Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5097 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 5097  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/06/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che
ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 giugno 2022 dalla Corte di appello di Firenze, che ha riformato – riconoscendo le attenuanti generiche e rideterminando la durata della pena principale e delle pene accessorie – la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva condanNOME COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in relazione alla
società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 15 febbraio 2016, nonché per i reati bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta semplice documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 15 marzo 2017, e ancora per reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
1.1. Con riferimento al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, i giudici merito hanno ritenuto che l’imputato – in qualità di amministratore di diritto dal marzo 2006 al 14 giugno 2015 e successivamente di amministratore di fatto avesse effettuato le seguenti operazioni.
La distrazione della somma di euro 417.709,00, erogata (dal novembre 2012 fino all’aprile 2016) dalla soc. coop. “RAGIONE_SOCIALE” quale canone per la locazione dell’immobile sito in Firenze alla INDIRIZZO, che la società fallita aveva ottenuto (fin dal luglio 2006) in leasing dalla “Banca Italease S.p.A.” (capo Al). La distrazione sarebbe stata realizzata mediante il trasferimento di fatto dell’immobile alla “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata di fatto dallo stesso imputato, e la stipula (il 5 ottobre 2012) di un nuovo contratto di locazione tra quest’ultima società e la soc. coop. “RAGIONE_SOCIALE“, che sostituiva il precedente contratto, fino a quel momento in atto tra la società “RAGIONE_SOCIALE” e la soc. coop. “RAGIONE_SOCIALE“. Il COGNOME avrebbe dato formale copertura all’operazione, stipulando (quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“) un simulato contratto di locazione tra la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, con scritt privata mai registrata, che prevedeva il pagamento di un canone di euro 480,00 al mese.
Con riferimento a questa medesima vicenda, la pubblica accusa, originariamente, aveva contestato all’imputato anche la distrazione dell’immobile oggetto di locazione (capo A2). Già il giudice di primo grado, tuttavia, aveva ritenuto tale fatto «assorbito» da quello relativo alla distrazione delle somme di denaro.
L’imputato – sempre nella qualità di amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE” – avrebbe distratto la somma di euro 124.797,00, effettuando, dal 9 giugno 2006 al 5 gennaio 2009, prelevamenti dal conto corrente bancario della società, a titolo di rimborso finanziamento soci (capo A3).
Avrebbe distratto anche ulteriori somme di denaro: euro 100.000,00, prelevati dal conto corrente bancario della società fallita e utilizzati come caparra confirmatoria per acquistare un immobile (sito in Firenze, alla INDIRIZZO) che intestava a sé (capo A4); euro 123.500,00, prelevati dal conto corrente della fallita, senza alcuna giustificazione (capo A5).
Avrebbe, inoltre, emesso a favore della società “RAGIONE_SOCIALE” due assegni, dall’importo complessivo di euro 40.000,00, senza alcuna giustificazione (capo A6).
L’imputato, nella qualità di amministratore della società “RAGIONE_SOCIALE“, si sarebbe reso responsabile anche del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, sottraendo parte delle scritture contabili della società, al fine di recare pregiudizio ai creditori (capo A7).
1.2. I giudici di merito hanno ritenuto l’imputato responsabile anche del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, avendo – al fine di sottrarsi al pagamento di imposte, dei relativi interessi e delle sanzioni amministrative stipulato (in data 27 aprile 2016, dopo il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“) un contratto di vendita simulato, con il quale apparentemente cedeva due appartamenti di sua proprietà (l’uno sito in Firenze, alla INDIRIZZO, e l’altro sito in INDIRIZZO, alla INDIRIZZO) alla società di diritto inglese “RAGIONE_SOCIALE“, di cui egli stesso era legale rappresentante e unico socio. Gli appartamenti rimanevano nella sua esclusiva disponibilità e il prezzo di euro 180.000,00 non veniva mai corrisposto, in modo tale da rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva da parte dell’erario in relazione ai debiti erariali della società “RAGIONE_SOCIALE“, che ammontavano a euro 380.941,69 (capo B).
1.3. Con riferimento al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, i giudici d merito hanno ritenuto che l’imputato – in qualità di amministratore di diritto dal 18 novembre 2006 al 30 giugno 2015 e di amministratore di fatto fin dall’aprile 2004 e anche successivamente al 30 giugno 2015 – avesse effettuato una serie di condotte distrattive e avesse anche omesso di aggiornare la contabilità, rendendosi responsabile pure del reato di bancarotta semplice documentale.
In particolare, per quanto qui di interesse, l’imputato avrebbe distratto (in qualità di amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“) la somma di euro 561.181,26, derivante dalla vendita di due delle quattro unità abitative nelle quali era stato suddiviso il complesso immobiliare “RAGIONE_SOCIALE Montopolo”, acquistato dalla società fallita in data 16 marzo 2006 al prezzo di euro 1.580.000,00 (capo C1).
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, articolato con specifico riferimento al capo Al), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 216 legge fall.
Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sostenendo che la volontà dell’imputato non era quella di distrarre risorse dal patrimonio sociale, ma quella di rinegoziare il debito derivante dalla locazione finanziaria con la società di leasing; rinegoziazione che sarebbe stata posta in essere dalla nuova società (la
“RAGIONE_SOCIALE“) e che avrebbe sollevato la società “RAGIONE_SOCIALE” dal pagamento delle rate di leasing.
2.2. Con un secondo motivo, riferito alla condotta contestata al capo A2), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen. e 216 legge fall.
Contesta la decisione dei giudici di merito di ritenere assorbita la condotta contestata al capo A2), relativa alla distrazione dell’immobile, in quella contestata al capo Al), relativa alla distrazione delle somme di denaro che costituivano il canone di locazione di quello stesso immobile. Secondo il ricorrente, non essendovi stata la distrazione dell’immobile, i giudici di merito avrebbero dovuto pronunciare una specifica pronuncia di assoluzione in relazione a tale fatto.
2.3. Con un terzo motivo, riferito al capo A3), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen., 2647 cod. civ. e 216 legge fall.
Sostiene che: il prelevamento dal conto corrente della società di euro 124.797,00 sarebbe stato finalizzato al rimborso del finanziamento effettuato dall’imputato in qualità di socio; i rimborsi sarebbero avvenuti nel periodo ricompreso tra il 9 giugno 2006 e il 5 gennaio 2009, antecedente allo stato di insolvenza della società, risalente al 2008.
La condotta contestata al capo A3), pertanto, al massimo, potrebbe integrare gli estremi della bancarotta preferenziale, atteso che, in sostanza, «si rimprovera all’imputato di aver anteposto il proprio credito a quelli della massa fallimentare».
2.4. Con un quarto motivo, articolato con riferimento alla condotta contestata al capo A4), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen. e 216 legge fall.
Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, la sede legale della società era stata effettivamente trasferita in Firenze, alla INDIRIZZO
2.5. Con un quinto motivo, riferito al capo A5), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 e 533 cod. proc. pen., 86, 216 e 220 legge fall.
Sostiene che, come emergerebbe dalla relazione del consulente tecnico della difesa, le operazioni contestate al capo A5) non sarebbero dei prelievi «ma mere – errate – contabilizzazioni». Evidenzia che, in ogni caso, non sarebbe consentito porre a carico dell’imputato l’onere di dimostrare la legittima destinazione delle somme prelevate, atteso che nel nostro ordinamento non sarebbe consentito porre l’onere della prova a carico dell’imputato.
2.6. Con un sesto motivo, riferito al capo A6), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen., 86, 216 e 220 legge fall.
Sostiene che l’operazione contestata al capo A6) non avrebbe natura distrattiva. L’emissione dei due assegni (dall’importo complessivo di euro 40.000,00) a favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, infatti, andrebbe “letta” come una restituzione in favore di un socio della società “RAGIONE_SOCIALE” e troverebbe giustificazione nelle somme precedentemente erogate da quest’ultima società in favore della “RAGIONE_SOCIALE“.
