Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14420 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14420 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a TREVISO il 29/12/1953 e da quest’ultimo
ed in cui sono parti civili anche:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE DUE
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
AGENZIA DELLE ENTRATE
avverso la sentenza del 12/01/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Procuratore Generale NOME COGNOME che si è riportato alla requisitoria in atti, concludendo per il rigetto dei ricorsi.
uditi i difensori:
Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE, si riporta al ricorso ed alla memoria di replica depositata e che ha depositato conclusioni e note spese per le altre parti civili che rappresenta RAGIONE_SOCIALE
Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto la conferma integrale sentenza impugnata e che ha depositato conclusioni e note spese.
Avvocato NOME COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto la conferma integrale sentenza impugnata e ha depositato conclusioni e note spese.
Avvocato NOME COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE che si è associato alle conclusioni del Procuratore Generale, chiedendo la conferma integrale sentenza impugnata e depositando conclusioni e note spese.
Avvocato NOME COGNOME quale sostituto dell’avv. NOME COGNOME che, per RAGIONE_SOCIALE, si riporta alle conclusioni scritte e, quale difensore di RAGIONE_SOCIALE, si riporta alle conclusioni del Procuratore Generale associandosi alle sue richieste e depositando conclusioni e nota spese.
Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per la RAGIONE_SOCIALE che ha depositato conclusioni scritte, alla quali si è riportato, e nota spese delle quali ha chiesto la liquidazione.
Avvocato NOME COGNOME per l’imputato ricorrente, il quale si è riportato a tutti i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La pronunzia impugnata è stata deliberata il 12 gennaio 2023 dalla Corte di appello di Venezia, che ha riformato parzialmente la decisione del Tribunale di
Treviso che aveva condannato NOME COGNOME – anche agli effetti civili – per alcuni reati commessi in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE” (di seguito NES), di cui il predetto era presidente del consiglio di amministrazione, società dichiarata in stato di insolvenza dal Tribunale di Treviso il 24 ottobre 2013 ai sensi dell’art. 3, I. 8 luglio 1999, n. 270.
Secondo quanto si ricava dalle sentenze di merito, la NES – società di grande rilievo nel settore di riferimento – svolgeva, per quanto di interesse in questa sede, attività di custodia, trasporto, movimentazione e conta di valori, agendo su mandato di banche, supermercati e grandi operatori commerciali, provvedendo a prelevare, contare, selezionare, lavorare, custodire e movimentare il contante secondo le istruzioni impartite dai committenti. Per lo svolgimento di tale attività, la NES si avvaleva di tredici strutture, denominate caveau o sale conta, dove le banconote e le monete metalliche venivano contate, catalogate e confezionate grazie a sistemi automatizzati.
1.2. All’imputato erano contestati i seguenti addebiti.
Delitti di cui agli artt. 216, comma 1, nn.1 e 2, 223, commi 1 e 2 nn. 1) e 2) legge fall. perché, nella qualità di cui sopra, aveva:
distratto dal patrimonio della NES denaro contante per un importo che si aggira intorno ai 36 milioni di euro, condotta attuata nel corso di circa diciotto anni, facendosi consegnare somme che il dipendente COGNOME prelevava materialmente dai caveau della NES e contestualmente affidando a COGNOME assegni tratti sul conto corrente della società; le somme prelevate dai caveau erano servite a finanziare sia spese personali del Compiano – in particolare rilevantissimi acquisti di beni vari (autoveicoli, motoveicoli, biciclette, natan crocefissi e altro) RAGIONE_SOCIALE sia società riconducibili al prevenuto, sia la stessa NES;
tenuto le scritture contabili della NES in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, facendo istituire il conto denominato NESDIR – sul quale veniva indicata la giacenza fittizia del contante illecitamente sottratto ai caveau – e omettendo di contabilizzare i debiti di restituzione in relazione ai contanti di spettanza dei depositanti (condotta ben descritta a pag. 6 sentenza di primo grado).
cagionato il dissesto della NES omettendo, nonostante i ripetuti richiami del Collegio sindacale, di esigere il pagamento dei crediti vantati dalla NES nei confronti di alcune società, tra cui la RAGIONE_SOCIALE proprietaria del parco auto acquistato con i contanti indebitamente prelevati, in violazione dell’obbligo di cui all’art. 2634 cod. civ.
delitto di cui all’art. 4 d.lgs. 74 del 2000 perché, nelle dichiarazioni de redditi dall’anno 2006 all’anno 2012, indicava elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo, non denunziando anche i redditi illeciti derivanti dall condotte di cui al capo A, prima parte.
1.3. Per quanto di interesse ai fini dell’esame dei motivi di ricorso, si segnala che il Giudice dell’udienza preliminare, in sede di rinvio a giudizio, aveva ritenuto che la condotta distrattiva di cui al capo A, prima parte (quella concernente la distrazione delle somme depositate dai clienti della società nei caveau), andasse riqualificata in appropriazione indebita ai danni dei depositanti, posizione non condivisa né dal Tribunale, né dalla Corte di appello, che, con riferimento a detta condotta, hanno, rispettivamente, condannato l’imputato e confermato la condanna per l’ipotesi di bancarotta patrimoniale.
In primo grado, quindi, il prevenuto era stato condannato per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva, documentale e impropria, nonché per il reato di cui all’art. 4 d.lgs 74 del 2000 per le annualità 2010, 2011 e 2012, mentre, per quelle più risalenti, il Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere per prescrizione. La riforma in appello è consistita nella declaratoria di prescrizione in ordine al reato di cui all’art. 4 d.lgs 74 del 2000 anche per le annualità 2010 e 2011, con conseguente rimodulazione in mitius del trattamento sanzionatorio e riduzione del quantum della confisca di valore. Per il resto, la sentenza di primo grado è stata confermata; sono stati respinti sia i restanti motivi di appello dell’imputato, sia quelli dell’unica ulteriore parte appellante, la parte civi RAGIONE_SOCIALE
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia l’imputato che la parte civile RAGIONE_SOCIALE
L’imputato, per mezzo del suo difensore di fiducia, ha articolato quindici motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva (capo A, prima parte).
Ricorda il ricorrente che il Giudice dell’udienza preliminare aveva riqualificato tale condotta in quella di cui all’art. 646 cod. pen. sicché, all’udienza del 12 dicembre 2019, la difesa aveva sollecitato il Tribunale a dare corso all’informativa alla persona offesa imposta dalla normativa transitoria di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs 10 aprile 2018 n. 36, in quanto l’appropriazione indebita, per come ritenuta dal Giudice dell’udienza preliminare, era divenuta procedibile a querela di parte a seguito della novella. Il Tribunale aveva respinto la mozione difensiva, sostenendo che fosse contestata in fatto la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7), cod. pen. – la rilevante entità del danno circostanza che sarebbe poi stata formalmente contestata dal pubblico ministero solo alla successiva udienza del 16 luglio 2020.
