Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3197 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3197 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VARESE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/10/2022 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso co conseguenti statuizioni.
udito il difensore L’avvocato NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Como, in data 9.12.2021, aveva condanNOME COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in relazione al fatto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, in rubrica ascrittogli, in relazione al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato dal tribunale di Como in data 13.12.2018.
I giudici di merito, in particolare, hanno ritenuto che il COGNOME abbia concorso a cagionare il dissesto della società fallita, mediante la sovrastima delle rimanenze finali rilevate nel bilancio al 31.12.2016, in cui venivano esposti fatti materiali non rispondenti al vero, al fine di occultare le perdite e proseguire l’attività di impresa, in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di RAGIONE_SOCIALE, rappresentando un apparente e fittizio stato di benessere della società, in modo da ritardare la dichiarazione di fallimento.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale, travisando il contenuto della doglianza prospettata con i motivi di appello, non ha fornito risposta alla questione sollevata dall’appellante, che, in diverse occasioni, ha sottolineato come il COGNOME non possa considerarsi soggetto attivo del reato di cui si discute, in quanto egli, non solo non ha partecipato all’assemblea di approvazione del bilancio al 31.12.2016, tenutasi il 23.11.2017, ma in quel momento, nemmeno era più componente del consiglio di amministrazione della società fallita, essendosi dimesso il 4.8.2017, senza tacere che il COGNOME, come dimostrato dal contenuto della consulenza tecnica depositata dalla difesa, era stato di fatto escluso dalla gestione della società dopo la morte del dominus dell’impresa, COGNOME NOME, avvenuta nell’aprile del 2016, e il subentro in azienda della moglie e del figlio di quest’ultimo, nominati nel consiglio di
amministrazione in data 12.4.2016; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di stimata sopravvalutazione del magazzino al 31.12.2016, che, ad avviso del ricorrente, deve ritenersi frutto di un vistoso errore tecnico di computazione; 3) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla omessa valutazione da parte della corte territoriale delle dichiarazioni di dipendenti e collaboratori della società fallita, raccolte in sede di indagini difensive., completamente pretermesse dai giudici di merito.
3. Con requisitoria scritta del 17.7.2023, da valere come memoria, posto che, nelle more, è stata formulata richiesta di trattazione orale della proposta impugnazione, il sostituto AVV_NOTAIO generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso venga rigettato.
Il ricorso va accolto nei seguenti termini, essendo fondato il primo motivo di impugnazione, in esso assorbita ogni ulteriore doglianza.
5. In via preliminare appare opportuno procedere, per quel che interessa in questa sede, a una sintetica ricognizione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione del disposto dell’art. 223, co. 2, n. 1), con particolare riferimento alla fattispecie di causazione o di aggravamento del dissesto, determinata, come nel caso in esame, dalla condotta illecita di cui all’art. 2621, c.c., in tema di false comunicazioni sociali.
Orbene, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, i fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un’ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l’autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (con la conseguenza, tra l’altro, che i termini di prescrizione iniziano a decorrere non dalla consumazione delle singole condotte presupposte ma dalla data della declaratoria del fallimento: cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Rv. 250092).
Nel corso degli anni la giurisprudenza di legittimità si è attestata sul condivisibile orientamento, secondo cui commette il reato di bancarotta impropria da reato societario l’amministratore che, attraverso mendaci
appostazioni nei bilanci, simuli un’inesistente stato di solidità della società, consentendo così alla stessa di ottenere nuovi finanziamenti bancari ed ulteriori forniture, giacché, agevolando in tal modo l’aumento dell’esposizione debitoria della fallita, determina l’aggravamento del suo dissesto (cfr. Sez. 5, n. 17021 del 11/01/2013, Rv. 255089) ovvero esponga nel bilancio dati non veri al fine di occultare l’esistenza di perdite e consentire, quindi, la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di RAGIONE_SOCIALE, con conseguente accumulo di perdite ulteriori negli esercizi successivi, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (cfr. Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, Rv. 261759; Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, Rv. 282537).
Va, pertanto, ribadito che l’ipotesi di falso in bilancio seguito da fallimento della società di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, I.f., costituisce un’ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria e si distingue sia dal falso in bilancio previsto dall’art. 2621, c.c., che è reato sussidiario punito a prescindere dall’evento fallimentare, sia dalla bancarotta documentale propria concernente ipotesi di falsificazione di libri o di altre scritture contabili. Pertanto, verificatosi il fallimento, il fatto di cu all’art. 2621, c.c., è assorbito nel reato di bancarotta impropria, mentre concorre con il delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, I.f., ove integrato da condotte diverse dalla falsificazione (cfr. Sez. 5, n. 7293 del 28/05/1996, Rv. 205987; Sez. 5, n. 323 del 3.12.2020).