2.7. Con un settimo motivo, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen. e 216 e 217 legge fall.
Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo A7), sostiene che la Corte di appello avrebbe compiuto «un’illegittima operazione di interazione» tra le due fattispecie astratte previste dall’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., dando rilievo, quanto all’elemento oggettivo, alla fattispecie della bancarotta documentale generica e, quanto all’elemento soggettivo, alla fattispecie della bancarotta documentale specifica.
Sostiene, inoltre, che la parziale mancanza delle scritture contabili della società “RAGIONE_SOCIALE” sarebbe «del tutto assimilabile a quella della società “RAGIONE_SOCIALE“». I giudici di merito, pertanto, sarebbero caduti in contraddizione nel ritenere, in relazione alla prima società, il reato di bancarotta fraudolenta documentale, quando, invece, in relazione all’altra società, avevano ritenuto integrata la meno grave ipotesi della bancarotta semplice documentale.
2.8. Con un ottavo motivo, articolato con riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000.
Sostiene che: già nel corso del 2008, la società si trovava in una situazione di crisi irreversibile; conseguentemente, non poteva produrre redditi soggetti a tassazione né cedere beni assoggettabili ad I.V.A.; il debito erariale derivava da accertamenti di natura induttiva effettuati dall’Agenzia delle entrate.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la natura induttiva delle modalità di accertamento del reddito potevano valere in materia tributaria, ma non certo in sede penale, dove era compito del giudice verificare l’esistenza di un reale debito nei confronti dell’erario.
La situazione di grave crisi economica della società avrebbe rilevanza anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, atteso che l’imputato, a conoscenza
dell’incapacità della società di produrre redditi, non avrebbe potuto raffigurarsi la preesistenza di alcun debito erariale.
2.9. Con un nono motivo, articolato con particolare riferimento al reato di cui al capo C1), deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 530 cod. proc. pen., 2647 cod. civ. e 216 legge fall.
Sostiene che le somme che, secondo la pubblica accusa, sarebbero state distratte dal patrimonio della società “RAGIONE_SOCIALE“, in realtà, costituirebbe il rimborso del finanziamento effettuato dall’imputato in qualità di socio. L’imputato avrebbe effettuato tale finanziamento, sebbene all’epoca non ricoprisse ancora la qualità formale di socio. La stessa pubblica accusa, d’altronde, riteneva che l’imputato rivestisse la qualità di amministratore di fatto, già prima dell’assunzione della formale carica in seno alla società.
2.10. Con un decimo motivo, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 62-bis, 69, 81 e 133 cod. pen.
Sostiene che la pena applicata sarebbe sproporzionata e non conforme al principio di rieducazione della pena.
Contesta, inoltre, il giudizio di comparazione delle circostanze, sostenendo che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate.
 Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per la parte civile, ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
 AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha depositato memoria scritta con la quale ha chiesto di accogliere il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta
motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto, con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che la tesi difensiva, secondo la quale il COGNOME avrebbe avuto l’intenzione di rinegoziare il debito con la società di leasing e di sollevare la fallita dal canone di leasing, era completamente sfornita del benché minimo riscontro. Rimaneva, invece, dimostrato che l’imputato aveva distratto le somme derivanti dal canone di locazione per un considerevole periodo di tempo, con la piena consapevolezza di sottrarre rilevanti risorse alla società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e senza porre in atto alcun atto concreto che desse dimostrazione della sua intenzione di rinegoziare il debito con la società di leasing e di sollevare la fallita dal canone di leasing.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile per plurime convergenti ragioni.
In primo luogo, è manifestamente infondato.
