Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 780 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 780 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a CAGLIARI il 16/07/1952
avverso la sentenza del 04/10/2022 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa NOME COGNOME la n GLYPH 1. quale ha chiesto pronunciarsi lÉannullamento senza rinvio delli ¢mpugnata sentenza per intervenuta prescrizione degli ascritti reati.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 4 ottobre 2022, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la decisione del Tribunale della medesima città con cui NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei reati: a) di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere distratto – in qualità di amministratore unico e, a decorrere dal 15 giugno 2009, di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 10 aprile 2010, la complessiva somma di euro 5 ,6.000, incassata dalla cessione di cinque rami aziendali negli anni 2008 e 2009; b) di bancarotta fraudolenta documentale, perché, “al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, teneva le scritture contabili in guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari” della predetta società.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai sei motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., preliminarmente eccependo l’intervenuta prescrizione, in data 3 dicembre 2022, degli ascritti reati.
2.1. Con il primo motivo, che ha ad oggetto la revoca dell’ordinanza ammissiva di una prova testimoniale, si duole di violazione di legge processuale, del diritto di difesa e al contraddittorio, nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale disatteso l’eccezione con cui il ricorrente lamentava la nullità dell’ordinanza, resa dal Giudice di primo grado all’udienza del 15 novembre 2019. Sostiene la difesa che il teste, comandante COGNOME della GdF, avrebbe potuto riferire circa la consegna -avvenuta prima del fallimento- di scritture contabili da parte della fallita società nell’ambito di un accertamento fiscale svolto dalla GdF stessa. Nel ritenere illogicamente che il teste della difesa non avrebbe potuto fornire alcuna informazione utile al processo, i Giudici di merito avrebbero violato altresì il diritto di difesa e al contraddittorio dell’imputato, attesa la mancata comunicazione al difensore della nota con cui, in occasione dell’udienza indicata, il teste aveva comunicato al Presidente del collegio di avere preso servizio dopo i fatti relativi al processo de quo. La difesa contesta altresì l’applicazione, al caso di specie, dell’art. 185, comma 2, del codice di rito, che, a parere della Corte territoriale, avrebbe comunque sanato l’eccepita nullità della revoca dell’ordinanza in parola, posto che la revoca era stata confermata anche con la sentenza, in una fase, cioè, in cui l’istruttoria dibattimentale era ampiamente conclusa.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge processuale, del diritto di difesa e al contraddittorio, nonché vizio di motivazione, in relazione
all’ordinanza, resa dal Giudice di primo grado del 5 giugno 2020, con cui è stata rigettata la richiesta avanzata dalla difesa ai sensi dell’art. 507 del codice di rito, di assumere la testimonianza del commercialista che aveva curato la contabilità della fallita società fin dal 2004. A tal proposito, il ricorrente contesta i motivi che hanno portato la Corte d’appello a sostenere che la richiesta difensiva fosse generica e avesse finalità meramente esplorativa.
2.3 Col terzo motivo, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per travisamento della prova in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, posto che non risulterebbe in alcun modo provato l’incasso di euro 56.000 derivante dall’asserita cessione di 5 rami d’azienda. I Giudici di merito avrebbero illogicamente escluso la possibilità che il pagamento del corrispettivo della cessione sia avvenuto in data successiva alla stipula delle cessioni dei rami d’azienda, ciò che renderebbe coerente quanto riferito dal curatore fallimentare, ovvero che soltanto le cessioni, e non anche gli incassi, furono registrate nella contabilità.
2.4 Col quarto motivo, si eccepisce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale, per avere la Corte territoriale basato il giudizio di responsabilità su prove travisate; in particolare, la difesa ripercorre le dichiarazioni del curatore fallimentare sulla veridicità delle scritture contabili: dichiarazioni dal tenore dubitativo, erroneamente interpretate, però, dalla Corte in senso assertivo. L.a Corte d’appello avrebbe altresì travisato le dichiarazioni testimoniali relative all’accidentale distruzione di parte della contabilità (occorsa in seguito a un allagamento del container in cui era conservata la stessa).
Si eccepisce, inoltre, l’omessa motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, non avendo i Giudici di merito provato il dolo specifico richiesto -secondo la prospettazione difensiva- dalla fattispecie incriminatrice contestata, vale a dire il fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o un danno ai creditori.
2.5 II quinto motivo, che lamenta vizio di motivazione, ha ad oggetto la medesima censura di cui al precedente motivo, relativa alla mancata prova dell’elemento soggettivo del reato. Si lamenta, pertanto, la mancata riqualificazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice.