La Corte distrettuale, investita da un motivo di appello sul punto, ha giustificato la scelta del primo Collegio, sostenendo che l’entità del danno – 36 milioni di euro – sarebbe eloquente della sussistenza dell’aggravante, contravvenendo così – assume la parte ricorrente – agli insegnamenti della giurisprudenza di questa Corte, che non ritiene univocamente significativa in tal senso la mera indicazione dell’importo della somma sottratta; tenuto altresì conto che sarebbe stato necessario fare riferimento al caso concreto, all’entità di ogni singolo prelievo e al danno causato a ciascuna delle persone offese. A sostegno della censura, la parte ricorrente evoca vari precedenti di questa Corte, tra cui Sezioni Unite Sorge.
Conclude il ricorrente sostenendo che, stante la procedibilità a impulso di parte, la mancata informativa alle persone offese non consentiva di procedere per appropriazione indebita per difetto di querela.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. e concerne il diniego della richiesta di non doversi procedere per prescrizione rivolta al Tribunale dalla difesa dell’imputato all’udienza del 17 settembre 2020, richiesta fondata sulla circostanza che l’istruttoria dibattimentale – i cui esiti il ricorso richiama dettagliatamente – aveva chiarito che l’ultimo prelievo indebito risaliva al 23 febbraio 2012, donde il reato di cui all’art. 646 cod. pen. si era prescritto il 10 gennaio 2020, pur tenendo conto della sospensione legata al rinvio per astensione dei difensori dal 9 maggio al 26 settembre 2019.
Il Tribunale, allorché aveva ritenuto di poter qualificare il fatto come bancarotta, aveva eluso il disposto dell’art. 129 cod. proc. pen. – che impone di pronunziare immediatamente sentenza – rinviando all’esito dell’istruttoria la sua decisione; la scelta della Corte di appello, che aveva ritenuto legittimo il potere del decidente di riqualificare il fatto in via anticipata rispetto alla decisione fin sarebbe errata. Anche in questo caso, a supporto della propria tesi, il ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, sulla portata della regola decisoria di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
In un secondo segmento del motivo di ricorso, si affronta la questione dell’individuazione del dies a quo della prescrizione del reato di cui all’art. 646 cod. pen., che la Corte di appello non ha trattato in quanto ha risolto la questione a monte, stimando legittima la scelta del Tribunale di ritenere configurabile la bancarotta. Il ricorrente tiene, comunque, ad esporre quali fossero le critiche alla seconda delle rationes decidendi della sentenza del Tribunale, che sosteneva lo spostamento in avanti del dies a quo della prescrizione, sul fallace presupposto che il momento consumativo del reato di cui all’art. 646 cod. pen. coincida con quello in cui il proprietario chiede invano la
restituzione del bene. Richiamando giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente insiste, invece, sul fatto che l’omessa restituzione non è il momento consumativo, ma costituisce solo un indicatore di una pregressa attività appropriativa. Nel caso di specie, l’atto di dominio sintomatico dell’interversio possessionis sarebbe costituito dal prelievo delle somme dai caveau per destinarle a spese personali.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge sostanziale e processuale in ordine alla reiezione dell’eccezione difensiva circa l’indeterminatezza del capo di imputazione sub A), prima parte, già proposta in primo grado e reiterata in appello.
Il ricorrente esordisce sostenendo che anche il Giudice dell’udienza preliminare, come il Giudice del dibattimento, ha un potere di riqualificazione analogo a quello previsto dall’art. 521 cod. proc. pen., per poi assumere che, poiché il Giudice dell’udienza preliminare di Treviso aveva riqualificato la bancarotta fraudolenta distrattiva in appropriazione indebita, ma l’imputazione era rimasta quella originaria, in primo grado vi sarebbe stato un vulnus all’esercizio del diritto di difesa, in quanto l’imputato si era trovato al cospetto un capo di imputazione non chiaro e preciso, siccome riferito all’imputazione di bancarotta. Secondo il ricorrente, la circostanza che fosse stata la sua difesa ad invocare la riqualificazione non implica che non avesse il diritto di confrontarsi con l’enunciazione del fatto nei termini imposti dall’art. 429, comma 1 lett. c), codice di rito, diritto sancito anche dalla nostra Costituzione, dalla CEDU, dalla Direttiva 2012/13/UE del Parlamento e del Consiglio del 22 maggio 2012 sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
L’indeterminatezza della contestazione – prosegue il ricorso – si apprezzerebbe anche da un altro punto di vista, laddove nel capo di imputazione è solo indicato che i prelievi sono avvenuti «in plurime occasioni e in numerosi anni (18)», ma senza specificare esattamente quando e come, mentre almeno sarebbe stato necessario elencare i singoli prelievi e la persona offesa di ciascuno; ciò sarebbe stato possibile attraverso il richiamo alle annotazioni del conto NESDIR, che avrebbero permesso di ricostruire agevolmente ogni singola movimentazione.
Nessuna funzione chiarificatrice può essere attribuita al mero richiamo agli assegni bancari, che nel capo di imputazione sono menzionati in maniera del tutto generica. In ogni caso sia il conto RAGIONE_SOCIALE che i titoli erano stati acquisiti a fascicolo del dibattimento solo in un momento successivo alla proposizione delle eccezioni.
Contesta, quindi, il ricorrente che la Corte di appello non abbia dichiarato la nullità della sentenza di primo grado.
2.4. Il quarto motivo di ricorso deduce violazione di legge processuale e sostanziale e si rivolge al passaggio della decisione avversata in cui la Corte ha ritenuto che una proposizione dell’appello contenesse l’ammissione che il fatto storico era rimasto invariato. Tale circostanza non è rilevante, posto che, come sostenuto da questa Corte, la qualificazione di un fatto da appropriazione indebita a bancarotta integra un’ipotesi di diversità del fatto sussumibile nella figura di cui all’art. 516 cod. proc. pen. il che – sostiene il ricorrente citando alcune sentenze di legittimità – avrebbe imposto la restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del Tribunale, affinché la parte pubblica procedesse per il diverso reato di bancarotta.
2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilità circa la bancarotta fraudolenta distrattiva.
Il ricorso affronta, in primo luogo, i vari snodi del ragionamento che la Corte territoriale ha svolto per validare il costrutto del Tribunale, secondo cui contante depositato nei caveau per conto dei committenti era entrato nel patrimonio della società fallita, onde ritenerlo poi distratto dall’imputato.