In altri termini, come affermato dalla dottrina prevalente e dalla stessa giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto, il delitto di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario è strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario, tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo, deve essere causa o concausa del dissesto societario, pur dovendosi individuare il momento di consumazione del reato nella dichiarazione di fallimento (cfr., Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Rv.
244488), posto che il rinvio operato dall’art. 223, co. 2, n. 1), l.f., riguarda le intere fattispecie incriminatrici contemplate nei singoli reati societari e non i soli fatti, intesi come condotta ed evento, in essi descritte (cfr., in questo senso, Sez. 5, n. 23236 del 23/04/2003, Rv. 224950).
Sotto altro profilo, pacifica è la natura di reato proprio del delitto di cui si discute, stante il chiaro disposto dell’art. 223, co. 2, I.f., che riconduce le condotte illecite previste dal n. 1) e dal n) 2) del suddetto comma, ai soggetti indicati nel primo comma del citato art. 223, l.f., vale a dire “agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite”.
In questa ottica si è sottolineato come il componente del consiglio di amministrazione risponde del concorso nella bancarotta impropria da reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all’espletamento del suo mandato (cfr. Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Rv. 252803).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, costante appare l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, alla luce del quale, in tema di bancarotta impropria da reato societario, con riferimento al reato di cui all’art. 2621, c.c., il dolo richiede una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico.(Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato in capo agli amministratori di fatto e di diritto, a fronte della esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero sulla situazione economica e finanziaria della società, al fine di ottenere l’ammissione al concordato preventivo e, comunque, la continuazione dell’attività d’impresa mediante manipolazione dei dati contabili e conseguente falsa rappresentazione della situazione contabile ai creditori e agli organi della procedura: cfr.,
ex plurimis, Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449, nonché Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Rv. 260356).
Orbene, applicando tali principi al caso in esame non può non rilevarsi un’incompletezza del percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale in ordine alla ritenuta riconducibilità della condotta illecita contestata al ricorrente.
Decisiva, al riguardo, è la posizione rivestita da COGNOME al momento dell’approvazione del bilancio “incrimiNOME“, in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il reato di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621, c.c., che, come si è detto !costituisce, un elemento della struttura complessa del reato di bancarotta impropria da reato societario, si consuma nel luogo e nel momento in cui si riunisce l’assemblea ed il bilancio viene illustrato ai soci (cfr. Sez. 5, n. 27170 del 27/04/2018, Rv. 273475).
Orbene, al momento dell’approvazione del bilancio in cui è stata effettuata la contestata sovrastima delle giacenze finali, che, come si è detto, avrebbe celato la reale situazione di crisi della società fallita, ritardandone la dichiarazione di fallimento e concorrendo a cagionarne il dissesto, il COGNOME non rivestiva il ruolo di amministratore della società fallita, da lui svolto, come evidenziato dalla stessa corte territoriale, in conformità al contenuto della contestazione, dal 6.3.1995 all’11.4.2016, mentre dal 12.4.2016 al 2.10.2017 egli ha rivestito la qualità di consigliere delegato.
Inoltre, come eccepito dalla difesa, il COGNOME, da un lato, non ha preso parte all’assemblea di approvazione del bilancio del 31.12.2016, svoltasi il 23.11.2017 (come si evince dal relativo verbale, allegato al ricorso in conformità al principio della cd. autosufficienza); dall’altro si era dimesso da componente del consiglio di amministrazione con missiva del 4.8.2017 (del pari allegata al ricorso).
Gli indicati profili di diritto non sono stati minimamente affrontati dai giudici di merito, che, in definitiva, con una “doppia conforme”, hanno attribuito al COGNOME il fatto di bancarotta impropria per cui si procede sulla base del suo ruolo di amministratore di diritto e di consigliere
delegato svolto negli anni in precedenza indicati, non ritenendo dimostrata la circostanza che egli, dipendente storico della “RAGIONE_SOCIALE“, società controllante la “RAGIONE_SOCIALE“, avesse agito come mera “testa di legno” della famiglia COGNOME, pur essendo stata la sua nomina frutto di un’iniziativa del coimputato, giudicato separatamente, COGNOME NOME (cfr. p. 3 della sentenza di primo grado).
Né va taciuto che, pur volendo mettere momentaneamente in disparte la questione di diritto ora sottolineata, la corte territoriale ha comunque dedotto la sussistenza dell’elemento psicologico del delitto di cui si discute sulla base di una (ritenuta) maggiore plausibilità della tesi accusatoria, piuttosto che di una specifica ricostruzione delle risultanze processuali, in grado di dare conto di come il COGNOME fosse consapevole della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, che sarebbero derivati dalle false comunicazioni sociali.
Sugli indicati punti, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano, affinché provveda a colmare le evidenziate aporie motivazionali, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma il 13.9.2023.