territoriale no è compiutamente confrontata con tutta la prova disponibile, sostanzialmente pretermettendo alcune delle sollecitazioni delle difese pur astrattamente rilevanti ai fini della verifica dell’articolato meccanismo di imputazione soggettiva del fatto tipizzato dalla menzionata disposizione incriminatrice.
Sulla base di quanto esposto in sentenza – e non contestato dalle ricorrenti – non è dubbio che sin dalla sua costituzione la fallita abbia accumulato un debito fiscale e previdenziale, ma non è invece chiarito, ad esempio, se tale debito corrisponda alla
totalità o quantomeno ad una rilevante parte delle obbligazioni di tale natura gravanti sulla società ovvero se gli organi gestori abbiano selezionato la tipologia di adempimenti da omettere, finanziando in tal modo quello di altre poste debitorie. Né dalla sentenza emerge con la dovuta precisione quale percentuale del passivo erariale e previdenziale accertato al momento dell’instaurazione della concorsualità sia effettivamente imputabile alla gestione delle imputate, circostanza non ininfluente ai fini della verifica dell’elemento soggettivo del reato anche tenuto conto della contenuta durata di tale gestione (sostanzialmente protrattasi per due esercizi). Ancora i giudici del merito non hanno considerato l’obiezione difensiva relativa all’acquisizione di documentazione asseritamente attestante la negoziazione dei suddetti debiti, anche solo al fine di verificare l’eventuale strumentalità della eccepita rateizzazione. Infine l Corte non ha spiegato per quali ragioni ha escluso che le imputate al termine dell’esercizio del 2008 non potessero essersi effettivamente convinte delle potenzialità di ripresa della società, magari confidando in maniera solo erronea sulla regolarizzazione dei pagamenti da parte dell’unico committente, e dunque ritenessero di poter evitare il definitivo dissesto.
In definitiva non è dubbio che il progetto imprenditoriale per cui la società è stata costituita appare, con giudizio a posteriori, scarsamente sostenibile, ma ciò non è sufficiente ad inferirne l’originario disegno delle imputate di supportarlo attraverso la consumazione del reato contestato, tanto più che la sentenza nemmeno ha precisato se l’inadempimento ha riguardato solo i debiti erariali e previdenziali o anche e in che misura le altre obbligazioni assunte dalla fallita.
Alla luce delle evidenziate lacune motivazionali la sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte d’appello di Milano.