Secondo il ricorrente, non sarebbe un valido discrimine la collocazione dei denari all’interno o all’esterno dei caveau, né varrebbe a farli ritenere confluit nel patrimonio della NES la circostanza – valorizzata dalla Corte di merito – che essi fossero stati oggetto di appropriazione o, comunque, che ne fosse stato fatto un uso non conforme agli accordi. Da questo punto di vista, il ricorrente si duole del silenzio serbato dalla Corte territoriale circa i provvedimenti de Tribunale di Treviso, versati in atti, che avevano accolto le domande di rivendica dei depositanti, escludendo che le condotte appropriative di Compiano avessero immutato il titolo che giustificava la detenzione del contante da parte di NES. Il ricorrente, inoltre, esprime meraviglia per la pretermissione, da parte della Corte distrettuale, delle dodici sentenze di questa Corte che avevano rigettato le impugnazioni del Commissario straordinario di NES tese alla riforma dei decreti di cui sopra del Tribunale fallimentare (circostanze segnalate alla Corte di appello con memoria depositata il 28 ottobre 2022 e sentenze prodotte all’udienza del 7 novembre 2022). Il ricorrente rimarca, quindi, che la sentenza della Corte di cassazione citata nella decisione avversata non sarebbe conferente in quanto, in quel caso, la società fiduciaria aveva avuto la facoltà di servirsi dei cespiti a affidati, potere mai riconosciuto in capo alla NES, che aveva stipulato un contratto di deposito regolare.
Quanto alle somme sottratte ai caveau e riversate nei conti della NES, il ricorso dubita della comprensibilità del relativo passaggio della decisione avversata, sostenendo che tali somme, una volta effettivamente entrate nel patrimonio della NES, non erano state distratte, ma utilizzate per pagare imposte, tasse e contributi.
2.6. Il sesto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e concerne il tratto della sentenza impugnata che si occupa del coefficiente soggettivo della bancarotta patrimoniale, evidenziandone la non correttezza in ragione della mancanza di attività distrattiva, donde COGNOME aveva solo la volontà di appropriarsi dei denari dei depositanti.
2.7. Il settimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e riguarda la bancarotta fraudolenta documentale. L’assunto della Corte di merito circa la compiacenza delle dichiarazioni liberatorie di COGNOME a proposito della non consapevolezza, in capo a Compiano, dell’esistenza del conto NESDIR, sarebbe smentito da dati oggettivi. COGNOME, ancorché ripetutamente compulsato dal Presidente del Collegio, aveva sempre risposto che COGNOME non era consapevole dell’esistenza del conto, versione confermata dal silenzio del teste COGNOME che la Corte territoriale non menziona.
Il ragionamento della Corte distrettuale sul punto sarebbe congetturale e non avrebbe tenuto conto che il conto NESDIR era facilmente accessibile.
2.8. L’ottavo motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto all’inclusione, nelle scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 2214 c civ., del conto NESDIR. Dopo una premessa sul significato e sulla funzione delle scritture contabili e del bilancio, la parte sostiene che, poiché le prim fotografano fatti di gestione destinati a confluire nel bilancio, il conto NESDIR non poteva ritenersi tale appunto perché le scritturazioni ivi contenute non avevano questo scopo, siccome il contante le cui movimentazioni erano annotate non rientrava nell’attivo della società, come precisato in udienza dal presidente del Collegio sindacale COGNOME, dal Commissario straordinario COGNOME e del consulente della difesa Prof. COGNOME
2.9. Il nono motivo di ricorso lamenta violazione di legge e travisamento della prova e ritorna sulla questione del conto NESDIR. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale quando ha affermato che la ricostruzione contabile è stata possibile solo attraverso indagini particolarmente complesse, l’impugnativa sottolinea che, proprio attraverso il conto NESDIR, era stato possibile accertare prontamente i prelievi dei contanti depositati, come sostenuto sia dal Commissario all’udienza del 20 febbraio 2020, sia dalla Guardia di Finanza.
2.10. Il decimo motivo di ricorso deduce violazione di legge ancora sulla bancarotta fraudolenta documentale, ricordando la tesi sostenuta quanto alla riconducibilità del fatto, al più, al reato di falso in bilancio.
Il ricorso, quindi, contesta la condanna per bancarotta fraudolenta distrattiva anche perché violativa del principio nemo tenetur se detegere, se come sostenuto dalle parti civili – Compiano avrebbe dovuto annotare nei conti d’ordine gli obblighi di restituzione nei confronti dei clienti.
2.11. L’undicesimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta impropria per mancata esazione dei crediti vantati dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di altre società. Assume il ricorrente che sia emerso inconfutabilmente che il dissesto non fosse stato provocato dalla mancata esazione dei crediti, come da relazione del Commissario straordinario, del consulente della difesa e dei consulenti del pubblico ministero. Il ricorrente contesta, quindi, che la Corte territoriale abbia inteso che il predetto argomento di censura fosse stato abbandonato, essendo invece connesso a quello del dolo, esplicitamente affrontato. Quanto a quest’ultimo, il ricorrente osserva che, se il dissesto della NES si era già determinato precedentemente e per altre cause, non poteva sussistere la sua volontà di cagionarlo omettendo di riscuotere il dovuto. A quest’ultimo riguardo, la parte contesta la distinzione della Corte di appello tra dolo bilivello e dolo trilivello. Non si comprende – prosegue il ricorso – perché COGNOME volesse arrecare intenzionalmente un danno alla NES quando, invece, la sua precisa volontà era quella di non farla fallire. Inoltre non è dato riscontrare, nella condotta di Compiano, la «disposizione di beni sociali» di cui alla norma incriminatrice.
2.12. Il dodicesimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto al reato tributario e contesta l’interpretazione che la Corte di merito ha dato alla sentenza della Corte edu riportata nell’atto di appello.
2.13. Il tredicesimo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. Lascia “basiti” si legge nel ricorso – che la Corte distrettuale abbia svalutato la consulenza di parte del Prof. COGNOME solo perché non aggiornata, senza tenere conto che si procedeva per fatti anteriori all’inizio del procedimento; inoltre, il dubbio circa correttezza del metodo adoperato dal consulente avrebbe dovuto ridondare a favore dell’imputato e non contro di lui. A seguire, il ricorso lamenta che l argomentazioni della Corte distrettuale sarebbero retoriche e imperscrutabili e richiama un passaggio della consulenza COGNOME circa l’impoverimento della capacità decisionale del prevenuto, affetto da un disturbo ossessivo compulsivo.
2.14. Il quattordicesimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fall. e richiama nuovamente il precedente di questa Corte su cui la parte aveva fondato la richiesta di esclusione della circostanza, siccome non applicabile alla bancarotta impropria.
2.15. Il quindicesimo motivo di ricorso lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto all’importo dell provvisionale liquidata.
Il ricorso proposto nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE è fatto di un unico motivo, con cui si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla commisurazione della provvisionale, quantificata in soli 20.000 euro a fronte della richiesta, documentata, per 1.500.000 euro.
La ricorrente si duole che, nonostante il materiale offerto al Tribunale e alla Corte di appello quanto al danno subito, si fosse ritenuto che tale danno non fosse stato dimostrato. In particolare era stato comprovato l’incremento dei premi assicurativi che la società era stata costretta a pagare dopo i fatti. Sostiene, inoltre, la parte che la Corte di appello avrebbe posto a carico della ricorrente l’onere di provare l’assenza di ulteriori elementi probatori ostativi al immediata liquidazione della somma richiesta come provvisionale.
li primo febbraio scorso, l’Avv. COGNOME per il ricorrente Compiano, ha depositato memoria con motivo aggiunto, cui ha allegato alcuni provvedimenti giudiziari.
Il motivo insiste sul tema della riconducibilità della distrazione di cui al cap A) primo punto al reato di cui all’art. 646 cod. pen. Il ricorrente rappresenta che 450 autovetture acquistate dall’imputato sono state vendute all’asta dal Commissario straordinario di NES, con un ricavo di 45 milioni di euro, di cui 22 milioni circa sono stati confiscati. Con il ricavo delle vendite è stato pagato anche il debito erariale di 15.699.929 euro di cui alla confisca disposta dalla Corte di appello di Venezia il 30 marzo 2017 nel procedimento per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs 74 del 2000 (sentenza allegata, in uno alla decisione di questa Corte che l’ha resa irrevocabile). Tale sentenza della Corte di appello di Venezia ha definitivamente affermato che il denaro sottratto dall’imputato non è mai entrato nel patrimonio della NES, ma è rimasto di sua proprietà. In conseguenza di ciò, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, il 3 agosto 2023, aveva chiesto ed ottenuto il dissequestro dei restanti beni di proprietà del prevenuto. La sentenza impugnata – prosegue la parte – sarebbe, dunque, affetta da violazione degli artt. 648, 651 e 275 cod. proc. pen. La Corte
di appello di Venezia aveva valorizzato che la Autocom era solo uno schermo fittizio sicché sulla qualificazione giuridica dei prelievi in denaro dell’imputa sarebbe «calato il giudicato penale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è parzialmente fondato quanto, in particolare, alla bancarotta fraudolenta distrattiva mentre, per il resto, esso è complessivamente infondato e va pertanto respinto.
Il ricorso della parte civile RAGIONE_SOCIALE è, invece, inammissibile.
Il ricorso di Compiano si diffonde innanzitutto – nei primi quattro motivi – in una serie di questioni anche di ordine processuale quanto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo A, prima parte, che vanno affrontate nonostante, per tale condotta, il Collegio oggi abbia deliberato l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. L’accoglimento delle doglianze in parola, infatti, per motivi diversi, avrebbe determinato l’annullamento sia della decisione della Corte di appello oggi al vaglio del Collegio, sia della sentenza di primo grado.
1.1. Prima di misurarsi con le varie censure, va sottolineato – a sgomberare il campo da qualsiasi equivoco sul punto, equivoco in cui pare incorrere anche la Corte territoriale a pag. 9 della pronunzia impugnata – che il Giudice dell’udienza preliminare ha riqualificato l’imputazione in oggetto nel reato di cui all’art. 646, comma 3, cod. pen. all’esito dell’udienza preliminare, nell’esercizio d una prerogativa che gli è riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017, COGNOME, P.v. 270521). A tale conclusione conduce la semplice lettura del decreto che dispone il giudizio, ove tale decisione è testualmente indicata, a prescindere dalla singolare scelta del decidente di aggiungere, solo il giorno dopo, una postilla esplicativa delle ragioni per cui vi era stata detta riqualificazione.
Ne consegue che il rinvio a giudizio è avvenuto per il reato di appropriazione indebita aggravata e che è per tale ipotesi di reato che si è celebrato il giudizio d primo grado, salva poi la nuova riqualificazione in bancarotta fraudolenta distrattiva avvenuta ad opera del Tribunale, riqualificazione avallata dalla Corte di appello.
1.2. La prima questione che il ricorrente pone è quella del mancato riscontro, da parte del Tribunale, alla richiesta della difesa di dare cors all’informativa alle persone offese imposta dalla normativa transitoria di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs 10 aprile 2018 n. 36, in quanto l’appropriazione
indebita, per come ritenuta dal Giudice dell’udienza preliminare, era divenuta procedibile a querela di parte a seguito della novella predetta.
1.2.1. A tal proposito, va ulteriormente premesso che, all’epoca in cui vi è stata l’eccezione difensiva (12 dicembre 2019), era vigente il testo degli artt. 646 e 649-bis cod. pen. dovuto alla modifica ex I. 10 aprile 2018, n. 36 e a quella successiva ex I. 9 gennaio 2019, n. 2; per vagliare la correttezza della decisione della Corte distrettuale sul punto è, dunque, a tale assetto che occorre fare riferimento, anche se, successivamente, in particolare con il d.lgs 10 ottobre 2022, n. 150, la disciplina è ulteriormente mutata.
Ebbene, a lume della disciplina applicabile ratione temporis GLYPH per quanto di interesse in questa sede – il reato di cui all’art. 646 cod. pen. era procedibile di ufficio ove ricorressero, congiuntamente, le circostanze aggravanti di cui ai nn. 7 e 11 dell’art. 61 cod. pen. Secondo quanto è dato constatare dagli atti consultabili, il Tribunale, al cospetto della mozione della difesa dell’imputato ritenne che non occorresse dare corso all’informativa alle persone offese perché reputò contestata in fatto la circostanza aggravante del danno di rilevante gravità – con conseguente procedibilità d’ufficio del reato – posizione condivisa dalla Corte territoriale quando ha dato riscontro al corrispondente motivo di appello.
1.2.2. Tanto premesso, il Collegio ritiene che la delibazione sul motivo di ricorso non imponga di vagliare la correttezza di tale scelta, dal momento che la doglianza oggi sub iudice non supera il vaglio di ammissibilità per una prima, assorbente ragione, ossia perché non chiarisce a quali, tra le persone offese, si riferisse la necessità di dare l’informazione e, di conseguenza, dove mancasse la condizione di procedibilità cui l’informativa era funzionale.
Ciò è tanto più significativo in presenza di due ulteriori constatazioni.
La prima è che, dalla sentenza di primo grado (pag. 4), emergeva che gli istituti di credito avevano presentato querela, il che avrebbe reso, rispetto a loro, del tutto superfluo l’avviso.
La seconda è che tale avviso non era dovuto per le persone offese che si erano costituite parte civile, dal momento che tale costituzione costituiva una manifestazione di volontà punitiva che pure lo avrebbe reso superfluo. A questo proposito va richiamato il principio espresso da Sez. 5, n. 44114 del 10/10/2019, COGNOME, Rv. 277432, secondo cui «In tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 apri 2018, n. 36, la disciplina transitoria di cui all’art. 12, comma 2, del medesimo decreto, che prevede l’avviso alla persona offesa per l’eventuale esercizio del diritto di querela, non va applicata quando la persona offesa abbia già
manifestato la volontà di punizione del reo, costituendosi parte civile e persistendo in tale costituzione nei successivi gradi di giudizio».
Le due circostanze suddette, dunque, avrebbero reso quanto mai necessaria la specifica indicazione delle persone offese cui si riferiva la sollecitazione, tropp vago essendo il riferimento di pag. 10 del ricorso a «tutte le persone offese».
Il secondo motivo di ricorso – che concerne il diniego della richiesta di non doversi procedere per prescrizione del reato di cui all’art. 646 cod. pen., avanzata dalla difesa dell’imputato all’udienza del 17 settembre 2020 – è ugualmente inammissibile, anche in questo caso a prescindere dalle considerazioni che a questo aspetto hanno dedicato il Tribunale e la Corte di merito, sia nell’affrontare l’ambito dell’invocata delibazione ex art. 129 cod. proc. pen., sia nell’individuare il momento consumativo del reato di cui all’art. 646 cod. pen.
La ragione dell’inammissibilità è legata alla circostanza che la pretesa retrodatazione della data del commesso reato all’ultimo dei prelievi di banconote dai caveau presuppone un vaglio di merito che non è consentito nel giudizio di legittimità. Ciò in quanto, dagli unici dati che, in assenza di una denunzia di travisamento della prova, la Corte di cassazione può valutare, ossia le sentenze di primo e secondo grado, la collocazione temporale dei prelievi non è individuabile con la dovuta precisione; ne è riprova la circostanza che, per sostanziare la doglianza di legittimità, il ricorrente abbia avvertito la necessità trascrivere nel ricorso brani delle deposizioni dibattimentali o di evocare alcune produzioni documentali, da cui questa Corte dovrebbe arguire i necessari riferimenti temporali, ma il cui apprezzamento comporterebbe una non consentita incursione nel merito.
Il terzo motivo di ricorso denunzia l’indeterminatezza del capo di imputazione su cui si era svolto il giudizio di primo grado una volta avvenuta la riqualificazione ad opera del Giudice dell’udienza preliminare in appropriazione indebita, ferma restando la contestazione in fatto come strutturata dal pubblico ministero. Più precisamente, sembra che il ricorrente – in un primo segmento del motivo di ricorso – si dolga della circostanza che il giudizio di prime cure si fosse svolto sulla base di una contestazione non chiara perché formulata in relazione al delitto di cui all’art. 216 legge fall. e rimasta immutata pur a segui della riqualificazione nel reato di cui all’art. 646 cod. pen.; e che poi – n secondo tratto del medesimo motivo – la censura di indeterminatezza riguardi la
pretesa di vedere precisamente contestualizzate cronologicamente le singole appropriazioni/distrazioni.
Tale ragione di censura è infondata.
3.1. Giova a questo punto premettere che, trattandosi di questione di ordine processuale, questa Corte è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito dal Giudice di merito per giustificarla; la Corte di cassazione, infatti, in presenza di una censura di carattere processuale, può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice a quo e, anche accedendo agli atti, deve valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand’anche non correttamente giustificata o giustificata solo a posteriori (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 255515; in termini, Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME ed altri, Rv. 221322). Per addivenire a questo risultato, a questa Corte è riconosciuto il ruolo di Giudice «anche del fatto», che, per risolvere la questione in rito, può e deve accedere all’esame dei relativi atti processuali, viceversa precluso quando si tratti di vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F e altri, Rv. 273525; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304).
3.2. Venendo al concreto della doglianza, in primo luogo non è senza rilievo che la riqualificazione da parte del Giudice dell’udienza preliminare del medesimo fatto storico da bancarotta ad appropriazione indebita sia avvenuta su richiesta della stessa difesa del prevenuto e che l’addebito, nei suoi contorni storici essenziali, fosse ben definito nell’incolpazione, mutando solo il soggetto da considerarsi persona offesa del reato ed essendo estranea e, quindi, al più, ultronea, rispetto alla struttura del reato di cui all’art. 646 cod. pen. su cui parti erano chiamate a confrontarsi, la sentenza dichiarativa di fallimento. A questo riguardo il Collegio intende dare seguito alla persuasiva giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consenti all’imputato di difendersi (tra le altre, Sez. 5, n. 16993 del 02/03/2020, COGNOME Rv. 279090 ; Sez. 5, n. 6335 del 18/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258948; Sez. 2, n. 16817 del 27/03/2008, COGNOME e altri, Rv. 239758).
In secondo luogo, nel lamentare la mortificazione delle proprie prerogative difensive circa la precisa contestualizzazione temporale delle sottrazioni, il ricorso pare trascurare un dato di indubbia, estrema rilevanza, vale a dire che Compiano aveva ammesso tutte le condotte, il che fa scolorire la portata critica
delle censure contenute, sul punto, nel ricorso perché lascia fondatamente dubitare dell’incidenza negativa della contestazione rispetto all’esercizio del diritto di difesa. Peraltro la risposta della Corte distrettuale non è errata laddo ha fatto riferimento alla precisione della contestazione siccome riferita all’attiv nell’ambito della quale l’imputato commetteva i reati e alla fascia di tempo in cui essa è avvenuta, il che risponde ad una tecnica redazionale dei capi di imputazione comunemente utilizzata quanto a reati che si sostanziano in una pluralità di condotte analoghe e reiterate nel corso di un periodo più o meno lungo di tempo.
Infine non è da sottovalutare un altro aspetto legato al richiamo, che si coglie nel secondo tratto del capo A) di imputazione (quello relativo alla bancarotta fraudolenta documentale) al conto NESDIR come quello con il quale si era cercato di occultare le distrazioni appena sopra indicate; ciò significa che nel medesimo capo di imputazione, vi era il riferimento ad un atto del procedimento, noto alle parti, che conteneva il riepilogo delle pluriennali sottrazioni di denaro e che costituisce un altro indicatore della messa a disposizione dell’imputato dei dati su cui costruire la propria linea difensiva. Collegio, a quest’ultimo riguardo, intende ribadire un principio già ripetutamente espresso da questa Corte, secondo cui, ai fini della completezza dell’imputazione, è sufficiente che il fatto sia contestato in modo da consentire la difesa i relazione ad ogni elemento di accusa, sicché è legittimo il ricorso al rinvio agl atti del fascicolo processuale, purché si tratti di atti intellegibili, non equiv conoscibili dall’imputato (Sez. 5, n. 10033 del 19/01/2017, COGNOME e altro, Rv. 269455; Sez. 5, n. 54159 del 21/09/2016, COGNOME, Rv. 268752). A conferma che il richiamo al conto NESDIR che si coglie nell’imputazione fosse dotato di una valenza esplicativa, il Collegio osserva che lo stesso ricorrente ha fatto riferimento proprio a tale conto come momento potenzialmente chiarificatore (cfr. pag. 38 del ricorso), senza che abbia rilievo – come pare sostenere il ricorrente – quando questo elemento sia stato documentato rispetto all’organo decidente con la relativa produzione al fascicolo del dibattimento, momento che rappresenta solo la messa a disposizione del Collegio di merito del documento e non quello a partire dal quale esso era a conoscenza della difesa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 521 cod. proc pen. perché Compiano sarebbe stato condannato per un fatto diverso da quello di cui al rinvio a giudizio.
