Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14915 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14915 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 3 maggio 2023 dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano, che aveva condannato NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale nonché per aver cagionato, per effetto di operazioni dolose, il
fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 20 marzo 2014, e NOME per il reato di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, NOME COGNOME – nella qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dal 20 dicembre 2012 al 20 marzo 2014 – avrebbe distratto svariate somme a vantaggio proprio e di propri familiari, avrebbe sottratto tutti i libri contabili d società e avrebbe cagionato, per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società, procrastinando volutamente l’emersione dello stato di insolvenza, utilizzando crediti erariali inesistenti a compensazione dei debiti e omettendo sistematicamente il versamento delle imposte e dei contributi previdenziali ed assistenziali.
NOME COGNOME – nella qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dal 2 aprile 2009 al 20 dicembre 2012 – avrebbe omesso di presentare la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’annualità 2011, e – nella qualità di amministratore del RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” – avrebbe omesso di presentare la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, relativa all’annualità 2011.
Avverso la sentenza della Corte di appello, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del loro difensore di fiducia.
Il ricorso di NOME si compone di due motivi.
3.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall.
In relazione al reato di bancarotta distrattiva, sostiene che una parte delle somme oggetto di contestazione costituirebbero l’emolumento dovuto all’imputato in quanto amministratore della società. Quanto alle distrazioni verso terzi, esse sarebbero giustificate dalla crisi di liquidità in cui si era trovata la società.
Per quanto riguarda la sistematica omissione del pagamento di imposte e tributi, «la Corte di appello avrebbe dovuto escludere il dolo specifico, in quanto l’imputato si era limitato a soddisfare i debiti al solo fine di evitare il pericolo d presentazione di istanze di fallimento …».
In ragione di tali argomentazioni, la condotta dell’imputato, al massimo, potrebbe essere ricondotta nell’ambito di applicazione della fattispecie prevista dall’art. 217 legge fall. o qualificata come bancarotta preferenziale.
3.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 133 cod. pen.
Contesta il trattamento sanzionatorio, sostenendo che la pena applicata sarebbe eccessiva. Sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata sarebbe priva di un’effettiva motivazione in ordine alla richiesta di disapplicazione della recidiva.
Il ricorso di NOME si compone di tre motivi.
4.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall.
Sostiene che l’imputato sarebbe una mera “testa di legno” e che avrebbe accettato la carica di amministratore su richiesta del padre, NOME, senza comprendere le reali responsabilità che ne sarebbero derivate. Mancherebbe, pertanto, il dolo specifico necessario di integrare la fattispecie contestata.
4.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 157 e 159 cod. proc. pen.
Sostiene che i reati sarebbero prescritti e che la Corte di appello sarebbe incorsa in errore nel calcolare il termine di prescrizione e, in particolare, ne considerare un periodo di sospensione pari a 521 giorni, avendo calcolato un periodo di sospensione per l’emergenza sanitaria da COVID-19 di 64 giorni, invece che di 39 giorni.
4.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 133 cod. pen.
Contesta il trattamento sanzionatorio, sostenendo che la pena applicata sarebbe eccessiva.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
Il ricorso di NOME deve essere rigettato.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La deduzione con la quale il ricorrente sostiene che le somme distratte andrebbero imputate a pagamento degli emolumenti spettanti all’imputato in qualità di amministratore è priva di specificità, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta e congrua motivazione (cfr. pagine 8 e 9 della sentenza), con la quale il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che la deduzione difensiva si presentava del tutto generica, non avendo la difesa allegato (e, tantomeno,
provato) il benché minimo elemento oggettivo che consentisse di valutare l’attività in concreto svolta dall’imputato e non essendovi una previsione statutaria che prevedesse il compenso per l’amministratore né una delibera assembleare che ne determinasse l’ammontare.
Nel caso in esame, la genericità della deduzione difensiva assume ancor maggior rilievo, atteso che si trattava di una società cooperativa. Al riguardo, va ricordato che, «in tema di società cooperativa a responsabilità limitata, il rapporto intercorrente tra la società e l’amministratore, al quale è affidata la gestione sociale, è di immedesimazione organica e non può essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione continuata e coordinata …» (Cass. Civ., Sez. 1, n. 7961 del 01/04/2009, Rv. 607490).
Quanto alla deduzione secondo la quale le distrazioni verso terzi sarebbero giustificate dalla crisi di liquidità in cui si era trovata la società, essa si prese del tutto inconferente, atteso che la mancanza di liquidità, di per sé, non giustificava certo una distrazione di somme in favore dei familiari dell’imputato.
Con riferimento alla bancarotta per operazioni dolose, il ricorrente ha sostenuto che «la Corte di appello avrebbe dovuto escludere il dolo specifico, in quanto l’imputato si era limitato a soddisfare i debiti al solo fine di evitare il perico della presentazione di istanze di fallimento …». Ebbene, tale deduzione appare del tutto incongrua rispetto alla contestazione di avere sistematicamente e consapevolmente inadempiuto agli obblighi tributari e previdenziali.
Va, in ogni caso, rilevato che, in ordine all’imputazione in questione, la Corte di appello ha reso motivazione ampia e priva di vizi logici (cfr. pagine 10, 11 e 12 della sentenza impugnata), con la quale ha evidenziato che era risultato dimostrato che l’imputato aveva, in maniera consapevole e sistematica, omesso di adempiere agli obblighi tributari e previdenziali, al punto tale che i relativi debit avevano raggiunto livelli non più recuperabili.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La censura relativa all’entità della pena è inammissibile. Il motivo, invero, con riferimento a tale censura si presenta del tutto generico, essendosi il ricorrente limitato ad affermare che la pena sarebbe eccessiva rispetto «alla reale portata dei fatti». Va, peraltro, ricordato che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851), come nel caso di specie
(cfr. pagina 13 della sentenza impugnata).
La censura relativa alla recidiva è infondata, atteso che la Corte di appello, seppur in maniera sintetica, ha motivato in ordine all’applicazione della recidiva (cfr. pagine 13 e 14 della sentenza impugnata). In particolare, ha rilevato che, in considerazione della natura dei reati oggetto delle precedenti condanne a carico dell’imputato, i “nuovi” delitti commessi apparivano indicativi di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un’accresciuta pericolosità del reo.
Il ricorso di NOME deve essere rigettato.
3.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo si presenta intrinsecamente generico, non avendo il ricorrente indicato gli atti dai quali dovrebbe desumersi che l’imputato fosse una mera “testa di legno”.
Sotto altro profilo, va ricordato che l’amministratore di diritto (in concorso con l’amministratore di fatto, che ne risponde quale autore principale) è responsabile del reato di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte dirette o IVA, per omesso impedimento dell’evento (Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020, Puddu, Rv. 280723).
Generiche e meramente assertive sono le affermazioni con le quali il ricorrente sostiene che l’imputato avrebbe accettato la carica di amministratore su richiesta del padre, senza comprendere le responsabilità che ne sarebbero derivate.
3.2. Il secondo motivo è infondato.
Il calcolo della sospensione del corso del termine di prescrizione effettuato dalla Corte di appello è corretto, risultando dagli atti due sospensioni per adesione del difensore all’astensione dalla partecipazione dalle udienze (la prima per 273 giorni e la seconda per 184 giorni) e una sospensione per l’emergenza pandemica da Covid-19, per un periodo complessivo di 521 giorni.
Con riferimento a quest’ultima, la determinazione della sospensione in 64 giorni, in considerazione dell’udienza di rinvio del 2 aprile 2020, appare corretta, atteso che, «in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell’emergenza pandennica da Covid-19, la sospensione del termine per complessivi sessantaquattro giorni, prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica ai procedimenti la cui udienza sia stata fissata nel periodo compreso dal 9 marzo all’il maggio 2020, nonché a quelli per i quali fosse prevista la decorrenza, nel predetto periodo, di un termine processuale» (Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, Sanna, Rv. 280432).
Il termine massimo di prescrizione (pari a 10 anni), iniziato a decorrere il 31 dicembre 2012 (tenuto conto del periodo di 521 giorni di sospensione), pertanto, non risulta ancora decorso (il termine sarebbe scaduto solo il 4 giugno 2024).
3.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il motivo, invero, si presenta del tutto generico, atteso che il ricorrente si limitato ad affermare che la pena sarebbe eccessiva rispetto «alla reale portata dei fatti».
Al rigetto dei ricorsi, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il 19 gennaio 2024.