Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10433 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10433 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26.04.2023, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma dell decisione del Tribunale di quella stessa città del :30.09.2021, ha assolto il coimputat NOME dall’imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto e ha nel res confermato il giudizio di responsabilità formulato nei confronti di NOME COGNOME dichiarato colpevole, in primo grado, del reato di bancarotta fraudolenta impropria (art. comma 2. N. 2, I.f.), al medesimo contestato per avere, in concorso con altri, in quali presidente del consiglio di amministrazione dalla data di costituzione al 25.07.200 componente del consiglio di amministrazione dal 4.10.2002 al 9.06.2006, cagionato con dolo il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il 2 2018, mediante la sistematica omissione del versamento delle imposte e dei contributi previdenziali a partire dall’anno 1990 – omissione che determinava anche la risoluzione contratti di appalto con enti pubblici -, fino a maturare un debito verso l’Erario di milioni di euro, quasi pari al passivo accertato pari ad euro 3.348.996,30.
Avverso la suindicata sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, tramite difensore di fiducia, deducendo con l’unico motivo articolato, violazione di legge e viz motivazione.
In particolare, la Corte territoriale sembra essersi limitata a richiamare per relationem la sentenza di primo grado, senza offrire una motivazione adeguata e logica tale d giustificare la conferma dell’affermata responsabilità penale dell’imputato, soprattutt punto di vista soggettivo.
La Corte di merito ha solo indicato le dichiarazioni valorizzate per ritene sussistenza del reato, senza valutare gli atti contenuti all’interno del fascicolo.
Si lamenta la mancanza di motivazione in merito al dolo per il reato di cagionamento del fallimento per operazioni dolose, che richiede, secondo consolidato canone ermeneutico di legittimità, la coscienza e volontà dell’evento-fallimento, configurando un reato di d nel provvedimento impugnato, non emergono elementi da cui possa desumersi che il ricorrente, con il proprio comportamento, abbia voluto porre in essere fatti illeciti determinare il fallimento della società, specie se si considera il fatto che nel momento i il predetto lasciava la propria carica – andando in pensione nel 2005 -, nulla las immaginare quanto poi effettivamente accaduto, per fatti a questi non imputabili, ci venticinque anni dopo.
Il GLYPH ricorrente evidenzia, GLYPH altresì, GLYPH la GLYPH contraddittorietà della GLYPH motivazione del provvedimento impugnato laddove la Corte territoriale non ha fornito adeguatamente la prova della intenzionalità del medesimo a cagionare il fallimento della società, limitandos
contro
, a fondare il proprio convincimento sulla carica ricoperta dall’imputato dal 199 2005 e non tenendo conto del fatto che l’amministrazione della fallita, in epoca successiva pensionamento del NOME, è da imputare ad altri soggetti a loro volta condannati. ricorda come l’ex amministratore risponde di taluni reati commessi in epoca posteriore termine della propria carica solo se ricopre il ruolo di amministratore di fatto e, nel specie, non è stata effettuata alcuna valutazione inerente a tale profilo.
In tale senso si conclude che non vi è alcuna prova della necessaria sussistenza di u rapporto causale tra il dissesto della società e le condotte illecite ascritte al ricor dell’astratta prevedibilità dell’evento del reato.
Il ricorso è stato trattato – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua a applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, c modificato dall’art. 17 d.l. 22 giugno 2023 n. 75, per le impugnazioni proposte sin quindicesimo giorno successivo al 31.12.2023 – senza l’intervento delle parti che hanno cos concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
il difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è nel suo complesso infondato.
I giudici della Corte di merito hanno accertato che NOME era stato presidente d c.d.a. della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 28.2.2018) dalla data costituzione, risalente al 1972, sino al luglio 2005, e dunque per 32 anni, e, per parte d periodo, era stato anche consigliere di amministrazione – dal 4.10.2002 al luglio 2005 ricoprendo tale carica anche dopo la cessazione dalla qualifica presidenziale, sino 9.6.2006.
E’ stato altresì accertato: che sin dal 1990 era stato sistematicamente omesso il versament dei contributi previdenziali e delle imposte, tanto che la società ad un certo punto – gi 2008-2009 appena due-tre anni dopo la cessazione della carica da parte del ricorrente – non era più riuscita ad ottenere il DURC a causa del debito accumulato con l’Erario e quindi n aveva potuto incassare i crediti derivanti dai contratti di appalto con conseguente cri liquidità ed insolvenza (l’omissione aveva determinato la risoluzione dei contratti di ap con enti pubblici); che il debito erariale alla data della dichiarazione di fal ammontava a circa 3 milioni di euro ed era quasi del tutto corrispondente al passi accertato.
Tali circostanze non sono state oggetto di specifica contestazione, essendosi il rico limitato ad asserire, genericamente, che, avendo il ricorrente dismesso la carica amministratore nel lontano 2005, “nulla lasciava immaginare quanto poi accaduto”, e che, comunque, non fosse configurabile un rapporto causale tra la condotta del ricorrente e dissesto della società – che aveva portato la società al fallimento solo svariati anni do cessazione della carica da parte del COGNOME, quantificati in ricorso dapprima in venticin e poi in circa venti anni, laddove, è il caso di precisare, si tratta di circa dodici anni
Tale impostazione non impinge il fulcro della vicenda che, come sopra esposto, ruota intorn a ben altri aspetti fattuali, ed è anche meramente reiterativa avendo la Corte di appello spiegato le ragioni per le quali, innanzitutto, non potesse ritenersi il ricorrente un figura formale e le condotte illecite dovessero essere – anche – a lui imputabili dal momen che la reiterazione sistematica degli inadempimenti che aveva portato alla formazione d così ingente debito erariale era riferibile anche ad un consistente arco temporale in c ricorrente aveva ricoperto la carica non solo di componente del consiglio di amministrazion ma anche, per diversi anni, di presidente del c.d.a. ed aveva in cigni caso svolto un r decisionale primario secondo quanto asserito dallo stesso commercialista della cooperativa.
Sicché l’elemento soggettivo – secondo la compiuta ricostruzione dei giudici di merito – e insito in tale condotta reiterata e sistematica che come sottolineato dalla Corte di ap era da ricondurre non a fattori casuali ma a scelta ben precisa dell’amministrazione autofinanziamento mediante l’omissione contributiva; scelta che evidentemente, di là degl effetti immediati di un incremento di liquidità discendente d& mancato esborso, e prevedibile portasse al dissesto, o al suo aggravamento, tenuto conto, da un lato, de pesanti conseguenze in termini di interessi e sanzioni scaturenti dall’inadempiment tributario, che per il suo accumularsi non poteva che essere – come accaduto – rilevato dallo Stato creditore rimasto nel tempo insoddisfatto (e di tanto qualunque persona dotat di un minimo di conoscenza del vivere sociale e di avvedutezza può rendersi conto) e, dall’altro, della disciplina degli appalti pubblici, a cui era certamente intere cooperativa, comportante la risoluzione dei contratti in caso di inadempimenti fiscali.
D’altra parte, secondo il costante orientamento di questa Corte – citato anche nell sentenza impugnata a sostegno degli argomenti spesi al riguardo – in tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legg possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenzial frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erari degli enti previdenziali (Sez. 5, Sentenza n. 24752 del 19/02/2018, Rv. 273337 – 01).
Questa Corte ha anche già avuto modo di affermare che la fattispecie del fallimento cagiona da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., presupp una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azio
dannosa dei soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontra in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fra patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), legge fall. – in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificab di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo u valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsi interesse per la società amministrata (Sez. 5, Sentenza n. 12945 del 25/02/2020, Rv 279071 – 01); ed ha altresì già chiarito in punto di elemento soggettivo che è logico rit che il sistematico inadempimento dei debiti tributari esponga (nei prevedibile caso accertamento dei reati, nella specie concretizzatosii) la società protagonista a un disses proporzioni tanto più rilevante quanto più elevato sia l’accumulo nel te dell’inadempimento e la percentuale di incidenza dello stesso sull’intero movimento di aff della società (così Sez. 5, n. 41055 del 04/07/2014, COGNOME, in motivazione sia pur relazione al caso del perpetuarsi di operazione in frode all’Erario – ma la situazione non m ovviamente, rispetto al caso di specie dell’inadempimento), dal momento che al mancato adempimento delle obbligazioni tributarie consegue non solo la produzione di interessi m anche l’applicazione di sanzioni.
E’ altrettanto pacifico che ai fini della configurabilità del reato di bancarotta im prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal falli della società, né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del disse valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fat l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica fenomeno in sè reversibile (Sez. 5, Sentenza n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189 – 01).
Quanto all’elemento psicologico, si è anche affermato che nell’ipotesi di fallimen causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompag sotto il profilo dell’elemento soggettivo alla prevedibilità del dissesto come effetto condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/1.0/2015, Lubrina, Rv. 265510); e che «esaurisce l’onere probatorio dell’accusa la dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura “dolosa” dell’azione, costitutiva delroperazione”, a cui segue il dissesto, in con l’astratta prevedibilità dell’evento scaturito per effetto dell’azione antidoverosa» (Se n. 17690 del 18/02/2010, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 247313-4-5 Che ha precisato che non sono necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare, ritenendo sufficiente per
configurabilità del reato la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici suo contrasto con ì doveri propri del soggetto societario a fronte decili interessi della so cfr. altresì, in motivazione, Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, COGNOME, Rv. 262207). E tale prevedibilità, quando si versa nell’ipotesi della cd. bancarotta impropria erarial essere dimostrata non necessita di specifici segnali di allarme, essendo insi nell’inadempimento sistematico delle obbligazioni verso l’Erario – siano esse di natura fisc che previdenziale – la previsione che il vantaggio immediato conseguente al mancato versamento del dovuto possa in futuro risolversi in un fattore di dissesto o di aggravament di esso, non essendo affatto improbabile che l’inadempimento del debito erariale possa essere accertato – soprattutto quando l’accumulo si protragga come nel caso di specie nel tempo – con tutte le conseguenze del caso in termini di interessi e sanzioni. Nella specie, la Corte di appello, facendo corretta applicazione dei principi di questa Co ha individuato nel protratto inadempimento degli obblighi erariali (inadempiment imputabile – anche – all’odierno ricorrente dagli anni ’90 e sino al 2005-2006 e proseguito dai successivi amministratori) una deliberata strategia vol all’autofinanziamento della società che, andando tuttavia ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario, rendeva prevedibile il conseguente disse proprio per l’ampiezza del fenomeno e la sua sistematicità (fenomeno aggravato dalla prospettiva – che poteva anch’essa facilmente aversi, come dimostra quanto poi verificatosi dopo solo due anni dalla cessazione dalla carica del ricorrente – della ulteriore contropar
negativa della perdita del DURC e degli appalti).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legg ex art 616 cod. proc. pen., la condanna del ric:orrente al pagamento delle spese d procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 31/1/2024.