Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5   Num. 35411  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: MELE NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MODENA il DATA_NASCITA
inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE D’APPELLO DI MILANO Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso;
letta la memoria in data 30 giugno 2025 , a firma dell’AVV_NOTAIO.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 22 novembre 2024, la Corte d’appello di Milano, in parziale  riforma  della  sentenza  del  Tribunale  di  Milano,  ha  riconosciuto  COGNOME NOME  responsabile  del  reato  di  bancarotta  fraudolenta  per  distrazione  e
bancarotta fraudolenta documentale in qualità di consulente, liquidatore e gestore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 29 novembre 2013.
La  Corte  territoriale  ha  ritenuto  dimostrato,  sulla  base  di  una  pluralità  di elementi,  il  ruolo  sostanzialmente  gestorio  svolto  da  COGNOME  all’interno  della società, in accordo con l’amministratore di diritto della stessa, NOME COGNOME (la cui richiesta di concordato in appello è stata accolta), e tale per cui era al medesimo riferibile  la  gestione  dell’intero  comparto  finanziario  della  società,  di  cui  egli controllava le entrate e tutti i pagamenti.
Ha  quindi ritenuto sussistente la contestata distrazione  della  somma quantomeno di 117.000 euro, in conseguenza della mancata completa retrocessione  delle  somme  incassate  dai  debitori  della  società,  le  quali  erano confluite sul conto corrente a lui personalmente intestato e appositamente acceso, e  che  erano  state  illegittimamente  trattenute  su  detto  conto,  non  potendo giustificarsi come compensi per l’attività dal medesimo svolta.
È  stata  altresì  affermata  la  responsabilità  del  COGNOME  per  la  bancarotta fraudolenta  documentale  per  omessa  tenuta  della  contabilità  dal  marzo  2013, essendo stata tenuta irregolarmente o addirittura non tenuta nell’ultimo periodo di vita della società, ed avendo la creazione di un conto corrente separato, sul quale confluivano i crediti riscossi, contribuito a determinare la radicale inattendibilità della situazione contabile.
La Corte ha invece dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il delitto di bancarotta preferenziale con riferimento alla somma di euro 366.700 accreditata in favore di COGNOME per fatture emesse a titolo di corrispettivo per l’adempimento di una serie di incarichi conferiti con contratti stipulati tra aprile e luglio 2012 con la società fallita.
 Avverso  tale  sentenza l’imputato  ha  proposto  ricorso  per  cassazione, articolando tre motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla attribuzione all’imputato del ruolo di amministratore di fatto della società fallita. La Corte territoriale non si sarebbe confrontata con le censure difensive, avendo privilegiato le dichiarazioni rese dai dipendenti della società al curatore fallimentare durante l’audizione da questi disposta, trascurando invece la più completa e affidabile ricostruzione effettuata nel corso dell’istruttoria dibattimentale. In tal modo la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vero travisamento della prova, avendo le testimonianze assunte in dibattimento escluso la pervasività del COGNOME nell’attività gestoria e affermato la finalizzazione della sua opera al risanamento d ell’azienda.
I giudici dell’appello avrebbero, inoltre, omesso di motivare in relazione alle spiegazioni fornite dal ricorrente circa lo scopo perseguito con la creazione di un conto corrente separato, il quale corrispondeva ad una prassi finalizzata a evitare che le entrate della società venissero utilizzate dagli istituti di credito in compensazione dei debiti che la stessa aveva nei loro confronti e si inseriva nella prospettiva della presentazione di un concordato. Avrebbe, altresì, valutato in modo illogico il contenuto dei contratti con cui la società aveva conferito all’imputato il compito di recupero dei crediti, nonché l’entità dei compensi pattuiti immotivatamente ritenuti incongrui.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, di cui al punto 5 dell’imputazione, nonché di bancarotta fraudolenta documentale. Quanto alla prima, il ricorrente evidenzia come i crediti della società confluiti sul conto corrente a sé intestato sarebbero stati utilizzati per finalità aziendali, come attesterebbe il pagamento del TFR e degli stipendi ai dipendenti, secondo quanto emerso dalle dichiarazioni testimoniali (COGNOME e COGNOME). Sottolinea, altresì, che l’apertura di apposito conto corrente sarebbe stata finalizzata a scongiurare i pagamenti preferenziali nei confronti di banche creditrici e a costituire una provvista per la proposta di concordato preventivo. La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe considerato il parere redatto dall’AVV_NOTAIO in ordine alla congruità dei compensi percepiti dal ricorrente per la sua attività in favore della società.
Con riguardo alla bancarotta documentale, il ricorrente sostiene che la valorizzazione della creazione di un conto corrente separato quale indice della volontà di rendere difficoltosa la ricostruzione dell’andamento societario sarebbe contraddetta dal fatto che di tale conto erano informati i debitori ai quali era stato comunicato di effettuare i pagamenti sul medesimo, nonché del suo utilizzo per pagare i dipendenti. La difesa evidenzia inoltre che nel 2013 la società aveva svolto solo attività di liquidazione.
2.3. Il terzo motivo  denuncia  vizio  di motivazione  con  riguardo  alla determinazione del trattamento sanzioNOMErio. La sentenza impugnata ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legg e fall. e tuttavia non ha motivato in ordine alla individuazione del reato più grave nonché in ordine all’aumento di pena per il reato satellite.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Con memoria in data 30 giugno 2025 con cui ha replicato alle conclusioni del PG, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
Il primo motivo, concernente il complesso degli elementi probatori su cui è stata basata l’attribuzione al ricorrente del ruolo di amministratore di fatto della fallita, è infondato.
2.1. La prospettazione difensiva, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe attribuito valore predominante alle dichiarazioni rilasciate dai testi al curatore in luogo di quelle dai medesimi rese in dibattimento è priva di pregio.
Invero, la Corte territoriale, nel confermare le valutazioni espresse dai giudici di primo grado, ha operato una valutazione complessiva delle dichiarazioni rese dai dipendenti della società, e specificamente dal teste COGNOME, evidenziando come dalle stesse emergeva il carattere pervasivo del controllo effettuato dal COGNOME nella gestione della fallita, tanto che era l’imputato a indicare al teste quali creditori e quali imposte pagare e quali no, ed era ancora il COGNOME ad effettuare il pagamento degli stipendi dei dipendenti tramite il conto al medesimo intestato. Trattasi di circostanze che -come emerge dalla sentenza di primo grado -erano state riferite dal teste in dibattimento e che sostanzialmente confermavano le dichiarazioni rese dal medesimo al curatore fallimentare, oltre ad essere avvalorate dalle dichiarazioni degli altri testi escussi. La sentenza impugnata ha valutato in modo non manifestamente irragionevole tali dichiarazioni, desumendone il ruolo concretamente gestorio svolto dal ricorrente.
Tale conclusione non può ritenersi smentita dal dedotto vizio di travisamento della prova dichiarativa. Questa Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che ai fini della sua deducibilità in sede di legittimità è necessario che essa abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, sicché resta esclusa la rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406 -01; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255087 -01). Si è inoltre precisato che il vizio di travisamento della prova è ravvisabile quando l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, ferma restando l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 1, n. 24667
del 15/06/2007, COGNOME, Rv. 237207; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
2.2. Nella specie, il Collegio di appello ha mostrato di avere analizzato le dichiarazioni del teste COGNOME secondo i criteri della logica plausibilità, sicché la tenuta della sentenza non può certamente rimanere compromessa, come vorrebbe il ricorrente, dall’interpretazione diversa di qualche passaggio della prova testimoniale dedotta. Tanto più che la censura si risolve in una critica alla valutazione e interpretazione delle dichiarazioni rese dal teste, operata attraverso il raffronto di quelle dal medesimo rese al curatore e in dibattimento. In ogni caso, la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito in ordine al ruolo sicuramente gestorio ricoperto dal COGNOME all’interno della società non poggia unicamente sulle dichiarazioni testimoniali, ma è fondata su plurimi e convergenti elementi di cui, con motivazione ampia e logica, viene dato ampio conto. Invero i giudici di entrambi i gradi del merito sottolineano il contenuto, progressivamente più ampio, dei contratti stipulati dal COGNOME con l’amministratore di diritto della società, e tali da affidargli sostanzialmente la gestione dell’intero comparto finanziario, nonché l’entità sproporzionata del compenso pattuito per tale attività. Al riguardo, si rileva che, tale valutazione non mette in discussione l’autonomia delle parti di concordare il compenso per le attività pattuite, ma piuttosto attiene alla entità del medesimo in rapporto alle condizioni in cui versa la società che conferisce l’incarico, laddove l’esposizione debitoria della stes sa era di poco superiore al compenso pattuito con il COGNOME, nonché rispetto alla liquidità recuperata.
La sentenza impugnata ha, altresì, considerato indicativo del ruolo concretamente gestorio svolto dall’imputato la creazione di un conto corrente separato, intestato al medesimo personalmente e gestito in modo del tutto autonomo sul quale far confluire i pagamenti dei clienti e attraverso il quale effettuare i pagamenti in favore dei dipendenti e dei creditori, ivi compreso se stesso, deducendone -in modo coerente e logico -che detto conto costituiva strumento per operare il controllo di tutte le entrate e delle uscite.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. Con riguardo alla affermata responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, attuata attraverso la creazione del conto corrente sopra richiamato, la sentenza impugnata si è specificamente confrontata con le censure difensive che sostenevano come la creazione di un tale conto costituisse una prassi frequente, affermando in modo ineccepibile che essa risulta obiettivamente pregiudizievole per le ragioni dei creditori, specie ove si verifichi il fallimento della società, atteso che determina la sterilizzazione delle azioni esecutive dei creditori e consente pagamenti preferenziali, nonché, di fatto, la
distrazione di somme in proprio favore. Ripercorrendo sul punto gli esiti dell’istruttoria dibattimentale e condividendo gli esiti decisori dei giudici di primo grado, la Corte territoriale, oltre a valutare come incongruo il compenso pattuito per l’attività dell’imputato, rispetto all’ammontare dei crediti dal medesimo riscossi dell’utilità dell’attività svolta, ha ritenuto accertato l’illegittimo trattenimento da parte dell’imputato quantomeno della somma di 117.000 euro, la quale non trova giustificazione neppure nella attività asseritamente dal medesimo prestata per la predisposizione della domanda di concordato, atteso che non vi era stata alcuna elaborazione effettiva di un piano concreto da depositare.
