Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17827 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17827 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 25/03/1970
avverso la sentenza del 07/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che ha dichiarato NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Roma del 3.7.2018, colpevole di bancarotta patrimoniale per distrazione, bancarotta documentale per sottrazione delle scritture contabili e bancarotta impropria da operazioni dolose per l’omissione sistematica del versamento di imposte e contributi previdenziali dall’anno 2009.
Ricorre per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME la quale svolge un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att cod. proc. pen..
Denuncia vizi della motivazione, sia rispetto alla bancarotta distrattiva (per l’esiguità della disponibilità economica della società, per lo scarso valore dell’autovettura, per la carenza di dolo), sia rispetto alla sottrazione delle scritture (per carenza del dolo specifico), sia per la bancarotta impropria da operazioni dolose (per la mancanza di elementi dimostrativi della conoscenza delle cartelle esattoriali).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso non è fondato, al limite della inammissibilità, per molti aspetti riproponendo doglianze già prospettate con l’atto di appello, e adeguatamente scrutinate nella sentenza impugnata.
Con riferimento alla bancarotta patrimoniale distrattiva, la Corte di appello ha ritenuto dimostrata la distrazione di ogni bene riferibile alla fallita: l’autovettu di proprietà (di cui si è appropriato mputato per uso personale) le attività disponibili alla data dell’ultimo bilancio depositato, costituite da immobilizzazioni materiali per quasi ventimila euro, danaro contante e crediti per oltre settantamila euro, per quanto emergente dalle appostazioni dello stesso imputato, amministratore unico della società. La distrazione ha riguardato, dunque, tutte le risorse della società fallita (ad eccezione di un terreno di scarso valore venduto dalla curatela che ne ha ricavato 1000 euro), per cui lo scarso valore delle attività e dell’autovettura non esclude il reato, potendo, al più, incidere solo sul trattamento sanzionatorio. Correttamente, la Corte di appello ha, infatti, tratto la prova della disponibilità dei beni non rinvenuti in sen all’impresa dalle appostazioni di bilancio, ritenuto intrinsecamente attendibile, peraltro in assenza di elementi, neppure dedotti, significativi della inattendibiità del documento contabile (Sez. 5 m. 20879 del 23/04/2021, Rv. 281181).
2.1. E’ noto che la giurisprudenza di legittimità ricollega la distrazione al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019 Rv. 276031 , conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, COGNOME, Rv. 179047; Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, COGNOME, Rv. 165673). D’altro canto, è altrettanto accreditato l’orientamento secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti ( Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741; Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385; Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004 , Rv. 231411; Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L’indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’ integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell’onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo ( nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiché, anche in ragione dell’obbligo di verità gravante sul fallito ai sensi dell’art. 8 comma 3 della legge fallimentare con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale, si tratta di legittima sollecitazione affinché il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell’impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato (Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, rv.249715). La decisione gravata Corte di Cassazione – copia non ufficiale
si è, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, rilevante, ai sensi dell’art.192 c.p.p. al fine di affermare l responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari, a condizion che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione (Sez. 2, n. 5838 del 09/02/1995 Rv. 201517). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno dato conto della prova del dato fisico della mancanza dei beni, non avendo il curatore rinvenuto i beni risultanti dalle scritture, così come non ha rinvenuto l’imputato – amministratore, risultato sconosciuto e irreperibile anche al suo indirizzo di residenza – nè la sede sociale, né le scritture sociali, che pure, come emergente dal bilancio depositato, erano state regolarmente istituite.
2.2. D’altronde, non ha alcun pregio la censura afferente l’elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta distrattiva, che è costituito dal dolo generico; pertanto, è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell’attività distruttiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione dai causarlo ( Sez. 5 n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739); si è precisato, altresì, che oggetto del reato in tale fattispecie, non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori ( Sez. 5 n. 40981 del 15/05/2014, Rv. 261367). In relazione a tali fatti – diversi da quelli di esposizione o riconoscimento di passività inesistent per i quali, invece, è richiesto lo scopo di recare pregiudizio ai creditori e, dunque, il dolo specifico – sul dolo non incide né la finalità perseguita in via contingente dall’agente, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie, né il recupero o la possibilità di recupero del bene distaccato, attraverso specifiche azioni esperibili; la norma incriminatrice punisce, in analogia alla disciplina dei reati che offendono comunque il patrimonio, il fatto della sottrazione, che costituisce, ontologicamente, il proprium di ogni distrazione. Sottrazione che si perfeziona nel momento del distacco dei beni dal patrimonio societario anche se il reato viene a esistere giuridicamente con la dichiarazione di fallimento. Coerentemente con la natura di reato di pericolo della bancarotta patrimoniale, non si richiede lo specifico intento di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilità di danno potenzialmente derivante alle ragioni creditorie, e, infatti, si è ripetutamente
affermato che il dolo può essere diretto, ma anche indiretto o eventuale, quando il soggetto agisca anche a costo, a rischio di subire una ~Itamente probabile se non certa ( Sez. 5 n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273825; Sez. 5 n. 14783 del 09/03/2018, Rv. 272614; Sez. 5 n. n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739; Sez. 5 n. 10941 del 20/12/1996, Rv. 206542).
2.3. Ricorrendo una situazione di c.d. doppia conforme di merito, in cui la sentenza impugnata e quella di primo grado si integrano tra loro (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Rv. 209145), cosicchè, la motivazione deve essere apprezzata congiuntamente ( Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), il ricorrente avrebbe dovuto confrontarsi con la sentenza di primo grado che ha osservato come non possano nutrirsi dubbi sulla consapevolezza in capo all’imputato, amministratore unico e autore delle appostazioni in bilancio, di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella della garanzia delle obbligazioni contratte.
Non ha pregio neppure la censura in merito alla prova del dolo specifico della bancarotta documentale. La sentenza ha ben applicato al caso di specie il principio giurisprudenziale secondo il quale in tema di bancarotta fraudolenta documentale cd. “specifica”, lo scopo di recare pregiudizio ai creditori può essere desunto anche dall’irreperibilità dell’amministratore, a condizione che ad essa si accompagnino ulteriori indici di fraudolenza, quali la distrazione dei beni aziendali (Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022 – dep. 2023, Rv. 283983).
Quanto alle deduzioni relative alla bancarotta impropria da operazioni dolose, integrata dalla sistematica omissione di versamento delle imposte e dei contributi previdenziali, per molti anni, il motivo risulta inammissibile, atteso che, come emerge dalla sentenza impugnata, “non risulta svolto alcun motivo di appello”. In ogni caso, la sentenza impugnata ha dato atto di come l’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario abbia caratterizzato l’intera vita della società circostanza dalla quale fondatamente la Corte di appello ha tratto elementi di fatto significativi della scelta consapevole dell’imputato di sottrarsi al pagamento degli oneri fiscali e contributivi, quale preordinata strategia aziendale adottata per l’intero periodo di operatività della società fallita.
4.1. E’ costante orientamento della giurisprudenza di legittimità la qualificazione di operazione dolosa data al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Rv. 261684; conf. tra le altre, Sez. 5, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Rv. 270046; Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014, Rv. 260492; Sez. 5,
n. 35093 del 04/06/2014, Rv. 261446; Sez. 5 n. 12426 del 29/11/21013, dep.
2014, Rv. 259997; Sez. 5, n. 17355 del 12/03/2015, Rv. 264080).
4.2. Sotto il profilo psicologico, specificamente attinto dal ricorso, è noto che l’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria
non comprende la previsione e accettazione del fallimento, ma solo la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa
rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc.
COGNOME, Rv. 261446), essendo sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o infedeltà nell’esercizio della
carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità della decozione ( Sez. 5
n. n. 45672 del 1/10/2015, Rv. 265510; conf,. Sez. 5 n. 38728 del 3/04/2014,
Rv. 262207); Sez. 5, n. 17690/2010 cit.).
5. Al rigetto del ricorso segue, ex lege,
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 19 marzo 2025 Il Consi GLYPH re estenso la condanna del ricorrente al