I giudici di merito hanno ritenuto di dare una valutazione complessiva dell’intera vicenda e hanno ritenuto che l’intera operazione fosse finalizzata a distrarre i canoni di locazione, che fino al momento della stipula del contratto di locazione erano stati percepiti dalla società fallita e che da quel momento in poi erano stati ottenuti dalla “RAGIONE_SOCIALE“; il contratto di locazione simulato era stato solo il mezzo attraverso il quale la distrazione era stata realizzata.
Avendo ritenuto che i fatti descritti nei due capi di imputazione realizzassero un’unica distrazione, hanno coerentemente ritenuto integrato un unico reato e pronunciato condanna solo per esso, evitando una doppia condanna per un unico fatto. Nella ricostruzione dei giudici di merito non vi è spazio per alcuna pronuncia di assoluzione, atteso che tutti i fatti contestati sono stati ritenuti provati, seppu ricondotti a un unico reato.
Sotto altro profilo, va rilevato che il motivo è inammissibile anche per carenza di interesse, atteso che alcun concreto pregiudizio l’imputato ha ricevuto dalla mancanza di una formale pronuncia di assoluzione, in ordine al reato di cui al capo A2).
Al riguardo, va ribadito che, «in tema di ricorso per cassazione, ai fini della sussistenza del necessario interesse ad impugnare, non è sufficiente la mera pretesa preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere elimiNOME dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata» (Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019, Rv. 276274).
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Va premesso che, «in tema di reati fallimentari, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con
analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale» (Sez. 5, n. 8431 del 01/02/2019, Vesprini, Rv. 276031; Sez. 5, n. 32930 del 21/06/2021, ProvvisioNOME, Rv. 281872).
Ebbene, nel caso in esame, dalle sentenze di merito, non risulta che le somme in questione fossero state erogate dall’imputato a titolo di mutuo, dando luogo a un credito esigibile nel corso della vita della società, né il ricorrente deduce d avere dimostrato che il credito in questione avesse tale natura, essendosi limitato a citare la giurisprudenza in materia.
1.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Esso, infatti, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata (e anche nella sentenza di primo grado) con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 20 della sentenza di primo grado e l’ottava pagina della motivazione della sentenza di appello), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato. In particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che la finalità di destinare l’immobile in questione a sede sociale della fallita non faceva venire meno la natura distrattiva dell’operazione, realizzata con l’intestazione del cespite immobiliare in capo all’imputato.
1.5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
I giudici di merito, infatti, hanno basato il loro convincimento sulla base degli accertamenti effettuati dal curatore fallimentare, che aveva appurato il prelevamento delle somme in questione dai conti bancari della società. Il curatore aveva evidenziato come, dalle causali annotate sull’estratto del conto corrente, non emergesse la destinazione delle somme prelevate e come tale destinazione non fosse desumibile da alcun altro titolo giustificativo. La maggior parte dei prelevamenti erano stati effettuati in denaro contante, mediante assegno o bonifico e, per contro, la difesa non aveva prodotto alcun documento volto a corroborare la destinazione a finalità sociale (cfr. pagine 20 e 21 della sentenza di primo grado e l’ottava pagina della motivazione della sentenza di appello).
Al riguardo, va ribadito che «in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti» (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, COGNOME, Rv. 279204).
I giudici di merito hanno esamiNOME la tesi difensiva secondo la quale tali somme sarebbero state destinate a finalità sociali e hanno esamiNOME anche la ricostruzione offerta dalla relazione tecnica di parte, ritenendole solo parzialmente fondate. E, infatti, a fronte dell’originaria contestazione, che aveva a oggetto la maggior somma di euro 176.700,00, hanno ritenuto dimostrata la distrazione della minore somma di euro 123.500,00.
1.6. Il sesto motivo è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. nona pagina della motivazione della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato. In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che l’eventuale destinazione della somma in questione a finalità transattive legate a una controversia civile intentata dalla società “RAGIONE_SOCIALE” – ritenuta plausibile anche dal curatore – non escluderebbe, comunque, la natura distrattiva del pagamento, atteso che la società fallita era estranea a tale controversia, che vedeva coinvolto l’imputato a titolo personale. Rimaneva, dunque, l’ingiustificato depauperamento di risorse per finalità estranee agli interessi della società.