2.6 Col sesto motivo, si contesta carenza assoluta di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, u.c., I. l’ali., e vizio di motivazione circa mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto pronunciarsi l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per intervenuta prescrizione degli ascritti reati. La difesa ha depositato memoria, con cui, evidenziando le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in clliritto
1. Il ricorso è inammissibile, per la manifesta infondatezza di tutti i motivi, come si illustrerà di qui a poco. Pertanto, sin da ora, va rilevata la manifesta infondatezza dell’eccezione relativa alla prescrizione, dal momento che il termine prescrizionale degli ascritti reati, discendente dall’applicazione degli art. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. peri. (3 dicembre 2022, compresi i 64 giorni discendenti dall’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), è maturata soltanto dopo la pronunzia di appello (4 ottobre 2022). Secondo il consolidato orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, la proposizione di un ricorso inammissibile, come quello in esame, non consente la costituzione di valido avvio della corrispondente fase processuale e determina la formazione del «giudicato sostanziale», con la conseguenza che il giudice dell’impugnazione, in quanto non investito del potere di cognizione e decisione sul merito del processo, non può rilevare eventuali cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266819 – 01; Sez. U, Sentenza n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME; Sez. U n. 32 del 22/11/2000, COGNOME; Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli; Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, COGNOME).
1.1 Il primo motivo è manifestamente infondato, dal momento che il ricorrente ha eluso il necessario confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, essendosi limitato a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282949 – 01; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 27697001; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01), oltre che a censurare, con argomentazioni errate in punto di diritto, l’applicazione della legge processuale da parte del Giudice dell’appello.
Risulta infatti dagli atti (cui questa Corte ha legittimo accesso, posta la censura difensiva di “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c),
cod. proc. pen.: cfr. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092-01), che il Giudice dell’udienza del 15 novembre 2019, dopo aver interloquito con la difesa dell’imputato e con il Pubblico ministero, ha motivatamente revocato l’ordinanza, attesa la manifesta superfluità della testimonianza del Comandante pro tempore della Guardia di Finanza, il quale aveva comunicato che non era emerso alcun coinvolgimento di militari operativi nelle vicende della RAGIONE_SOCIALE La congrua motivazione fornita dal Giudice di primo grado circa la revoca in parola è stata ricordata dalla Corte territoriale, che ha condiviso, nel merito, le ragioni espresse dal Tribunale. A fronte di tale doppia e conforme valutazione circa la superfluità della testimonianza, il ricorrente si è limitato a reiterare – ricorrendo ai medesimi argomenti già disattesi, con logica argomentazione, dalla Corte territoriale- la doglianza, senza apportare ulteriori elementi di valutazione in grado di evidenziare la decisività della prova testimoniale in questione (cfr., ad es., Sez. 6, n. 15673 del 19/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252581 – 01: «la parte che intende censurare con ricorso per cassazione l’ordinanza del giudice che, all’esito dell’istruttoria, abbia revocato una prova testimoniale già ammessa è tenuta, in ossequio al principio di specificità di all’art. 581., comma primo, lett. c). cod. proc. pen., a spiegare il livello di decisività delle prove testimoniali che il giudice ha ritenuto superflue).
In disparte tale superiore argomentazione, si osserva che la Corte territoriale ha vieppiù motivato sul punto, chiarendo che la mancata allegazione da parte della difesa- della documentazione concernente l’asserito deposito presso la Guardia di Finanza della contabilità della RAGIONE_SOCIALE avrebbe comunque reso superflua la prova del fatto dedotto dalla difesa; dal che, la Corte d’appello ha tratto la razionale conclusione che la prova del fatto dedotto dalla difesa non avrebbe affatto giovato all’imputato, posto che (v. p. 4 della parte motiva) “il mancato volontario ritiro delle scritture contabili dagli uffici nei quali esse erano state, in ipotesi, depositate, accompagnato dalla mancata documentazione dell’avvenuto deposito, configura un’ipotesi di soppressione delle scritture contabili, ai sensi dell’art. 216, primo comma, n.2, I. fall.” (cfr. Sez. 6, n. 26541 del 09/06/2015, Iurescia, Rv. 263947 – 01, secondo cui «la motivazione del provvedimento ordinatorio adottato nel corso del processo deve essere integrata con le ragioni esposte dal giudice in sentenza, qualora quest’ultima contenga una decisione coerente con il precedente atto e ne abbia però rielaborato l’apparato g i ustificativo»).
Si noti anche, per inciso, come tale valutazione ben si armonizzi con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di oneri dell’amministratore in relazione alla tenuta della contabilità (cfr. Sez. 5, n. 55740 del 25/09/2017, COGNOME, Rv. 271839 – 01, con riferimento alla consegna della contabilità al nuovo
amministratore subentrante, ma con principio estensibile al C250 di specie: «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, è onere dell’amministratore cessato, nei confronti del quale sia provata la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili relative ai periodo in cui rivestiva l’incarico, dimostrare l’avvenuta consegna delle scritture contabili al nuovo amministratore subentrante»).
Alla luce di quanto fin qui esposto, il Collegio non può che rilevare l’assoluta genericità del motivo, sconfinando esso nella pura congettura, allorché si afferma che “magari la restituzione era stata richiesta dall’imputato, ma non autorizzata dalla Guardia di finanza”: la mera ipotesi ventilata dal ricorrente non dispiega alcuna efficacia argomentativa rispetto al ragionevole e logico apprezzamento della Corte territoriale, come in precedenza illustrato. A tal proposito, gioverà ricordare quanto di recente affermato da questa Corte: «la mancata o irregolare tenuta della contabilità, in totale spregio degli obblighi di legge, non può certo costituire una circostanza da cui gli amministratori inadempienti possano trarre vantaggio, dovendo gli stessi comunque giustificare quale destinazione abbiano avuto i beni sociali non rinvenuti dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento» (Sez. 5, n. 20024 del 17/04/2023, Giarretti, n.m.).
In definitiva, il Collegio non riscontra alcun profilo di illegittimità nella valutazione della Corte territoriale circa la mancata decisività e utilità della prova revocata in primo grado (sul punto, si veda anche Sez. 5, n. 8422 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278794 – 01: «il giudice, ai sensi dell’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., può revocare una prova testimoniale già ammessa non solo quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva ma anche quando non sia più utile, perché incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo»), e ciò sia con riguardo alla interpretazione e applicazione delle norme processuali sia con riferimento all’apparato motivazionale, non inficiato dalle censure dedotte.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, attenendo la valutazione in tema di ammissione di nuove prove al potere discrezionale del giudice, il quale, in caso di mancato esercizio del potere ex art. 507 cod. proc. pen., può anche non motivare nel caso in cui «dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria» (Sez. 1, n. 2156 del 30/09/2020, dep. 2021, Rv. 280301 – 01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha peraltro sufficientemente motivato sul punto, censurando la genericità e la finalità meramente esplorativa della richiesta difensiva. Il carattere generico e aspecifico della censura, già evidenziato a proposito del primo motivo, ricorre anche nel motivo in esame, attesa la mancata
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indicazione di ragioni esplicative della decisività della testimonianza del commercialista, Dott. COGNOME
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, in quanto aspecifico, basato su assunti del tutto congetturali e in contrasto con i consolidati orientamenti di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, secondo cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. 231411).
Va ricordato il punto di partenza da ciii muove la Corte territoriale nel confermare il giudizio di penale responsabilità dell’imputato per l’ascritta condotta, vale a dire l’esistenza di risalenti contratti di vendita, regolarmente registrati presso il Registro delle imprese. A fronte di ciò -ha spiegato la Corte d’appellol’imputato non ha prodotto la benché minima allegazione che desse conferma di una sua iniziativa tesa a ottenere l’adempimento delle obbligazioni scaturenti da quei contratti. Di qui, la ragionevole conclusione dei Giudici di merito secondo cui o 1) il corrispettivo era stato regolarmente versato (e in tal caso distratto, posto che esso mai è pervenuto nelle casse della società); ovvero 2) le aziende erano state di fatto cedute a titolo gratuito, come sostenuto dalla difesa stessa in primo grado, e quindi il loro valore è stato comunque distratto.
Ebbene, data tale razionale quanto lucida deduzione, il ricorrente aveva l’onere -se non di dimostrare- quantomeno di dedurre l’esatta dinamica della vicenda negoziale della quale si tratta, chiarendo, in particolare, se i contratti che prevedevano un corrispettivo erano simulati o, in alternativa, quando il corrispettivo è stato versato e in che modo esso è stato destinato al soddisfacimento delle esigenze imprenditoriali della società fallita.
Alcuno di tali chiarimenti è stato fornito dal ricorrente, il quale dopo aver sostenuto in appello il carattere -di fatto- gratuito dell’atto di cessione delle aziende, lamenta adesso, in termini del tutto congetturali, la mancata considerazione, da parte della Corte, di un tertium datur, ovvero che gli accordi tra le parti prevedessero il pagamento del corrispettivo in data successiva alla stipula delle cessioni.
Così argomentando, il ricorrente trascura la costante elaborazione giurisprudenziale seguita .dal giudice di legittimità, la quale si ancora alla
peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso, è stato ricordato (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710-1, in motivazione) che l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono l’aspettativa dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggiano le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Non di meno l’art. 87, terzo comma, I. fall. (anche prima della sua riforma) assegna al fallito l’obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata è la conclusione che le condotte descritte all’art. 216, primo comma, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello. Osservazioni che giustificano l'(apparente) inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giusl:ificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione).
Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, COGNOME e altri, in motivazione).
Il quarto e quinto motivo -congiuntamente esaminabili, attesa la loro stretta connessione logica- sono manifestamente infondati. Le censure relative al dedotto travisamento della prova, che il ricorrente ricollega alla lettura operata dalla Corte d’appello del contenuto della relazione del curatore fallimentare, sono prive di fondamento: che la contabilità rinvenuta fosse accatastata alla rinfusa e frammista a documentazione di altre società ha costituito un ostacolo insuperabile ai fini della ricostruzione della stessa, secondo la ragionevole valutazione dalla Corte d’appello, peraltro in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v., ex plur. Sez. 5, n. 21588 del 19 aprile 2010, COGNOME, Rv. 247965: sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili per l’appunto solo con particolare diligenza;
Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455 – 01; Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 265682 – 01).
Quanto alla contestazione della sussistenza dell’elemento scggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, si osserva quanto segue. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa -secondo cui, ai fini della corretta contestazione del reato di bancarotta documentale fraudolenta, i Giudici di merito avrebbero dovuto provare la sussistenza, nel caso di specie, del dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o un danno ai creditori- il dolo ritenuto provato dalla Corte territoriale è quello generico, consistente nella coscienza e nella volontà della irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò abbia reso difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’impresa.
E, infatti, coerentemente col capo d’imputazione, si è ritenuto che la condotta dell’imputato (il quale aveva, per un verso, conservato in maniera disordinata le scritture contabili, segnatamente mancando di numerare le pagine del libro giornale, effettuando registrazioni inverosimili sul conto cassa, e mancando altresì di certificare, come già ricordato, il deposito delle scritture presso la Guardia di Finanza, dall’altro omesso di consegnare parte delle scritture, adducendo, a tal proposito, la non provata circostanza dell’allagamento dei locali in cui era stipata la contabilità) integrasse gli estremi della bancarotta fraudolenta documentale cd. generica (cfr., ad es., Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838 – 01, dove si è specificato che, in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), legge fall., la fraudolenta tenuta delle scritture integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi; v., più di recente, Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, COGNOME, Rv. 284677 – 02: «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle v i cende patrimoniali dell’impresa»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne discende la manifesta infondatezza della censura relativa alla mancata riqualificazione dell’ascritto reato nell’ipotesi di bancarotta documentale semplice, avendo i Giudici del merito correttamente ritenuto provato il dclo generico nella condotta del Floris, come si è appena ribadito.
Il sesto motivo è, del pari, manifestamente infondato, non trovando la dedotta censura di carenza assoluta di motivazione (tanto in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, u.c., I. fall., quanto al mancato riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche) fondamento alcuno rispetto a un iter motivazionale in cui la Corte d’appello ha fornito adeguate ragioni della decisione circa i due contestati profili. Anche in relazione a tale motivo di ricorso, non può che ribadirsi -come già ricordato sub 1.1 di questo “considerato in diritto”- quanto già, più volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che reiteri gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01).
La Corte territoriale ha esplicitamente basato il proprio giudizio sulla «gravità del fatto, caratterizzato dall’ammanco di molte decine di migliaia di euro, frutto di distrazioni reiterate nel tempo», ciò che esclude in radice la possibilità di configurare il danno come particolarmente tenue o del tutto mancante (Sez. 5, n. 20695 del 29/01/2016, COGNOME, Rv. 267147; Sez. 5, n. 17351 del 02/03/2015, COGNOME, Rv. 263676; cfr. anche Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277658 – 01; Sez. 5, n. 13285 del 18/01/201.3, COGNOME, Rv. 255063; Sez. 5, n. 12330 del 02/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272663, dove si è chiarito che il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti).
Quanto alla invocata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, va rimarcata, da un lato, l’inconferenza degli argomenti addotti dall’a difesa (tra cui: l’assenza di dolo specifico- mai contestato dalla Corte territoriale e, più in generale, la messa in discussione della prova dei due reati di bancarotta ascritti), dall’altro, l’assenza di manifeste illogicità o incongruenze della motivazione dell’impugnata sentenza, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419). Ciò vale, a fortiori, ove si consideri il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo bensì sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (nel caso di specie, l’assenza di gesti volti a riparare il danno arrecato ai creditori sociali), rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609
del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Il ricorso va dichiarato, pertanto, inammissibile. All’inammissibilità, consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativarnente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 22/09/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente