Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35701 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35701 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVEZZANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8, de decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell’art. 16 del decr legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15.
Letta la requisitoria scritta de Sostituto del Procuratore generale, NOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che ha insistito nella richiesta d accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma, in data 17/04/2023, che aveva ritenuto COGNOME NOME responsabile del reato di cui all’art. 223, comma 2, n. 2) legge fall., condannandolo alla pena anni tre di reclusione, oltre alle pene accessorie di cui all’art. 216 della legge per la medes durata e all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
COGNOME NOME è stato condannato per avere cagionato, per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, agendo come amministratore di diritto dal 2001 al e come amministratore di fatto per il periodo successivo, provocando una esposizione debitoria nei confronti dell’Erario di oltre 250.000,00 euro senza alcun attivo, a causa del protr inadempimento degli obblighi fiscali e previdenziali.
L’imputato, per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Denuncia, con il primo motivo, vizi di violazione di legge, in relazione all’art. comma 2 n. 2), legge fai!.
La sentenza impugnata ha affermato la sussistenza della condotta tipica del reato contestato, a fronte del mero passivo erariale, pur ammettendo la sussistenza di lacune conoscitive sulle condizioni dell’impresa al momento di formazione del debito tributario/previdenziale, nonché sugli effetti di quest’ultimo e sul ricavato e distribuzione utili. La Corte di appello, soffermandosi soltanto sull’inadempimento fiscale accumulato fino 2008 e sulla mancanza di attivo accertata nel 2013, e senza nulla dire sulle condizion economiche-finanziarie della società negli anni 2001-2008, ha interpretato erroneamente la condotta tipica del reato, difettando i requisiti di “abusività/dolosità” che avrebbero do connotarla, omettendo di fare riferimento a particolari condizioni di contesto dell’impresa mancando un legame causale fra le omissioni tributarie e contributive ed il dissesto dell’impresa
2.2. Con il secondo motivo denuncia vizi di motivazione deducendo che l’assoluzione del COGNOME dal reato di bancarotta documentale ha comportato l’esclusione della qualifica di amministratore “di fatto”, contestata per il periodo successivo al 2009, e l’esclusione della qua di “testa di legno” in capo all’amministratore di diritto, COGNOME. La sentenza impugnata ha omess di fornire una risposta alle analoghe censure sollevate con l’atto di appello, pretendendo compensare il vuoto motivazionale con giustificazioni fondate su profili incerti o irrilevanti.
2.3. Con il terzo motivo denuncia vizi di violazione di legge e di carenza ed illogicità d motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato. Il reato contestato è un reato a d generico: è stata data, tuttavia, per presupposta la consapevolezza e volontà di provocare i fallimento senza una puntuale indagine sulle cause e circostanze dell’omissione.
2.4. Con il quarto motivo denuncia vizio di violazione di legge in relazione all’art. comma 1, legge fall.
La circostanza non deve essere astrattamente riferita all’entità del debito, diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta e, nel ca in esame, è stato impossibile ricostruire il danno effettivo, per via dell’occultamento d scritture contabili successivo al subentro del nuovo amministratore di diritto COGNOMECOGNOME
2.5. Con il quinto motivo denuncia vizi di carenza ed illogicità di motivazione, con riferime alla medesima circostanza aggravante, avendo la sentenza impugnata omesso di argomentare sull’esistenza e quantificazione di un effettivo danno patrimoniale complessivo di rilevante enti sulla sua diretta derivazione dai fatti di bancarotta dell’imputato anziché da circostanze diver ed estranee. Il Tribunale, avendo assolto il ricorrente dal reato di bancarotta fraudolen documentale, evidentemente per il difetto della qualifica soggettiva di fatto e per la mancanz di concorso quale extraneus nel fatto del successivo amministratore, ha escluso che la manovra di occultamento sia attribuibile all’odierno ricorrente.
2.6. Con il sesto motivo denuncia vizio di motivazione in ordine al giudizio di bilanciamen dell’aggravante ex art. 219, comma 1, legge fall. e circostanze attenuanti generiche, avendo la sentenza impugnata valorizzato, in danno dell’imputato, una circostanza smentita dalla sentenza di primo grado, riferendosi ad una articolata manovra di occultamento compiuta dal medesimo.
2.7. Con il settimo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla pena accessoria, i quanto giustificata facendo riferimento alla asserita manovra di occultamento realizzata con COGNOME, tuttavia contraddetta dalla intervenuta assoluzione dal reato di bancarotta fraudolent documentale.
Le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ai sensi dell’art. 23, comm 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge dicembre 2020, n. 176, e successive proroghe.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria con la quale ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è nel suo complesso infondato.
Sono infondati il primo e il terzo motivo, trattati congiuntamente in quanto conness con i quali il ricorrente deduce che la mera condotta di omesso versamento dei tributi, accertat fino all’anno 2008, non integri la fattispecie di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge mancanza di ulteriori dati conoscitivi relativi alle condizioni dell’impresa al moment formazione del debito tributario, che possano essere indicativi di una “dolosità/abusività” de condotta e stante la mancanza di dolo.
1.2. La fattispecie in esame, inoltre, è a dolo eventuale (Sez. I, n. 7136 del 25/04/199 De Sena Rv. 184359), giacché non è necessaria la volontà diretta a provocare il dissesto, essendo sufficiente «la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericol per la salute economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità decozione, quale effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, NOME, Rv. 265510; conf. Sez. 5, n. 38728 del 3/04/2014, Rv. 262207)» (Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, Rv. 286349 -01).
L’onere probatorio dell’accusa si esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale e contrastante con gli interessi della società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’eve dissesto quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la
rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare (Sez. 5 n. 38728 del 03/04/2014, Rv. 262207).
1.3. Le superiori coordinate ermeneutiche danno ragione della corretta ricostruzione interpretativa operata dalla Corte di appello e conducono alla infondatezza della censura. Correttamente la Corte territoriale ha colto nel protratto inadempimento delle obbligazioni fisca e contributive un comportamento che, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della società nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali, anche in ragione dell’inev carico sanzionatorio che ne è derivato, rendeva prevedibile, proprio per l’ampiezza del fenomeno e per la sua sistematicità, il conseguente dissesto (cfr. sul punto, Sez. 5, n. 15281 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046).
Le critiche difensive, che mirano assertivamente ad escludere il carattere di “abusività/dolosità” della condotta del ricorrente, sulla base di una sua supposta occasionalit omettono di confrontarsi con la motivazione spesa dalla Corte di appello che ha evidenziato come l’ampio intervallo temporale, in cui si è protratto l’inadempimento degli obblighi fisc previdenziali, e l’incidenza dello stesso sulla situazione patrimoniale della società, debba f ritenere il debito accertato (per oltre 250.000 euro) conseguenza di una strategia gestional unica attuata fin dalla costituzione della società fallita.
La sentenza impugnata ha, altresì, collegato alla situazione debitoria accertata con riferimento all’anno 2008 – quando è risultato un debito erariale (di 100.000 euro) superiore ricavi accertati per il medesimo anno (per complessivi euro 55.715) – la scelta di trasferi capitale sociale e la carica di amministratore della società, già in irreversibile stato di dis ad una “testa di legno” che non avrebbe svolto alcuna attività imprenditoriale e con l’unic funzione di fare da schermo al ricorrente, tanto che, sotto la gestione dell’COGNOME (sogge amministratore all’epoca dei fatti di ben 76 società molte delle quali cancellate o inattiv società fallita rimase su “binario morto”.
Dalla sentenza di primo grado emerge, altresì, che, al momento del fallimento, da informazioni assunte sul posto dal curatore, nessuno conosceva la società ( esercente commercio di articoli di profumeria) e che lo stesso curatore non ha potuto acquisire le scritture conta bilancio, mentre l’unico debito ammesso al passivo è risultato essere quello erariale, maturat nel corso della gestione COGNOME (lievitato, al momento della dichiarazione di fallimento, effetto dei meccanismi sanzionatori di legge e riferibile a mancati pagamenti distribuiti tra il ed il 2009).
Le ulteriori doglianze espresse in ordine a presunte lacune nel patrimonio probatorio relativamente al periodo in cui sono maturati i debiti verso l’Erario, nonché al difetto di n causale tra il fallimento e la condotta realizzata- sono frutto di una lettura non corretta sentenza impugnata, che ha ricostruito con certezza la condotta dell’imputato ritenendola, con motivazione immune da vizi logici, riconducibile nella fattispecie di reato contestata.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato essendo jus receptum che, in sede di legittimità, non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzio prospettata col gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 6 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti c conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Rv. 276741; Sez. 2, n. 33577 del 26/05/2009, Rv. 245238).
Nel caso in esame, il giudice censurato ha indicato in modo esaustivo le circostanze ed emergenze processuali rivelatesi determinanti per la formazione del suo convincimento (segnatamente le deposizioni del Curatore e la documentazione acquisita in ordine agli omessi pagamenti), evidenziando che eventuali “lacune” sull’attività economica della società non hanno avuto alcuna incidenza sulla ricostruzione della condotta. Non è ravvisabile, inoltre, alcun pro di illogicità nella motivazione in relazione alla disposta assoluzione del ricorrente dal rea bancarotta documentale di cui al capo A), trattandosi di condotta diversa e non essendo logicamente possibile inferire dall’assoluzione per tale ultimo reato elementi fattuali, o valut suscettibili di influire sulla diversa condotta in esame.