3.2. Anche la censura concernente l’affermata responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale è infondata.
La condotta ascritta all’imputato, la quale attiene alla omessa tenuta delle scritture contabili dal mese di marzo 2013 alla data del fallimento, è da ricondurre alla prima delle due ipotesi previste dall’art. 216, comma 1, n. 2), legge fall., per la cui configurazione è richiesto il dolo specifico, consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. A tale ipotesi, secondo la giurisprudenza di questa Corte regolatrice, può essere ricondotta anche l ‘omessa tenuta dei libri contabili, essendo anche in tal caso necessario che la condotta omissiva sia sorretta (al pari delle altre ipotesi) da dolo specifico, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179). Si è al riguardo precisato che l’accertamento del dolo specifico risulta pregiudiziale ai fini della qualificazione della condotta in termini di bancarotta fraudolenta documentale, proprio perché l’elemento della frode costituisce il di scrimine tra tale reato e le figure delittuose di bancarotta semplice -che ne sono prive -previste dall’art. 217, il cui comma 2 incrimina, parimenti, l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 -01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915 -01). Secondo l’insegnamento di questa Corte, lo scopo di recare pregiudizio ai creditori ben può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda, dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta, colorando di specificità l’elemento soggettivo, il quale può pertanto essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comporta mento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
È quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale correttamente la Corte territoriale ha ravvisato la sussistenza del dolo specifico nella violazione dell’obbligo di tenuta e consegna delle scritture contabili unitamente alla complessiva condotta fraudolenta del COGNOME ed in particolare alla consapevole creazione di un conto corrente autonomo e separato, cui erano riferibili incassi e pagamenti che non erano tracciati nella contabilità, desumendo dalla ideazione e attuazione di tale meccanismo la volontà di impedire la ricostruzione del patrimonio e delle attività della fallita, così come poi puntualmente verificatosi, e dunque la consapevolezza del vulnus arrecato alla trasparenza della contabilità al fine di conseguire un ingiusto profitto, individuato nella possibilità di incamerare pagamenti e gestirli senza sostanzialmente darne conto.
 Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente,  dato  atto  del  giudizio  di  equivalenza operato dalla Corte territoriale delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., lamenta la mancata indicazione della pena per il reato satellite.
La censura del ricorrente non coglie nel segno.
4.1. Questa Corte di cassazione da tempo ha chiarito il complesso inquadramento giuridico che si ricollega alla disposizione formalmente aggravatrice di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., evidenziando che, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzioNOMEri, nel cumulo giuridico previsto dalla richiamata disposizione, la quale detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione, derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/1/2011, Loy, Rv. 249665). Il Supremo Collegio ha altresì precisato che la disposizione menzionata «postula l’unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri indici qualificanti», quali il nomen iuris «circostanze», adottato nella rubrica e la generica formula utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento («le pene sono aumentate»), aggiungendo altresì come sia «indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante».
La successiva giurisprudenza delle Sezioni semplici ha precisato le conseguenze  di  tale  impostazione  ermeneutica,  facendone  derivare  che  la configurazione, sotto il profilo formale, della cd. continuazione fallimentare, quale circostanza aggravante, ne comporta l’assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti (cfr.,  per  tutte,  Sez.  5,  n.  21036  del  17/4/2013,
COGNOME, Rv. 255146; Sez. 5, n. 51194 del 12/11/2013, COGNOME, Rv. 258675; Sez. 5, n. 50349 del 22/10/2014, COGNOME, Rv. 261346). In tal senso è stato ritenuto decisivo il meccanismo di calcolo dell’aumento di pena prescelto dal legislatore, il quale si discosta in modo chiaro da quello previsto dall’art. 81 cod. pen. per la continuazione ‘ordinaria’. Si è pertanto ritenuto che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla cd. continuazione fallimentare debba applicarsi tra l’altro anche l’art. 69 cod. pen. e che perciò, nell’ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l’aumento previsto dall’art. 219 legge fall. (Sez. 5, n. 21036 del 17/04/2013, Rv. 255146).
4.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello, dando attuazione a tali principi, riconosciute  le  generiche  equivalenti  alla  contestata  aggravante,  correttamente non  ha  operato  sulla  pena  irrogata  alcun  aumento  a  titolo  di  continuazione fallimentare, poiché elisa dal giudizio di bilanciamento in termini di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche.
Alle considerazioni esposte segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali.
Così è deciso, 10/07/2025
Il AVV_NOTAIO estensore                                     Il Presidente NOME COGNOME                                        NOME COGNOME