Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31694 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31694 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 13/02/1967
avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte d’appello di Messina Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME il quale si riporta integralmente al ricorso e ne chiede l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 2 dicembre 2024, la Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della decisione assunta dal Tribunale di Messina, ha ritenuto COGNOME NOME, amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita,
responsabile del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione con riguardo alla vendita simulata di taluni immobili, assolvendolo dai restanti reati a lui ascritti.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura.
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di violazione di legge, nonché vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente il reato di bancarotta per distrazione, pur affermando che -come riferito dal curatore -a seguito dell’accoglimento dell’azione di simulazione assoluta della vendita, gli immobili non erano mai usciti dal patrimonio societario e che il fatto distrattivo non aveva sortito gli effetti sperati.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla affermata sussistenza dell’elemento psicologico del reato. La sentenza impugnata ha desunto l’esistenza del dolo dalla circostanza che la struttura dell’o perazione posta in essere dal COGNOME era tale per cui essa non avrebbe portato liquidità immediata nelle casse sociali, rinviando ad una solutio mediante il futuro pagamento dei creditori della società. Trattasi di valutazione erronea ed illogica, in quanto ogni operazione economica produce utilità futura e non immediata. Essa, inoltre, non si confronterebbe con quanto affermato dall’imputato, secondo il quale se l’operazione fosse andata a buon fine la società ne avrebbe tratto vantaggio.
2.3. Il terzo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie tentata, nonostante che, come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale, non vi sia stato alcun trasferimento effettivo della proprietà dei beni, i quali non sono mai usciti dal patrimonio della società.
Il Procuratore generale ha anticipato le proprie conclusioni con memoria scritta, con la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Il primo e il terzo motivo, in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente. Essi devono essere disattesi ancorché la motivazione della sentenza impugnata debba essere in parte corretta nei termini che seguono.
2.1. Le censure del ricorrente si appuntano sulla affermata responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta in relazione alla distrazione di beni della società
posta in essere simulando la vendita in favore della società RAGIONE_SOCIALE degli immobili di proprietà della stessa.
I giudici di entrambi i gradi del merito hanno ritenuto integrata tale condotta sul rilievo per cui il Tribunale civile di Messina, con sentenza in data 12.2.2016, aveva dichiarato la simulazione assoluta del contratto di vendita dei suddetti immobili. Tale operazione è stata considerata come distrattiva, benché i beni fossero rimasti sempre nel patrimonio della società, essendone stata paralizzata la fuoriuscita dalla sentenza che accertava la simulazione.
2.2. Occorre rilevare che la simulazione assoluta di un contratto si caratterizza per il fatto che le parti dello stesso non vogliono costituire alcun rapporto contrattuale, sicché esso resta senza effetti tra i contraenti. Pertanto, nel caso di simulazione assoluta del contratto di vendita, non volendo le parti l’alienazione del bene, questo non fuoriesce dal patrimonio dell’alienante.
Ciò, tuttavia, non toglie l’avvenuta integrazione del reato contestato, rientrando la condotta posta in essere dal Pettina nell’ipotesi della dissimulazione espressamente incriminata dall’art. 216, comma 1, n. 1), legge fall.
Al riguardo occorre innanzitutto chiarire che la legge fallimentare non assegna alle condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dall’art. 216, n. 1), legge fall. natura di fatto autonomo, ma le considera fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato (Sez. 5, n. 4551 del 02/12/2010, dep. 2011, Mei, Rv. 249262; cfr. anche Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, che ha qualificato l’art. 216 comma primo, n. 1 legge fall. come norma mista alternativa). Questa Corte ha pertanto affermato che l’inquadramento del fatto in una delle menzionate figure è irrilevante ai fini del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza quando, come nel caso di specie, la contestazione esponga la descrizione, sia pure sommaria, del comportamento ascritto all’imputato (cfr. sul tema Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. 5, n. 44889 del 10/10/2023, non massimata).
2.3. Nel caso in esame, la condotta contestata al ricorrente, puntualmente descritta nel capo di imputazione, integra la fattispecie incriminata dal richiamato art. 216 legge fall., in quanto la vendita simulata dei beni immobili della società RAGIONE_SOCIALE ha concretizzato la dissimulazione, e in definitiva l’occultamento di tali beni, essendo volta a far risultare che gli stessi non facevano più parte del patrimonio sociale in quanto alienati a terzi.
Secondo quanto chiarito da questa Corte regolatrice, in tema di bancarotta fraudolenta, integra la condotta tipica di occultamento il comportamento del fallito che, mediante atti o contratti simulati, faccia apparire come non più suoi beni che continuano ad appartenergli, in modo da celare una situazione giuridica che
consentirebbe di assoggettare detti beni all’azione esecutiva concorsuale (Sez. 5, n. 46692 del 03/10/2016, COGNOME, Rv. 268637 -01; Sez. 5, n. 46921 del 15/11/2007, Di, Rv. 237981 – 01).
La stipulazione del contratto simulato di vendita ha, dunque, determinato la consumazione della condotta della dissimulazione e occultamento dei beni sociali sanzionata dall’art. 216, comma 1, n. 1), legge fall. , di tal che non residuano spazi per configurare l’ipotesi del delitto tentato , come prospettato dal ricorrente.
3. Il secondo motivo è infondato.
Come puntualmente evidenziato dalla sentenza del Tribunale civile e poi affermato dai giudici penali, è la stessa struttura dell’operazione posta in essere dall’imputato ad attestare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, in quanto la vendita simulata dei beni della società, effettuata un mese prima della declaratoria di fallimento in favore di una società amministrata dal fratello del ricorrente, rendeva manifesta la volontà di costui di sottrarre il patrimonio sociale alla garanzia dei creditori, impedendo loro di soddisfarsi su detti beni.
L’ avvenuto accertamento della simulazione, e dunque della assenza di una reale efficacia traslativa del contratto di vendita apparentemente stipulato tra le parti rende irrilevanti le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine alla liquidità che detta vendita avrebbe asseritamente portato nelle casse sociali, trattandosi di un’ operazione fittizia.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME