Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34698 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34698 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a LECCE il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE d’APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Lecce ha assolto COGNOME NOME dal reato di cui al capo 1 di imputazione, lettera a), relativo ad alcune condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva ai danni della RAGIONE_SOCIALE (di cui era sta amministratore dal 13/10/2003 all’11/9/2008, poi fallita il 28/4/2010) per non aver commesso il fatto (confermando, nel contempo, la condanna per tale fatto divenuta definitiva – emessa dal Tribunale di Lecce a carico di COGNOME NOME
NOME, NOME amministratore della RAGIONE_SOCIALE medesima società dall’11/9/2008 al 29/12/2008). La stessa Corte ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei riguardi di entrambi gli imputati, per i fatti di bancarott preferenziale di cui al medesimo capo 1, lettera b), e, nei riguardi del solo COGNOME, di cui al capo 2, lettera b).
La medesima sentenza ha confermato, poi, la condanna del COGNOME (irrogando la pena di tre anni e quattro mesi di reclusione) relativamente alla residua imputazione di cui al capo 2, lettera a), riducendo, altresì, per entrambi gli imputati, la durata RAGIONE_SOCIALE pene accessorie di cui all’articolo 216, ultimo comma, r.d. 267/1942, in misura corrispondente alla durata RAGIONE_SOCIALE rispettive pene.
Per chiarezza, si riporta il capo per il quale v’è stata condanna: “artt. 223, 216, co.1 n.1 e co.3, 219 R.D. n.267/42 per avere, quale amministratore di diritto dal 13.10.03 al 11.09.08 nonché quale amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE” con sede in Lecce, società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Lecce del 28.04.10, depositata in pari data: a) occultato, dissimulato, distrutto, dissipato e comunque distratto: Immobile sito in Lecce, alla INDIRIZZO, ceduto al fratello NOME COGNOME per il corrispettivo di C 45.000.00 a fronte di un valore stimato in C 118.440″.
Secondo la Corte d’appello, NOME COGNOME era responsabile dell’operazione realizzata con l’intento di sottrarre il bene al patrimonio societario, in quanto il controcredito vantato, per ragioni di lavoro, dal suo cessionario era di gran lunga inferiore alla differenza tra il valore di mercato dell’immobile ed il prezzo di vendita.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.
2.1. Col primo motivo lamenta violazione di legge e carenza di motivazione.
La Corte d’Appello non avrebbe motivato adeguatamente perché il valore dell’immobile dichiarato in bilancio fosse falso, nonostante le scritture contabili fossero state considerate attendibili, ritenendo erroneamente corretto il valore fiscale di C 118.440,00 dichiarato nell’atto di vendita del 2008.
In particolare, il corrispettivo pagato avrebbe dovuto considerarsi congruo, secondo parte ricorrente, atteso che: – “La cessione la si doveva alla transazione datata 10/09/2007 con la quale NOME alienava le proprie quote sociali a COGNOME NOME. In cambio, accettava l’immobile de quo”; – “NOME, poi, rinunciava ai 12.000 euro spettantigli per avere intrapreso causa nei confronti della società per non avere avuto il TFR, in cambio del pagamento RAGIONE_SOCIALE residue rate decorrenti dal settembre 2007, occorrenti per pagare un’auto ed un motociclo
acquistati dal creditore”; – “Il credito di NOME ammontava dunque ad C 45.000, ed a fronte di quello venne ceduto l’immobile, di 42 mq. del valore iscritto in bilancio, di C 50.000. Tuttavia, le parti, nella stipulazione del rogito notarile avevano indicato ai fini della determinazione del valore fiscale, che l’immobile valeva C 118.440″; – la causa revocatoria fallimentare contro il cessionario era stata definita con transazione, in virtù della quale COGNOME NOME aveva versato al fallimento C 9.000,00 a tacitazione di ogni sua pretesa (sicché, semmai l’immobile fosse stato ceduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato, la difformità avrebbe potuto quantificarsi in soli C 9.000,00); – l’immobile, di 42 mq., era stato iscritto a bilancio per C 50.000,00 nel 2005, al lordo degli ammortamenti e, coerentemènte, nel 2006, a seguito di un frazionamento, al terreno di pertinenza dell’immobile era stato attribuito il valore di C 10.000,00 e al fabbricato quello di C 40.000,00.
Parte ricorrente lamenta che su tali circostanze, risultanti dalla sentenza del Tribunale di Lecce e frutto della dichiarazione del maresciallo della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE NOME, la sentenza d’appello fosse solo apparentemente motivata, non avendo i giudici spiegato perché avessero considerato falso il valore dell’immobile indicato in bilancio, nonostante la RAGIONE_SOCIALE ed il Curatore fallimentare avessero dichiarato l’attendibilità RAGIONE_SOCIALE scritture contabili (da presumersi anche ex articolo 2710 cod. civ.), posto che l’imputato aveva sempre annotato tutte le operazioni, consentendo la ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio.
La Corte d’appello non avrebbe considerato neanche che con l’attribuzione di un valore alto a quell’immobile la società avrebbe potuto giovarsi di innumerevoli vantaggi pratici.
Infine, la stessa Corte avrebbe omesso di spiegare perché l’attribuito valore fiscale dovesse corrispondere al reale prezzo di mercato dell’immobile al momento della transazione (citandosi la giurisprudenza che reputa che è il valore di mercato e non quello catastale che deve essere considerato ai fini del sequestro preventivo per equivalente).
2.2. Col secondo motivo parte ricorrente lamenta violazione di legge e carenza di motivazione.
In particolare, la Corte territoriale non avrebbe valutato se la condotta di COGNOME avesse creato un concreto pericolo per l’azienda (un depauperamento reale e persistente del patrimonio aziendale) in prossimità del momento in cui si era verificato lo stato di decozione.
La Corte, per contro, non avrebbe considerato la buona situazione economico-finanziaria della RAGIONE_SOCIALE al momento della transazione, né
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che questa avesse evitato una causa onerosa (“che poteva costare centinaia di migliaia di euro a RAGIONE_SOCIALE” per soddisfare un credito privilegiato): sicché l’atto non poteva dirsi estraneo alla ragionevolezza imprenditoriale ed insussistente era sia l’elemento oggettivo del reato (non essendovi squilibrio tra le controprestazioni e messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa), sia quello soggettivo (avendo, come detto, l’imputato agito nell’interesse della fallita).
Si precisa che il 5/9/2008, momento della cessione RAGIONE_SOCIALE sue quote al RAGIONE_SOCIALE, la società fosse florida, al punto che essa aveva appena pagato quasi 3 milioni di euro alla RAGIONE_SOCIALE, possedeva ben 5 punti vendita aperti al pubblico, immobilizzazioni finanziarie, immobili, automezzi e, in magazzino, beni per altri 3 milioni di euro.
Su tali difese, sollevate con l’appello, la Corte territoriale era rimasta silente.
2.3. Col terzo motivo lamenta parte ricorrente violazione di legge e motivazione insufficiente e contraddittoria sull’aggravante del danno rilevante, che, per la giurisprudenza, avrebbe dovuto esser correlata alla diminuzione patrimoniale globale provocata alla massa attiva, non alla differenza tra attivo e passivo.
La Corte d’appello avrebbe dovuto non solo rappresentare che il danno cagionato dall’imprenditore nell’anno 2007 si fosse trascinato fino al 2010, ma anche che si fosse trattato di danno rilevante, in base ai parametri dati dalla Suprema Corte: laddove, da un lato, l’immobile in contabilità era stato stimato euro 50.000,00, sicché, essendo stato ceduto per euro 45.000,00, il danno al più sarebbe stato di euro 5.000,00; dall’altro lato, il giudice delegato al fallimento aveva ritenuto di accettare la quantificazione del danno in euro 9.000,00.
In realtà, era stato il coimputato NOME a cagionare il maggior danno ai creditori e ciononostante questi aveva subito una condanna più mite di quella irrogata al ricorrente.
Anche ammettendo fosse stato corretto il valore fiscale dichiarato dalle parti, la differenza di circa C 60.000,00 non avrebbe integrato, per parte ricorrente, l’aggravante, laddove si fossero considerati il volume d’affari della società, l’attivo e il passivo fallimentare (su cui nulla era stato detto dalla sentenza impugnata).
2.4. Col quarto motivo parte ricorrente lamenta violazione di legge e illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
La Corte di Appello le avrebbe negate per l’inesistenza di elementi positivi in tal senso, per avere (a suo dire) l’imputato cercato di dimostrare la propria
innocenza: laddove le sue scelte difensive non avrebbero potuto esser considerate ostative al riguardo.
Inoltre, la Corte territoriale aveva illegittimamente valorizzato, a tal fine, una condanna non definitiva per un altro reato.
Si rimarca, infine, che, nonostante la maggiore gravità RAGIONE_SOCIALE condotte del coimputato, a questi fossero state riconosciute le dette attenuanti.
2.5. Col quinto motivo parte ricorrente lamenta violazione di legge e illogicità manifesta di motivazione per avere la Corte d’appello rigettato la richiesta di applicazione di una pena sostitutiva, ex articoli 53 e seguenti I. 689/1981 (come novellati dal d.lgs. 150/2022) e 20-bis cod. pen.
Per la Corte territoriale l’altra condanna non definitiva, subita dal ricorrente, per bancarotta fraudolenta sarebbe stata ostativa alla concessione della pena sostitutiva, non essendo idonea a prevenire altri reati e rieducare il condannato.
Parte ricorrente, rammentato che, per la detta recente riforma, sarebbero più funzionali alla rieducazione e risocializzazione del reo le pene eseguite fuori dal carcere, lamenta come la pericolosità sociale e la probabilità di recidiva avrebbero dovuto essere desunte dai tempi, dalle modalità e dalla gravità RAGIONE_SOCIALE condotte contestate.
La Corte d’appello (con motivazione apparente e insufficiente) non avrebbe considerato che il reato era stato commesso 14 anni prima, non valutando l’attualità della pericolosità sociale del condannato, nonché se ci fosse, tra le misure preventive, una che avrebbe potuto evitare la recidiva.
Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
I primi due motivi di ricorso sono inammissibili poiché sollecitano una nuova valutazione della fondatezza RAGIONE_SOCIALE accuse, diversa da quella operata in sede di merito, senza scardinare i capisaldi (di cui oltre, per completezza, si dirà) della logica motivazione impugnata.
Ex art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., solo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sono censurabili in sede di legittimità. Dunque, compito di questa Corte è la verifica della tenuta logica della motivazione del provvedimento impugnato e, se conforme, di quella della
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decisione che lo precede (che in tal caso si saldano: Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01; Sez. 1, n. 19769 del 10/04/2024, non massimata).
Solo ove emerga una disarmonia nel sillogismo tra premesse e conclusioni o resti inesplicata quale, tra le varie ipotesi formulate e conducenti ad esiti diversi, sia alla base della decisione (Sez. 5, n. 19318 del 20/01/2021, Rv. 281105-01; Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, Rv. 247229-01; Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Rv. 215132-01) o, ancora, vi sia travisamento della prova (per sua omessa valutazione o sua “invenzione” o errore percettivo – e non valutativo – del suo pacifico diverso significato: Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269786-01), e si tratti, al contempo, di vizi determinanti la decisione, essi vanno qui emendati (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Rv. 250168; Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Rv. 244623; Sez. 1, n. 8094 del 11/01/2007, Rv. 236540).
Diversamente, non può, questa Corte, sovrapporre la propria valutazione (anche sul “peso” RAGIONE_SOCIALE prove e sull’attendibilità dei testi: Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01) a quella operata in sede di merito: sicché, se la motivazione da vagliare non sia illogica manifestamente o contraddittoria o mancante oppure frutto di travisamento di prove, non può trovare ingresso, in questa sede, qualsivoglia tesi ne prospetti un’altra, ove pure maggiormente plausibile (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Rv. 265244-01; Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010, Rv. 248192-01). A nulla rilevano, in definitiva, minime aporie o l’omessa considerazione di alcune difese o risultanze processuali: essendo sufficiente a ritenerla immune da censure che la motivazione, con valutazione globale, espliciti le ragioni (prive dei detti vizi) della decision (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, COGNOME, Rv. 216260-01; Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
Indici (seppur non assoluti) di doglianze volte alla mera (ed inammissibile) richiesta di riformulazione del giudizio di merito sono la caotica ridondanza dei motivi di censura e dei dati istruttori travisati (Sez. 2, n. 29607 del 14/05/2019, Rv. 276748-01; Sez. 2, n. 57737 del 20/09/2018, Rv. 274471-01; Sez. 6, n. 57224 del 09/11/2017 Rv. 271725-01), il contestuale e generico inquadramento RAGIONE_SOCIALE doglianze in plurimi vizi di motivazione e/o violazioni di legge (si vedano: Sez. 2, n. 25741 del 20/03/2015, Rv. 264132; Sez. 5 n. 6215 del 14/12/2020, dep. 2021, non massimata, su plurime censure in diritto; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, in motivazione; Sez. 4, Sentenza n. 8294 del 01/02/2024, Rv. 285870-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Rv. 263541, su molteplici vizi motivazionali; infine, Sez. 5, n. 1130 del 4/10/2021, dep. 2022, non
massimata, sulla denuncia cumulativa di violazioni di legge e vizi di motivazione): anche perché laddove una RAGIONE_SOCIALE censure abbia ictu ocull autonoma forza demolitoria, non avrebbe necessità di esser sostenuta da altre.
