LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Bancarotta fraudolenta: vendita a prezzo di costo

Un amministratore viene accusato di bancarotta fraudolenta per aver ceduto beni aziendali a prezzo di costo a una nuova società. La Cassazione annulla la condanna relativa alla dissipazione, chiarendo che se il prezzo viene interamente corrisposto, non si ha una diminuzione del patrimonio ma una sua trasformazione. Viene invece respinta la tesi difensiva basata sulla presunta incapacità di intendere e volere dell’imputato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: Vendere a Prezzo di Costo è Sempre Reato?

La gestione di un’impresa in crisi è un terreno minato di rischi legali, specialmente quando si avvicina lo spettro del fallimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: la vendita di beni aziendali a un prezzo quasi pari a quello di costo. Tale operazione configura automaticamente il grave reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione? La Suprema Corte fornisce un’interpretazione che distingue tra una legittima, seppur non profittevole, scelta imprenditoriale e un’effettiva condotta distrattiva ai danni dei creditori.

I Fatti del Caso

L’amministratore di fatto di una società, successivamente dichiarata fallita, veniva condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale. La contestazione principale riguardava la cessione di ingenti rimanenze di magazzino e di acquisti a un’altra società, costituita dai figli dell’imputato. L’operazione era avvenuta a un prezzo quasi identico a quello di costo, con un ricarico irrisorio (circa il 2%), notevolmente inferiore a quello applicato negli anni precedenti (fino al 50%).

Secondo l’accusa, questa mossa rappresentava un tipico schema fraudolento finalizzato a svuotare la società indebitata (la bad company) dei suoi asset di valore, trasferendoli alla nuova e “pulita” società (new company), lasciando i creditori a mani vuote.

La difesa dell’imputato si basava su due argomenti principali:
1. La presunta incapacità di intendere e volere dell’amministratore al momento dei fatti, a causa di una “sindrome ipocondriaca depressiva”.
2. L’assenza di una reale dissipazione, poiché il corrispettivo della vendita, sebbene basso, era stato interamente incassato dalla società fallita. Non vi era stata una diminuzione del patrimonio, ma solo una sua conversione da beni a liquidità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i motivi del ricorso, arrivando a una decisione che separa nettamente le due accuse.

L’analisi sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale

Sul punto centrale della vicenda, la Corte ha accolto le ragioni della difesa, giudicando la motivazione della Corte d’appello “manifestamente illogica”. Il reato di bancarotta per dissipazione richiede una diminuzione effettiva e ingiustificata del patrimonio sociale. Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la cessione dei beni è avvenuta a fronte di un corrispettivo interamente pagato e incassato. Di conseguenza, l’attivo patrimoniale non è scomparso, ma si è semplicemente trasformato: le merci in magazzino sono state sostituite da una somma di denaro. Anzi, in astratto, la liquidità rappresenta una garanzia persino più efficace per i creditori rispetto a merce deperibile (pesce surgelato o essiccato).

La questione dell’imputabilità e del vizio di mente

Diversamente, la Corte ha respinto il motivo relativo al presunto vizio di mente. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: ai fini del riconoscimento del vizio di mente, anche parziale, non è sufficiente la diagnosi di un disturbo della personalità o di una sindrome depressiva. È necessario che tale disturbo sia di una gravità tale da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, e che esista un nesso causale diretto tra la patologia e la condotta criminale. Nel caso in esame, la difesa non è riuscita a dimostrare come lo stato depressivo avesse specificamente causato le scelte gestionali contestate.

Le motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha motivato l’annullamento della condanna per bancarotta patrimoniale sulla base di una rigorosa analisi economica e giuridica. I giudici hanno sottolineato che un’operazione economica, rientrando nelle libere scelte imprenditoriali, non può essere giudicata penalmente rilevante solo perché poco profittevole. La difesa aveva fornito una spiegazione plausibile per la vendita a basso prezzo: la società era in difficoltà, priva di DURC, e faticava ad accedere al mercato ordinario. Liquidare la merce, seppur con un guadagno minimo, poteva rappresentare una scelta razionale per evitare perdite maggiori.

Secondo la Corte, non si può parlare di dissipazione quando la garanzia patrimoniale rimane intatta, sebbene modificata nella sua forma (da beni a denaro). Inoltre, il caso non rientrava nel classico schema bad company/new company, che presuppone un trasferimento sistematico degli asset attivi lasciando solo i passivi nella vecchia società. Qui si trattava di una singola, seppur importante, operazione di vendita.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un importante principio di diritto: per configurare il reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione non è sufficiente dimostrare una vendita antieconomica. È necessario provare che tale operazione abbia causato un effettivo depauperamento del patrimonio sociale, senza alcuna giustificazione economica plausibile nel contesto specifico in cui l’impresa si trovava. La trasformazione di un asset in un altro di pari valore, come la vendita di merci per incassare liquidità, non costituisce di per sé una condotta penalmente rilevante, anche se il prezzo è vicino a quello di costo. La Corte ha quindi annullato la sentenza su questo punto, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’appello per un nuovo esame che tenga conto di questi principi.

Una vendita a prezzo di costo di beni aziendali integra sempre il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale?
No. Secondo questa sentenza, se il corrispettivo della vendita, anche se basso, viene interamente incassato dalla società, non si verifica necessariamente una dissipazione. L’operazione va valutata nel contesto delle difficoltà aziendali: se la vendita serve a liquidare beni deperibili o difficili da piazzare sul mercato, può essere considerata una scelta gestionale legittima e non un atto volto a danneggiare i creditori. L’elemento chiave è l’assenza di una diminuzione del valore complessivo del patrimonio aziendale.

Un disturbo depressivo può escludere la responsabilità penale per bancarotta fraudolenta?
Non automaticamente. La Corte chiarisce che per escludere o ridurre l’imputabilità non basta la presenza di un disturbo della personalità o depressivo. È indispensabile dimostrare che tale patologia abbia una consistenza, intensità e gravità tali da compromettere concretamente la capacità di intendere o di volere al momento del fatto e che esista un nesso causale diretto tra il disturbo e la specifica condotta criminosa.

Cosa distingue una legittima operazione commerciale da una dissipazione di beni in un contesto pre-fallimentare?
La distinzione fondamentale risiede nell’effetto sul patrimonio netto della società. Un’operazione legittima, per quanto non profittevole, trasforma un bene in un altro di valore equivalente (es. merce in denaro), mantenendo intatta la garanzia patrimoniale per i creditori. Un atto di dissipazione, invece, causa una diminuzione reale e ingiustificata del patrimonio sociale, con il preciso scopo o effetto di sottrarre risorse ai creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati