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Bancarotta fraudolenta: ruolo amministratore di fatto

La Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un amministratore di fatto che aveva distratto fondi tramite un conto personale e omesso le scritture contabili. Ritenuto decisivo il suo controllo pervasivo sulla gestione finanziaria dell’azienda fallita e la creazione di un meccanismo per occultare le operazioni a danno dei creditori.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: la Cassazione sul Ruolo Chiave dell’Amministratore di Fatto

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35411 del 2025, offre un’analisi cruciale sulla bancarotta fraudolenta, con particolare attenzione alla figura dell’amministratore di fatto e alle condotte che integrano la distrazione di beni societari. Questo caso chiarisce come la gestione finanziaria opaca e la creazione di canali paralleli per i flussi di cassa possano condurre a una sicura affermazione di responsabilità penale, anche in assenza di una carica formale. La decisione sottolinea che chiunque eserciti un controllo gestorio pervasivo su un’impresa è equiparato a un amministratore di diritto, con tutte le conseguenze legali che ne derivano.

I Fatti del Caso: Gestione Occulta e Distrazione di Fondi

Al centro della vicenda vi è un consulente che, di fatto, agiva come vero e proprio gestore di una società poi dichiarata fallita. Sebbene non ricoprisse formalmente la carica di amministratore, egli aveva assunto il pieno controllo del comparto finanziario. La condotta illecita contestata si è concretizzata principalmente in due atti:

1. Distrazione di fondi: L’imputato aveva aperto un conto corrente personale su cui faceva confluire le somme incassate dai debitori della società. Una parte significativa di questi fondi, quantificata in almeno 117.000 euro, non è mai stata riversata nelle casse aziendali e trattenuta senza una valida giustificazione contrattuale o compensativa.
2. Bancarotta documentale: È stata accertata l’omessa tenuta delle scritture contabili nell’ultimo periodo di vita della società, dal marzo 2013 fino alla dichiarazione di fallimento nel novembre dello stesso anno. Questa omissione, secondo l’accusa, era finalizzata a impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

La difesa ha tentato di giustificare la creazione del conto separato come una strategia per proteggere la liquidità dalle azioni delle banche creditrici, in vista di una proposta di concordato preventivo. Tuttavia, questa tesi non ha convinto i giudici.

I Motivi del Ricorso e le Argomentazioni Difensive

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione articolando tre motivi principali. In primo luogo, ha contestato il suo inquadramento come amministratore di fatto, sostenendo che le testimonianze raccolte in dibattimento non dimostravano un controllo pervasivo. In secondo luogo, ha negato l’esistenza della bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, affermando che i fondi sul conto personale erano stati usati per finalità aziendali (come il pagamento di stipendi) e che l’omissione contabile non era sorretta da un’intenzione fraudolenta. Infine, ha criticato la determinazione della pena, lamentando una motivazione carente sull’aumento per il reato satellite.

La Decisione della Corte sulla Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, confermando la sentenza di condanna. I giudici hanno stabilito che il ruolo di amministratore di fatto era ampiamente provato non solo dalle testimonianze, ma anche dal contenuto dei contratti stipulati e, soprattutto, dalla creazione e gestione autonoma del conto corrente separato. Questo conto è stato interpretato come uno strumento per esercitare un controllo totale sulle entrate e le uscite, al di fuori di ogni trasparenza contabile.

La Corte ha qualificato l’illegittimo trattenimento di 117.000 euro come una chiara distrazione di beni societari. La creazione di un conto ad hoc, gestito personalmente dall’imputato, è stata considerata una pratica oggettivamente pregiudizievole per i creditori, in quanto sterilizza le loro azioni esecutive e consente pagamenti preferenziali.

Il Dolo Specifico nella Bancarotta Documentale

Un punto fondamentale della sentenza riguarda la bancarotta documentale. La Cassazione ha ribadito che, per configurare il reato nella sua forma fraudolenta (e non semplice), è necessario provare il dolo specifico, ovvero l’intenzione di arrecare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. In questo caso, il dolo è stato desunto dalla condotta complessiva dell’imputato. La creazione di un conto occulto, unita all’omessa tenuta della contabilità, è stata vista come un meccanismo unitario e consapevole, volto a impedire la ricostruzione del patrimonio e a gestire i flussi finanziari in modo arbitrario e non tracciabile.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su una valutazione complessiva e logica degli elementi probatori. Il ruolo gestorio di fatto dell’imputato è stato desunto non da singole dichiarazioni, ma da un quadro convergente di prove, tra cui il suo potere di decidere quali creditori pagare e quali no e la gestione diretta degli stipendi tramite il conto personale. La creazione di tale conto è stata ritenuta un atto indicativo non di una gestione prudente, ma di un controllo occulto finalizzato a eludere le pretese dei creditori.

Per quanto riguarda la bancarotta fraudolenta documentale, i giudici hanno spiegato che la volontà di impedire la ricostruzione del patrimonio (il dolo specifico) emergeva chiaramente dall’ideazione stessa del meccanismo fraudolento. L’omissione dei libri contabili non era una semplice negligenza, ma una componente essenziale di un piano più ampio per gestire i fondi societari senza lasciare traccia.

Infine, sul trattamento sanzionatorio, la Corte ha chiarito che l’aver commesso più reati fallimentari (in questo caso, distrazione e bancarotta documentale) integra un’unica circostanza aggravante. La Corte d’Appello ha correttamente applicato il giudizio di bilanciamento, ritenendo tale aggravante equivalente alle circostanze attenuanti generiche concesse all’imputato. Di conseguenza, non è stato operato alcun aumento di pena a titolo di continuazione, elidendo di fatto l’effetto dell’aggravante.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza conferma principi consolidati in materia di reati fallimentari. Ribadisce che la responsabilità penale per bancarotta fraudolenta ricade su chiunque eserciti di fatto poteri gestori, indipendentemente da una nomina formale. Inoltre, la creazione di strutture finanziarie parallele e non trasparenti, come un conto corrente personale su cui far confluire i beni dell’impresa, è un sintomo inequivocabile di una condotta distrattiva e fraudolenta. La decisione serve da monito per tutti i consulenti e manager: la gestione di un’impresa in crisi richiede la massima trasparenza e correttezza, poiché qualsiasi tentativo di occultare beni o rendere opaca la contabilità sarà severamente punito.

Quando una persona può essere considerata ‘amministratore di fatto’ di una società fallita?
Una persona è considerata amministratore di fatto quando, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo poteri gestionali, come il controllo pervasivo della gestione finanziaria, la decisione su quali creditori pagare e la gestione dei pagamenti ai dipendenti tramite un conto personale.

La creazione di un conto corrente personale per gestire i fondi di una società in crisi costituisce bancarotta fraudolenta?
Sì, secondo la sentenza, la creazione di un conto corrente personale intestato al gestore, su cui confluiscono i crediti della società, costituisce uno strumento per la distrazione di fondi e integra il reato di bancarotta fraudolenta. Tale pratica è considerata oggettivamente pregiudizievole per i creditori perché impedisce loro di agire esecutivamente su tali somme.

In caso di più reati di bancarotta, come viene calcolata la pena finale?
Quando vengono commessi più fatti di bancarotta nell’ambito dello stesso fallimento, si applica una peculiare disciplina della continuazione (art. 219, comma 2, n. 1, legge fallimentare). Questa viene configurata come un’unica circostanza aggravante, la quale è soggetta al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti. Se le attenuanti sono giudicate equivalenti, come nel caso di specie, l’effetto dell’aggravante viene annullato e non si applica alcun aumento di pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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