1.7. Il settimo motivo è manifestamente infondato
I giudici di merito – con riferimento alla società “RAGIONE_SOCIALE” – hann ritenuto l’imputato responsabile della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico. In particolare, hanno rilevato che l’imputato aveva omesso di consegnare gran parte delle scritture contabili della società, di cui si aveva prova che egli aveva il possesso.
Il Tribunale, in particolare, ha posto in rilievo che le omissioni più rilevant riguardavano la fase più “critica” per la società, ossia il biennio 2010-2011, in relazione alla quale si poteva parlare di una sorta di «vuoto contabile». Tale «blackout contabile», proprio in una fase così delicata, a parere dei giudici di merito non poteva essere casuale, ma andava «letto come espressione di una volontà tesa a rendere non intelligibili le vicende societarie, al precipuo scopo di non far emergere le operazioni opache realizzate in pregiudizio del ceto creditorio». Le corrispondenti vicende distrattive rendevano evidente, a parere dei giudici di merito, la finalità perseguita dall’imputato sottraendo le scrittur contabili e rendevano evidente la sussistenza del dolo specifico.
I giudici di merito, pertanto, hanno ritenuto integrata la fattispecie a dolo specifico, ricostruendo in maniera adeguata e priva di vizi logici sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo della fattispecie. Hanno poi conseguentemente ritenuto che non potesse configurarsi la più lieve fattispecie
della bancarotta semplice documentale, caratterizzata da una condotta mera mente colposa.
Alcuna contraddizione è rilevabile nella decisione dei giudici di merito di qualificare semplice la bancarotta relativa alla tenuta delle scritture contabili della società “RAGIONE_SOCIALE” e di qualificarla, invece, fraudolenta, in relazione al tenuta della contabilità dell’altra società. I giudici di merito, infatti, ha evidenziato che, in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, erano state riscontrate gravi omissioni finalizzate a non far emergere le operazioni realizzate in pregiudizio del ceto creditorio, mentre, in relazione all’altra società, era stato rilevato solo mancato aggiornamento della contabilità.
1.8. L’ottavo motivo è inammissibile, perché meramente reiterativo di identiche doglianze disattese dai giudici di merito con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagine 26 e 27 della sentenza di primo grado e decima pagina della motivazione della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
I giudici di merito, in particolare, hanno rilevato che le considerazioni circa la natura induttiva delle modalità di accertamento del reddito e della conseguente imposta dovuta erano del tutto inconferenti, atteso che la fattispecie penale in questione offre tutela alla fase della riscossione coattiva del reddito erariale, risultando conseguentemente del tutto estranee all’integrazione della fattispecie le questioni concernenti le modalità tramite cui erano stati accertati il reddito e la conseguente imposta oggetto della pretesa erariale.
Hanno ritenuto infondata anche la correlata questione relativa alla conoscenza del credito erariale, evidenziando che, come emergeva dalla lettura della cartella esattoriale, l’avviso di accertamento era stato regolarmente comunicato in data 14 maggio 2015 e, pertanto, doveva ritenersi che l’imputato ne fosse a conoscenza, al pari degli altri avvisi di accertamento, spediti per posta il 27 novembre 2014 e ritirati presso l’ufficio postale il successivo 9 gennaio.
1.9. Il nono motivo è inammissibile.
Esso è privo di specificità, perché non si confronta con la motivazione delle sentenze di merito (cfr. pagina 23 della sentenza di primo grado e nona pagina della sentenza di appello), dalle quali risulta non vi era alcuna prova dei presunti finanziamenti fatti dall’imputato.
1.10. Il decimo motivo è inammissibile.
Con tale motivo, il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione
della sua congruità, ove – come nel caso in esame – la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851).
Va, poi, ribadito che «in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati» (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla costituita parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che vanno liquidate complessivamente in euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso, il 18 ottobre 2023.