Sono infondati il quarto e il quinto motivo concernenti la ritenuta circostan aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fall.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di reati fallimentari, la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità di all’art. 219, comma 1, legge fall., è applicabile alle ipotesi di bancarotta impropria pre dall’art. 223, commi 1 e 2 (Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010 Rv. 247320; Sez. 5, n. 2903 del 22/03/2013, Rv. 258446, Sez. 5, n. 10791 del 25/01/2012; Sez. 5, n. 18695 del 21/01/2013, Rv. 255839; Sez. 5, n. 38978 del 16/07/2013, Rv. 257762; Sez. 5 – n. 24216 del 24/02/2021, Rv. 281578 – 01).
Per quanto concerne, poi, la configurabilità dell’aggravante del danno di rilevante gravit in relazione alla condotta ascritta all’imputato, la Corte territoriale ha ritenuto sussiste diretto rapporto causale fra l’inadempimento accertato, l’ingente debito maturato nei confront dello Stato e lo stato di decozione, non mancando, altresì, di considerare come anche la più ampia manovra posta in essere dal ricorrente, consistita nel trasferimento della società ad un testa di legno, in persona dell’COGNOME, al fine di frapporre un ostacolo alla rilevabili operazioni da lui personalmente realizzate, abbia costituito l’epilogo di una complessiva strateg gestionale economica volta ad assicurare guadagni in spregio ai vincoli derivant dall’assolvimento degli oneri tributari gravanti sulla società.
Secondo l’insegnamento di legittimità, mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo e non richiede – nell’azione del fallito – la dimostrazione di un danno rea creditori, essendo integrata anche soltanto con la mera messa in pericolo degli interessi creditor
senza necessità di un pregiudizio, questo – ove sussistente in termini di rilevante gravità integrare l’aggravante in esame (Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012, Rv. 252307).
Il parametro al quale, poi, ancorare il rilevante pregiudizio- è stato ancora osservato- n può essere quello (o meglio esclusivamente quello) dell’entità del passivo o della differenza tr attivo e passivo, bensì quello (ovvero anche quello) della diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; pertanto, il giudizio relativo alla par tenuità – o gravità – del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e c ammesso al concorso, ne’ a singole operazioni commerciali, o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione – non percentuale, ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, Rv. 2 Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017 Rv. 271274).
In definitiva, in ossequio alla lettera della norma e al principio di offensività, a rile l’entità delle conseguenze pregiudizievoli sui creditori del fallito, al di là dell’entità passivo fallimentare o dell’ammontare dei beni distratti (Sez. 5, n. 24216 del 24/02/2021, Rv. 281578 – 01).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata si muove nel solco segnato dalle superiori indicazioni ermeneutiche essendo stata ancorata la circostanza in esame al debito verso l’erario per il consistente importo di euro 250.000,00, ritenuto correttamente danno di rilevante gravit ai creditori.
È manifestamente infondato il sesto motivo relativo alla conferma da parte dei giudic d’appello dell’operato bilanciamento, in termini di equivalenza, tra le circostanze attenua generiche e l’aggravante ex art. 219, comma 1, legge fall.
In proposito, la sentenza impugnata non ha ravvisato elementi positivi pregnanti, ulterior rispetto a quelli valutati dal primo giudice, utili a riformulare il giudizio di bilanciamento i di prevalenza delle attenuanti già concesse, ritenendo, al contrario, frutto di indulgenza la ste concessione di tali ultime circostanze da parte dei giudici di primo grado, in ragione dell’accert andamento della gestione societaria improntata alla massimizzazione dei profitti a scapito dell collettività.
Tale argomentazione non pare censurabile in sede di legittimità, atteso che, in tema di concorso di circostanze, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui le statuizi relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono denunciabil con ricorso per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza, allorché il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’a cod. pen., l’abbia ritenuta la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrog (Sez. 6, n. 6866 del 25/11/2009), come nella fattispecie in esame.
Peraltro la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudi merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati ne artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio d cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, come nel caso in esame, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta sufficiente motivazione (Sez. 5, in. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142)
È inammissibile anche il settimo motivo con il quale si censura la durata della pena accessoria stabilita dalla sentenza impugnata, per la stessa durata della pena principale. L censura non si confronta con la motivazione espressa sul punto dalla Corte di appello che, lungi da automatismi e ponendosi così sul solco dell’insegnamento di questa Corte che esclude qualsiasi tipo di automatismo sanzionatorio (Sez. 5, n. 5882 del 06/02/2019, Rv. Rv. 274413 01), ha fornito esaustiva motivazione ritenendo proporzionata la durata della pena accessoria alla luce del comportamento complessivo del ricorrente, comprensivo del trasferimento della società ad un capro espiatorio fino al momento della dichiarazione di fallimento.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10/07/2024