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Bancarotta impropria erariale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un ex amministratore per bancarotta impropria erariale. La Corte ha stabilito che l’omissione sistematica del versamento di imposte e contributi per anni costituisce un’operazione dolosa, la cui conseguenza, il fallimento, era prevedibile. La responsabilità penale sussiste anche se il fallimento è stato dichiarato circa dodici anni dopo la cessazione dalla carica, poiché le cause del dissesto erano state create durante la sua gestione.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Impropria Erariale: Responsabili Anche Anni Dopo

Con la sentenza n. 10433 del 2024, la Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per gli amministratori di società: la responsabilità per bancarotta impropria erariale. La pronuncia chiarisce che il sistematico omesso versamento di imposte e contributi è una condotta dolosa le cui conseguenze possono ricadere sull’amministratore anche a distanza di molti anni dalla sua uscita dall’azienda. Vediamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un ex amministratore di una società cooperativa veniva condannato per bancarotta fraudolenta impropria. L’accusa si basava sul fatto che, durante il suo lungo mandato, durato oltre trent’anni e terminato nel 2006, aveva sistematicamente omesso di versare imposte e contributi previdenziali a partire dal 1990. Questa condotta aveva generato un debito verso l’Erario di circa tre milioni di euro, cifra che costituiva quasi l’intero passivo della società, dichiarata fallita nel 2018, ben dodici anni dopo la cessazione della carica dell’imputato.

La difesa sosteneva che non vi fosse un nesso di causalità tra la sua gestione e il fallimento, avvenuto molto tempo dopo, e che mancasse la prova del dolo, ovvero dell’intenzione di cagionare il dissesto della società.

La Bancarotta Impropria Erariale e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno qualificato il comportamento dell’amministratore non come una semplice negligenza, ma come una precisa scelta gestionale di “autofinanziamento” tramite il mancato pagamento dei debiti tributari e previdenziali.

Questo comportamento, protratto per anni, integra la fattispecie delle “operazioni dolose” previste dall’art. 223 della Legge Fallimentare. Secondo la Corte, il fallimento non è stato un evento imprevedibile, ma la logica e prevedibile conseguenza di un’esposizione debitoria enorme e crescente, aggravata da sanzioni e interessi. Inoltre, la perdita di contratti pubblici, dovuta all’impossibilità di ottenere il DURC, ha contribuito in modo determinante alla crisi di liquidità e all’insolvenza.

Le Motivazioni

Il fulcro della motivazione della Cassazione risiede nella definizione dell’elemento soggettivo del reato. Per la configurabilità della bancarotta impropria erariale non è necessario dimostrare il cosiddetto dolo specifico, cioè l’intenzione mirata a provocare il fallimento. È invece sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza e volontà di porre in essere l’operazione dannosa (in questo caso, l’omissione sistematica dei versamenti) unita alla prevedibilità che tale condotta possa portare al dissesto.

La Corte ha affermato che qualunque amministratore diligente avrebbe potuto prevedere che accumulare un debito fiscale e contributivo di tale entità avrebbe, prima o poi, portato la società al collasso. Il lungo lasso di tempo tra la fine del mandato dell’amministratore e la dichiarazione di fallimento non interrompe il nesso causale, poiché le fondamenta del dissesto erano già state gettate in modo incontrovertibile durante la sua gestione.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza: la responsabilità di un amministratore non si esaurisce con la fine del suo incarico. Le scelte gestionali, soprattutto se sistematicamente dannose come l’evasione fiscale e contributiva, producono effetti a lungo termine. Chi adotta simili strategie per “autofinanziare” l’azienda deve essere consapevole che sarà chiamato a rispondere delle conseguenze, anche se queste si manifestano in tutta la loro gravità anni dopo. Questa pronuncia rappresenta un monito severo sulla necessità di una gestione societaria corretta e trasparente, specialmente per quanto riguarda gli obblighi verso l’Erario.

Un amministratore può essere ritenuto responsabile per la bancarotta di una società avvenuta anni dopo la cessazione della sua carica?
Sì, secondo la sentenza, un amministratore è responsabile se le sue condotte dolose durante il mandato hanno creato le premesse del dissesto e se il fallimento era una conseguenza prevedibile di tali condotte, anche se dichiarato anni dopo.

Il sistematico mancato pagamento di tasse e contributi è sufficiente per configurare il reato di bancarotta impropria erariale?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’omissione sistematica delle obbligazioni fiscali e previdenziali è una scelta gestionale che integra la nozione di “operazione dolosa” e, se causa del fallimento, configura il reato di bancarotta impropria.

Per la condanna per bancarotta impropria da operazioni dolose è necessario provare l’intenzione specifica di far fallire la società?
No, non è necessario provare l’intenzione specifica di causare il fallimento. È sufficiente dimostrare la consapevolezza di compiere l’azione dannosa (es. non pagare le tasse) e la prevedibilità che tale azione potesse portare al dissesto della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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