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Bancarotta impropria: falso in bilancio e condanna

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta impropria nei confronti di un amministratore che aveva falsificato il bilancio di una società per occultarne le perdite. La sentenza chiarisce che per integrare il reato è sufficiente che la condotta di falso in bilancio abbia contribuito ad aggravare un dissesto già esistente, consentendo alla società di continuare ad operare e accumulare ulteriori passività, senza che sia necessario provare che ne sia stata la causa unica e originaria.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Impropria: Anche Aggravare il Dissesto con un Falso Bilancio è Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 7816 del 2025, affronta un caso emblematico di bancarotta impropria derivante da reati societari, in particolare dal falso in bilancio. La decisione ribadisce principi fondamentali sulla responsabilità degli amministratori, sul nesso di causalità tra le false comunicazioni sociali e il dissesto, e sulla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato. L’analisi della Suprema Corte offre spunti cruciali per comprendere i confini della gestione aziendale lecita e le gravi conseguenze penali di condotte volte a mascherare la reale situazione patrimoniale di un’impresa.

I Fatti del Caso: Il Bilancio Falsificato

La vicenda giudiziaria ha origine dalla gestione di una società a responsabilità limitata operante nel settore edile. L’amministratore, al fine di nascondere una situazione di grave perdita che avrebbe imposto, per legge, la ricapitalizzazione o lo scioglimento della società, aveva falsificato il bilancio relativo all’esercizio 2010.

In particolare, aveva appostato ricavi e crediti per somme ingenti, derivanti dalla vendita di immobili, ben prima che la proprietà di tali beni fosse effettivamente trasferita. Questa manovra contabile aveva permesso di trasformare una perdita di oltre 600.000 euro in un fittizio utile di circa 50.000 euro, e un patrimonio netto negativo per quasi 600.000 euro in un valore positivo. Grazie a questa rappresentazione non veritiera, la società aveva continuato ad operare, accumulando ulteriori perdite fino alla dichiarazione di fallimento avvenuta nel 2014.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’amministratore, condannato in primo grado e in appello, ha presentato ricorso per cassazione basato su quattro motivi principali:
1. Errata applicazione della legge sul falso in bilancio: La difesa sosteneva l’applicazione della versione della norma, modificata nel 2015, ritenuta più favorevole perché richiede una ‘concreta’ idoneità decettiva della condotta, che a suo dire mancava.
2. Assenza di dolo: L’imputato negava la volontà di commettere il reato, attribuendo eventuali errori al commercialista e sostenendo che lo scopo non era trarre un ingiusto profitto, ma solo ‘far vivere artificiosamente la società’.
3. Mancanza del nesso di causalità: Si contestava la relazione causale tra il falso bilancio del 2010 e il fallimento del 2014, attribuendo quest’ultimo a eventi esterni e imprevisti.
4. Insussistenza dell’obbligo di agire: La difesa argomentava che non vi fosse un’urgenza di ricapitalizzare o liquidare la società, essendo possibile attendere l’effettiva realizzazione degli incassi.

La Decisione della Corte: Il Rigetto del Ricorso per Bancarotta Impropria

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna per bancarotta impropria. I giudici hanno ritenuto infondate tutte le censure difensive, offrendo una chiara interpretazione delle norme e dei principi giurisprudenziali applicabili.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si articolano su tre snodi fondamentali che chiariscono la natura e i presupposti del reato contestato.

La Sussistenza del Falso in Bilancio e la sua Idoneità Decettiva

La Corte ha stabilito che la condotta dell’amministratore era ‘concretamente’ idonea a ingannare i destinatari della comunicazione sociale (soci, creditori, mercato). Presentare un bilancio in attivo, occultando perdite significative che imponevano decisioni cruciali per la vita della società, costituisce una falsificazione grave e decettiva, a prescindere da quale versione della norma si applichi.

L’Elemento Soggettivo: Dolo Specifico e Consapevolezza

I giudici hanno respinto la tesi della mancanza di dolo. L’ingiusto profitto, richiesto dal reato di falso in bilancio, è stato individuato proprio nella possibilità, ottenuta tramite l’inganno contabile, di sottrarsi ai doveri imposti dalla legge in caso di perdite (ricapitalizzazione o scioglimento) e di continuare l’attività d’impresa. L’amministratore era pienamente consapevole della situazione reale, come dimostrato dalla prosecuzione di bilanci non veritieri anche negli anni successivi. La responsabilità non può essere scaricata sul professionista esterno, poiché l’amministratore condivide e approva le scelte gestionali.

Il Nesso di Causalità: Aggravare il Dissesto è Sufficiente

Questo è il punto più rilevante della sentenza. La Corte ha ribadito un principio consolidato: per configurare la bancarotta impropria, non è necessario che il reato societario abbia causato ex novo il dissesto. È sufficiente che abbia concorso a determinarlo o, come nel caso di specie, ad aggravarlo.

La falsa comunicazione sociale, nascondendo la crisi, ha permesso alla società di continuare ad operare come se fosse sana, accumulando ulteriori debiti e peggiorando la sua posizione patrimoniale. Questo aggravamento del dissesto è l’evento che si pone in rapporto di causalità diretta con la condotta illecita, integrando così il reato.

Conclusioni: Implicazioni per gli Amministratori

La sentenza rappresenta un monito severo per gli amministratori. La trasparenza e la correttezza dei bilanci non sono meri adempimenti formali, ma presidi di legalità a tutela dei soci, dei creditori e del mercato. Nascondere le perdite per ‘prendere tempo’ non è una strategia prudente, ma una condotta illecita con conseguenze penali gravissime. La responsabilità della gestione è personale e non può essere delegata o attribuita a consulenti esterni quando si è consapevoli delle irregolarità. Infine, la decisione conferma che il nesso di causalità nella bancarotta impropria è inteso in senso ampio: anche solo peggiorare una situazione già compromessa è sufficiente per essere chiamati a rispondere penalmente del fallimento.

Per configurare la bancarotta impropria, il falso in bilancio deve aver causato direttamente il fallimento?
No. Secondo la Corte, per integrare il reato è sufficiente che la condotta illecita, come il falso in bilancio, abbia contribuito ad aggravare un dissesto già in atto, senza che sia necessario dimostrare di esserne stata la causa originaria e unica.

Un amministratore può giustificare un falso in bilancio incolpando il proprio commercialista?
No. La Corte ha chiarito che la responsabilità per le scelte gestionali, inclusa l’approvazione del bilancio, ricade sull’amministratore. Non è possibile invocare la ‘culpa in eligendo’ (colpa nella scelta del professionista) quando l’amministratore è consapevole della non veridicità dei dati contabili e condivide la finalità decettiva.

L’obbligo di ricapitalizzare una società in perdita può essere rimandato in attesa di futuri incassi?
No. La legge (artt. 2482-ter e 2484 c.c.) impone agli amministratori di agire ‘senza indugio’ quando il capitale scende al di sotto del minimo legale a causa di perdite. Rimandare le decisioni necessarie (ricapitalizzazione, trasformazione o scioglimento) e mascherare la situazione con un bilancio falso è una condotta illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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