Nella specie, fuori dai detti limiti, si contrappone (ancorché mascherata anche da pretese violazioni di legge: vedasi, sulla corretta qualifica, la nota Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-04) una diversa e parcellizzata lettura RAGIONE_SOCIALE prove (che, isolandole, fa ovviamente perdere la complessiva visione della vicenda). Trattasi della richiesta di una non consentita (in questa sede) rivalutazione del materiale probatorio finalizzata a una rivisitazione del giudizio di merito con cui, in modo esaustivo, non illogico e non contraddittorio, s’è ritenuto che (come si desume dalla congiunta lettura RAGIONE_SOCIALE 2 pronunce di merito): (a) per quanto acclarato dal maresciallo COGNOME (e si desume dallo stesso ricorso in esame), il credito vantato da COGNOME NOME era di soli 12.000 euro; (b) tale credito risultava già compensato dal pagamento (di cui si gravava la società fallita) “RAGIONE_SOCIALE residue rate decorrenti dal settembre 2007, occorrenti per pagare un’auto ed un motociclo acquistati dal creditore” (pagina 2 dello stesso ricorso in esame); (c) l’immobile era stato, invece, trasferito quale corrispettivo dell’acquisto RAGIONE_SOCIALE quote (“La cessione la si doveva alla transazione datata 10/09/2007 con la quale NOME alienava le proprie quote sociali a COGNOME. In cambio, accettava l’immobile de quo”, si legge sempre nel ricorso de quo); (d) l’RAGIONE_SOCIALE aveva attribuito all’immobile (ubicato in pieno centro a Lecce) il valore di mercato di 118.440,00 euro, sicché le parti, nell’atto di vendita, avevano dichiarato detto valore del bene, seppur precisando che tanto fosse ai fini fiscali; (e) la cessione aveva determinato un depauperamento del patrimonio societario non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, tanto più stante il valore attribuito (nettamente inferiore a quello reale); (f) non era richiesto lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia RAGIONE_SOCIALE obbligazioni contratte (laddove, per giunta, in un contesto di grave esposizione debitoria era ovvia anche la finalità di danneggiare i creditori). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In modo del tutto illogico da parte ricorrente si contrappone, dunque, l’esasperazione di ipotetiche (perché neanche conducenti nel senso voluto, come si dirà) contraddizioni con altri elementi istruttori: i quali, ad ogni modo, non sono certo tali da inficiare la complessiva valutazione e le conclusioni cui è correttamente giunto (sulla base degli elementi rimasti incontestati o non efficacemente contestati) il provvedimento impugnato, non rappresentando alcun travisamento, nei termini sopra delineati.
Ed infatti, in primo luogo nulla dice (a ben vedere) parte ricorrente, neanche in questa sede, su quali sarebbero stati i corrispettivi vantaggi societari (in cambio del bene dismesso).
Ed invero, è lo stesso imputato ad asserire che la rinuncia a chiedere il detto importo per trattamento di fine rapporto sia stata compensata con l’accollo di alcuni debiti del cessionario, collegando, per contro, la cessione del bene al trasferimento della quota societaria: la quale, tuttavia, entrava nel patrimonio personale dell’imputato, non certo in quello della stessa società, il cui patrimonio, dunque, risultava pacificamente depauperato (a vantaggio del cessionario della detta quota).
Il ricorrente parla, poi, genericamente di un cespite che sarebbe causa di costi, che, però, neppure specifica.
Dunque, non si comprende come tali elementi possano addirittura far apparire illogica la motivazione data dai giudici di merito.
Ma, anche a superare tale punto, risulta evidente che neanche le affermazioni circa il diverso valore attribuito da parte ricorrente siano tali da scardinare la logica motivazione qui censurata.
Invero, a fronte del valore indicato in contabilità (sulla base di una stima fatta da chi la amministrava, evidentemente, non certo di un soggetto estraneo agli imputati) ed a fronte di una transazione con la curatela fallimentare per chiudere l’azione revocatoria (che è del tutto neutra, potendo la scelta della curatela dipendere dai più svariati fattori di opportunità e, anzi, dimostra che lo stesso acquirente il cespite abbia ammesso che il valore trasferito alla società non fosse congruo, almeno per C 9.000,00), la Corte d’appello ed il Tribunale hanno (giustamente) valorizzato un dato di ben più rilevante pregnanza: la valutazione del valore di mercato del cespite fatta dall’RAGIONE_SOCIALE e l’adesione ad essa, ai fini fiscali, da parte dello stesso imputato e dell’acquirente il bene. Invero, acquietarsi ai fini fiscali sul detto valore significa non avere elementi utili d opporre ad un eventuale accertamento fiscale che lo determini (laddove ne fosse stato indicato un altro): significa accettare, dunque, maggiori costi tributari, perché, evidentemente, si reputa (dalle stesse parti contraenti) non impugnabile siffatta valutazione.
La quale, pertanto, si ammette essere congrua.
Ad ogni modo, è evidente che gli elementi su cui si basa la decisione impugnata non siano affatto mancanti, contraddittori o manifestamente illogici: il che (come anticipato) determina l’inammissibilità dei primi due motivi di doglianza.
3. Anche il terzo motivo è inammissibile, sia perché non sollevato con l’atto d’appello ex articoli 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 35494 del 17/06/2021, Rv. 281852-01; Sez. 3, n. 33815 del 17/09/2020, Rv. 280045-01; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758-01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Rv. 258774-01), sia, comunque, per la sua manifesta infondatezza.
S’è già detto perché, correttamente, i giudici di merito hanno ritenuto depauperato per l’intero valore del bene il patrimonio societario e della sostanziale omessa percezione di una concreta controprestazione, da parte della società poi fallita, nonché della correttezza del valore del bene indicato dal Tribunale e dalla Corte d’appello.
Orbene, l’ulteriore doglianza, in diritto, secondo cui, per l’applicazione dell’aggravante, si sarebbero dovuti considerare i volumi d’affari della società presuppone una lettura RAGIONE_SOCIALE norme difforme da quella sostanzialmente univoca presso la Suprema Corte, secondo cui: «il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito creditore ammesso al concorso, né a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posta in relazione alla diminuzione – non percentuale ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti» (Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, Rv. 271274 – 01; confronta, negli stessi termini, Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, COGNOME, Rv. 217403; Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992, COGNOME, Rv. 191565; Sez. 5, n. 22978, 21/03/2024, non massimata; Sez. 5, n. 17140 del 22/01/2024, non massinnata).
4. Infondati, infine, sono il quarto ed il quinto motivo di ricorso.
È noto, anzitutto, che: «in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fin della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269)»; «il mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; conf. Casso n. 32872 del 2022, Rv. 283489)» (così Sez. 5, n. 7463 del 10/02/2024, non massimata; confronta,
negli stessi termini, Sez. 4, n.20771 del 16/05/2024, non massimata).
Nella specie, correttamente la Corte d’appello ha richiamato, ai fini della valutazione della pericolosità, la condanna non ancora passata in giudicato, valorizzata in passato, ex art. 133 cod. pen., sia per negare la sospensione condizionale della pena, sia per la declaratoria di abitualità nel reato, sia per l’adozione del provvedimento di libertà vigilata, sia, infine, per negare gli arresti domiciliari (si vedano, rispettivamente, per i detti casi, Sez. 3, n. 18386 del 19/03/2021, Rv. 281296 – 01, Sez. 1, Sentenza n. 13446 del 26/02/2020, Rv. 278824 – 01, Sez. 1, Sentenza n. 4717 del 08/11/2013, dep. 2014, Rv. 259022 01 e Sez. 3, Sentenza n. 8148 del 27/01/2012, Rv. 252755 – 01).
È altresì evidente che l’ulteriore motivazione adottata dalla Corte d’appello per negare le dette attenuanti (l’assenza di elementi di segno positivo perché le stesse siano accordate), non solo sia in linea con la menzionata giurisprudenza, ma, a ben vedere, non risulti neanche censurata in questa sede (e sia da sola idonea a sorreggere la decisione presa).
Analogamente, la valutazione circa la concessione RAGIONE_SOCIALE sanzioni sostitutive RAGIONE_SOCIALE pene detentive è fondata sempre sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendo il giudice valutare la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, verificando se vi siano o meno fattori ostativi e, in particolare, se la sanzione sia o meno efficace, anche in relazione alla detta personalità (Sez. 5, Sentenza n. 10941 del 26/01/2011, Rv. 249717 – 01, (Sez. 3, n. 21265 del 27.2.2003, imp. Mauriello, Rv.224512, Sez. 2, n. 25085 del 18/6/2010, imp. Amato, Rv.247853 e Sez. 5, n. 690 del 29/9/2022, dep. 2023, non massimata). Dunque, correttamente la Corte d’appello ha motivato, anche in questo caso, la sua decisione sul menzionato precedente.
Consegue, a quanto detto, l’esito in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Così deciso in data 17/07/2024
Il Corsigliere estensore
Il Presidente