Anche l’analisi di questa censura vede questa Corte Giudice del fatto processuale, a prescindere da come l’abbia affrontata e risolta la Corte di merito.
Ebbene, la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun Hope, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673).
Se la posizione della giurisprudenza della Corte di cassazione è attestata su questa esegesi, la censura mostra tutti i suoi limiti in quanto pretenderebbe di ravvisare una pregiudicante immutazione del fatto nella condanna per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, benché fosse proprio questa l’imputazione formulata dal pubblico ministero, imputazione su cui si era svolta l’udienza preliminare e sulla quale, nonostante la riqualificazione attuata dal Giudice dell’udienza preliminare, si era realizzato il contraddittorio delle parti quest’ultimo proposito, il Collegio ritiene che il concreto esercizio del diritto difesa sulla contestazione di bancarotta e la permanente centralità del tema della scelta tra le due configurazioni giuridiche sia evincibile dagli stessi temi difensiv che testimoniano di un costante confronto tra le parti sulla – non facile – scelta e dalla “dichiarazione di intenti” del Tribunale quando, il 17 settembre 2020, aveva affrontato l’eccezione difensiva circa la maturazione del termine prescrizionale per il reato di cui all’art. 646 cod. pen., allorché aveva affermat che sarebbe stato necessario il dibattimento per comprendere se si trattasse di quest’ultimo reato o dì bancarotta.
5. Il ricorso è, invece, fondato quando – sia con i motivi principali che con quello aggiunto – si duole del vizio di motivazione della sentenza impugnata quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva.
La sentenza impugnata, infatti, presenta lacune e aporie motivazionali che non rendono sufficientemente delineato il ragionamento che ha condotto la Corte territoriale a ritenere che si sia trattato di bancarotta patrimoniale e non già appropriazione indebita, come ritenuto dal Giudice dell’udienza preliminare allorché aveva riqualificato l’originaria contestazione ex art. 216 legge fall.
La tesi della difesa è chiara: i denari depositati dai clienti della RAGIONE_SOCIALE sottratti negli anni da Compiano non erano mai entrati nel patrimonio sociale, dato il rapporto contrattuale – di deposito regolare, quindi, senza trasferimento di proprietà – che legava i clienti alla società depositaria; in assenza, dunque, dell’ingresso delle somme nel patrimonio sociale, la sottrazione di esse non aveva costituito depauperamento di quest’ultimo, ma appropriazione ai danni dei clienti.
Ebbene, la scelta del Collegio di annullare, in parte qua, la decisione avversata riposa su varie, concorrenti ragioni.
5.1. Lo scrutinio della Corte di merito presta il fianco alle critiche ricorrente, in primo luogo, perché ha completamente omesso qualsivoglia confronto con dei dati estremamente significativi, che i Giudici di appell avrebbero dovuto specificamente esaminare, vale a dire i diversi e convergenti provvedimenti della Corte di cassazione in sede civile che hanno riguardato i rapporti tra la NES in amministrazione straordinaria e i depositanti.
Tali provvedimenti erano stati evocati dalla difesa dell’imputato appellante in una memoria del 23 ottobre 2022 ed erano poi stati acquisiti dalla Corte di appello, come risulta dal relativo verbale, all’udienza del 7 novembre 2022. Essi – per quanto di interesse in questa sede – hanno visto il mancato accoglimento dei ricorsi del Commissario straordinario di NES che invocava l’annullamento dei provvedimenti del Tribunale di Treviso che avevano accolto le domande di rivendica ex art. 103 legge fall. delle società clienti della RAGIONE_SOCIALE. In tali sentenze ordinanze, la Corte di cassazione – ferma restando la dichiarata impossibilità di porre in discussione profili di merito in ragione dei confini del giudizio legittimità – aveva ritenuto che le pretese del Commissario non potessero avere seguito e che non potesse essere messo in discussione il diritto delle società depositanti, riconosciuto dal Tribunale, di ottenere la restituzione delle somme depositate, senza che queste ultime fossero incluse nella massa attiva della procedura.
Ebbene, di tali provvedimenti del Giudice di legittimità non vi è menzione nella sentenza impugnata, dove si rinviene solo il riferimento a quelli dei Giudic di merito; ciò a dispetto del rilievo centrale che le decisioni della Corte cassazione avrebbero potuto avere nella soluzione della questione giuridica agitata dalla difesa di Compiano. Rilievo che andava riguardato soprattutto alla
l
GLYPH luce dei poteri di approfondimento istruttorio e di valutazione del fatto che appartengono al Giudice di appello quale Giudice di merito e che avrebbero potuto consentire di ricostruire il riverbero sul versante penalistico della conformazione dei rapporti intercorsi tra le parti così come risultante dal contenzioso fallimentare, definito con i provvedimenti della Corte di cassazione. Peraltro la Corte di merito, proprio a fronte di tali provvedimenti, avrebbe dovuto verificare la tenuta logico-giuridica del presupposto da cui muove il ragionamento di confutazione della tesi difensiva, cioè quello che la distinzione patrimoniale – di cui i Giudici di appello affermano di non dubitare – era destinata a venire meno laddove vi fossero condotte non conformi alle pattuizioni contrattuali.
5.2. Un altro limite della sentenza impugnata – che ne determina la manifesta illogicità – è quello che concerne la sopravvalutazione della posizione soggettiva di Compiano quale amministratore della NES. La Corte distrettuale, infatti, ha enfatizzato la circostanza che l’imputato non aveva agito quale quivis de populo nella sottrazione dei denari dei clienti, ma aveva approfittato della propria qualità di amministratore, facendosi consegnare le somme dal dipendente COGNOME, il che determinerebbe l’iscrizione della sua condotta nel novero di quelle punite ai sensi dell’art. 216 legge fall. Ebbene, tale passaggio motivazionale, a giudizio del Collegio, è frutto di un errore di prospettiva giacché confonde due aspetti diversi: l’uno – indiscusso – che è quello dell’avere approfittato della sua posizione gerarchica nell’ambito della NES e del proprio patrimonio di conoscenza dell’attività sociale per ottenere che il dipendente di quest’ultima gli consegnasse periodicamente i denari degli ignari clienti; l’altro da dimostrare – è quello di avere strumentalizzato la propria posizione per sottrarre beni appartenenti non già ai singoli clienti, ma al patrimonio della società sottoposta alla procedura concorsuale, che è poi l’in se della condotta distrattiva che viene attribuita a Compiano. In altri termini, la circostanza che l’autore del fatto, data l’indubbia, particolare struttura dei rapporti che legavan la NES ai depositanti, fosse l’amministratore della società non ha necessarie implicazioni in punto di prova della fattispecie di bancarotta perché non significa, per ciò solo, che la condotta sia stata posta in essere a danno della NES e non, direttamente, dei clienti di quest’ultima; la qualità di amministratore, infatti, condizione necessaria per la costruzione della condotta sub iudice come distrattiva, ma non è condizione sufficiente a tal fine, in quanto occorre necessariamente, a prescindere dalla carica rivestita dall’autore del fatto, ritenere accertato che si tratti di condotta depauperativa del patrimonio sociale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.3. Un altro snodo che non convince delle riflessioni della Corte territoriale è quello che – per fronteggiare la tesi difensiva circa le ricadute della natura di
deposito regolare del rapporto intercorso tra i clienti e la NES – fa leva sulla giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti tra bancarotta fraudolenta distrattiva e contratto fiduciario, giacché non risolve gli interrogativi posti da difesa dell’appellante circa la valenza distrattiva, rispetto al patrimonio sociale delle condotte attuate nella specie dall’imputato. Il contratto fiduciario, infat disciplina i rapporti tra le parti in maniera diversa dal deposito regolare, da momento che, nel primo, il trasferimento del diritto avviene effettivamente nei confronti del fiduciario, salvo un’intesa interna, di natura obbligatoria, ch obbliga il fiduciario a esercitare il diritto che discende dal contratto secondo desiderata del fiduciante. Nel contratto di deposito regolare, invece, il bene viene solo affidato dal depositante al depositario, ma senza che vi sia alcun trasferimento della proprietà dal primo al secondo.
5.4. La sentenza impugnata, infine, presenta una lacuna argomentativa che ne inficia la tenuta quanto a due aspetti di fatto, non adeguatamente o per nulla analizzati, che avrebbero potuto svolgere una funzione chiarificatrice rispetto all’inquadramento in diritto che si impone.
L’uno è quello che riguarda gli assegni tratti sul conto corrente della NES e affidati da Compiano a Schiavon in corrispondenza di quasi tutte le consegne di banconote dal secondo al primo; la Corte territoriale, nella parte della sentenza relativa alla bancarotta patrimoniale, vi opera un fugace accenno, ma senza ragionare su quale funzione tali titoli avessero avuto nel determinare un impegno del patrimonio sociale a seguito della sottrazione dei denari dai depositi riferibil ai singoli, ignari, clienti della NES.
L’altro aspetto concerne il concreto riverbero che poi la scoperta delle condotte di Compiano ha avuto sul patrimonio della NES che era a disposizione dei creditori sociali, giacché sfugge alla ricostruzione dei Giudici di merito tutta fase successiva della procedura concorsuale e, in particolare, non si conosce quali siano state le conseguenze della mancata, integrale restituzione delle somme riconosciute nei giudizi di rivendica rispetto al patrimonio della società a disposizione dell’intero ceto creditorio. Tanto si impone – si badi – non perché si dubiti della natura di reato di pericolo della bancarotta distrattiva e perché si necessario riguardare le conseguenze concrete ed effettive della condotta predatoria per reputare configurabile il reato, ma perché tale lacuna si inquadra in una più ampia zona d’ombra che pare contraddistinguere le sentenze di merito e che andava chiarita proprio in ragione della peculiarità dell’attività sociale dell NES e dei rapporti che la legavano ai clienti/depositanti. Difetta, infatti, necessaria descrizione di quale fosse il meccanismo pattuito attraverso il quale le somme, fisicamente depositate dai clienti, venivano a questi ultimi restituite dopo la “lavorazione” o il deposito da parte della NES ed in che termini la
società, in caso di mancata restituzione, restasse a ciò obbligata con il proprio patrimonio sociale; lacuna che è esaltata dalla singolarità di una situazione che ha visto la sottrazione di ben 36 milioni di euro – sia pure nel corso di un lungo arco di tempo – senza tuttavia che mai gli operatori bancari e commerciali clienti della RAGIONE_SOCIALE, pur dotati di consistente e indiscussa esperienza imprenditoriale, si rendessero conto dell’anomalia che contraddistingueva la gestione della società da parte di Compiano.
5.5. La sentenza impugnata, infine, non si sottrae alle critiche del ricorrente anche e soprattutto laddove la Corte di merito affronta le obiezioni dell’appellante circa la natura distrattiva dell’appropriazione delle somme sottratte ai clienti della NES e riversate da Compiano non già nel proprio, ma nel patrimonio della stessa NES e utilizzate per lo svolgimento dell’attività sociale. Sfugge alla comprensione del Collegio, infatti, alla luce di quanto scrive la Corte di appello e a prescindere dalla risoluzione degli interrogativi di cui sopra, quale sarebbe la natura predatoria, rispetto al patrimonio sociale, di una condotta che ha visto la stessa società in tesi depredata beneficiare del frutto delle spoliazioni.
Il sesto motivo di ricorso – che riguardava I coefficiente soggettivo della bancarotta fraudolenta patrimoniale – è assorbito dall’annullamento del relativo capo della sentenza impugnata.
Il settimo motivo di ricorso – che riguarda il vaglio della Corte di appello sulla valutazione della testimonianza di COGNOME – è infondato.
La motivazione offerta sul punto dalla Corte territoriale non è manifestamente illogica laddove ha svalutato la rilevanza a discarico della negazione, da parte di COGNOME che Compiano sapesse dell’esistenza del conto NESDIR e ha ricavato la prova di tale consapevolezza attraverso una combinazione razionale – e non congetturale – degli elementi a disposizione per la decisione.
In primo luogo, non è manifestamente illogico trarre dalla pluriennale ripetizione dei medesimi comportamenti predatori tenuti da Compiano e dalla correlata necessità di tenerne traccia – ma, nel contempo, di occultarli già all’organo di controllo interno della società, il collegio sindacale, e poi ai clienti la dimostrazione che la giustificazione contabile, benché concretamente curata da COGNOME, non potesse essere ignorata dall’imputato; imputato che era – si badi – non solo autore del fatto materiale di sottrazione, ma anche amministratore della società nell’ambito della quale tale attività illecita avveniva e responsabile ex lege della tenuta delle sue scritture contabili. Peraltro, benché il processo abbia disvelato un atteggiamento di soggezione e accondiscendenza
del dipendente nei confronti di Compiano veramente peculiare e “tenace”, la Corte di merito ha avuto buon gioco a sottolineare che comunque COGNOME aveva preteso da Compiano la consegna degli assegni a garanzia della restituzione dei beni (benché tali assegni, per ovvi motivi, non siano stati mai consegnati alle società clienti), il che rende ragione di una percepibile – e comprensibile – condizione di allerta del dipendente rispetto allo spettro di proprie responsabilità nelle sottrazioni, di cui il ricorrente era stato messo a conoscenza ed alla quale si era adeguato; tale elemento costituisce un altro indicatore che ha condotto la Corte territoriale, secondo un percorso di apprezzabile plausibilità logica, alla conclusione della conoscenza in capo a Compiano dell’esistenza di un “promemoria” delle sottrazioni dai caveau, ossia del conto NESDIR e di quello che, come si dirà infra, ne costituiva il contraltare contabile, entrambi peraltro frutto di una precisa scelta tecnica, scarsamente plausibile se immaginata appannaggio del solo dipendente che se ne è assunta la responsabilità, vieppiù laddove questi non era dotato di competenze contabili.
D’altronde non va trascurato un ulteriore tassello della contestazione, che è stato meno esplorato dalla Corte di appello rispetto al conto NESDIR, ma che ha un suo peso nel giudizio di penale responsabilità circa la bancarotta documentale: l’omessa contabilizzazione dei debiti restitutori sorti nei confronti delle società clienti, che costituisce un’evidenza di cui, a prescindere dal conto NESDIR, il Compiano non poteva non rendersi conto essendo, da una parte, l’amministratore della NES e, dall’altra, l’autore delle spoliazioni tenute nascoste.
L’ottavo motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto all’inclusione, nelle scritture contabili obbligatorie previste dall’art. 2214 cod. civ., del con RAGIONE_SOCIALE ed è anch’esso, nel suo complesso, infondato.
8.1. In primo luogo, il ricorso è aspecifico perché, in disparte il tema censorio tanto coltivato del conto NESDIR, non contrasta quanto si legge a pag. 17 della sentenza impugnata a proposito dell’omessa contabilizzazione dei debiti nei confronti delle società clienti che avevano affidato i propri denari alla NES condotta oggetto di espressa contestazione al capo A, seconda parte e di cui si è appena scritto nel § 7 – e che avrebbero da quest’ultima preteso la restituzione, a prescindere dalle responsabilità circa le sottrazioni avvenute. Tale difetto di annotazione nelle scritture contabili della NES comportava senz’altro un’errata rappresentazione della realtà economico-patrimoniale della società, ma su questo aspetto il ricorso pare non soffermarsi, il che lo connota di aspecificità. Viene in rilievo, a quest’ultimo riguardo, un principio di diritto più volte affermato da questa Corte a lume del quale vanno ritenuti inammissibili i motivi di ricorso per cassazione non solo quando essi risultino intrinsecamente indeterminati, ma
altresì allorché difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (principio ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
8.2. Il ricorso lambisce l’inammissibilità anche quando affronta il tema dell’inclusione del conto NESDIR nel novero delle scritture contabili rilevanti ai sensi dell’art. 2214 cod. civ.
Da questo punto di vista, occorre chiarire, attingendo alla sentenza di primo grado (pagg. 6 e 18), che contabilmente emergeva l’esistenza di un cliente denominato “riservato moneta metallica” al quale corrispondeva una giacenza negativa di circa 37 milioni di euro; a tale giacenza negativa corrispondeva una posta positiva, di euro 36.861.000, legata al più volte evocato conto RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello, a sua volta, ha spiegato, a pag. 17, che il conto NESDIR poteva essere annoverato nell’ambito delle scritture contabili obbligatorie previste dal codice civile, quale scrittura richiesta dalla natura dell’impresa. La Corte di merito ha ulteriormente e molto efficacemente scritto che la funzionalità rappresentativa dell’attività di impresa di un conto come quello “incriminato” era legata al fatto che la NES, poiché gestiva contante per conto terzi, era obbligata, oltre che per necessità pratiche, anche per rispettare la disciplina imposta dalla Banca d’Italia, alla tenuta di scritture che fornissero la “fotografia” immediata del circolante e del depositato. In questo ambito – hanno aggiunto i Giudici di appello – il conto NESDIR consentiva di mantenere un equilibrio contabile tra ciò che Compiano periodicamente sottraeva a caveau e quello che, fittiziamente, vi rientrava.
Orbene, tale argomentazione è corretta in diritto laddove, a norma dell’art. 2214, comma 2, cod. civ., l’imprenditore deve tenere le scritture contabili, diverse da quelle di cui al comma primo della medesima disposizione, che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. In tale categoria, la Corte di merito ha correttamente incluso il conto che rispecchiava – sia pur artificiosamente, annullandone la portata depauperativa – le sottrazioni di contante depositato dai clienti in quanto, effettivamente, data la peculiare natura dell’attività sociale, ogni scrittura che desse conto delle movimentazioni in entrata e in uscita e dei corrispondenti debiti della società rispetto ai clien contribuiva a rappresentare la realtà economica della società.
L’addebito di cui all’art. 216, comma 1, n. 2) legge fall., infatti, a differenz di quello di cui all’art. 217 legge fall., non è legato ad un criterio formale, m riguarda tutti i documenti che possano consentire l’esame della gestione sociale. D’altra parte la bancarotta fraudolenta documentale generale, oggetto dell’addebito mosso a Compiano, consiste nella tenuta delle scritture contabili «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento
degli affari», movimento senz’altro costituito dalla dinamica dei rapporti economici nei confronti delle società clienti legata ai debiti di fatto insorti seguito delle sottrazioni dei denari da queste ultime affidati alla NES e contabilmente neutralizzati.
Non ha pregio, infine, l’argomentazione critica secondo la quale, poiché il conto NESDIR rappresentava una realtà contabile non destinata a confluire nel bilancio di esercizio, essa non poteva ritenersi rilevante ai fini dell’addebito in discorso. Ebbene, questa tesi ha il limite, da una parte, di non confrontarsi con il ragionamento svolto dalla Corte territoriale e sopra richiamato; dall’altra, di pretendere la valorizzazione in bonam partem della stessa anomalia dell’artifizio contabile, laddove le relative scritturazioni erano clandestine e, quindi, destinate a non essere rappresentate nel bilancio; dall’altra, ancora, di introdurre, tra le scritture contabili, un criterio selettivo ai fini dell’incriminazione non richiesto legislatore penale.
Il nono motivo di ricorso – che ritorna ancora una volta sul conto NESDIR – è inammissibile laddove contesta con argomenti di puro fatto la conclusione cui è giunta la Corte distrettuale, a proposito delle implicazioni, in punto di attività ricostruttiva della dinamica dell’impresa, delle annotazioni sul conto NESDIR che l’appellante pretendeva essere tanto chiare da avere permesso, senza alcuna difficoltà, la ricostruzione dei movimenti avvenuti.
A questo riguardo, la Corte territoriale ha contrapposto alla tesi difensiva circa la portata documentativa del conto NESDIR, l’osservazione secondo la quale:
non era stato possibile ricostruire le sottrazioni, pur esistenti, anteriori a diciotto anni precedenti alla scoperta degli ammanchi;
non era stato possibile neanche ricostruire, cliente per cliente, le sottrazioni nel periodo di interesse, il che aveva determinato gravi incertezze in sede di esame delle domande di rivendica.
A fronte di tali, puntuali, osservazioni, il ricorrente propone una revisione critica del ragionamento probatorio che dovrebbe passare attraverso l’esame della testimonianza del Commissario straordinario della NES e di un’annotazione della Guardia di Finanza; il che trova un ostacolo nell’esegesi – fatta propria anche dalle Sezioni Unite – secondo cui, nel giudizio presso la Corte di cassazione, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo a quello di legittimità un giudizio di fatto che non gli compete. Esula, infatti, dai poteri di questa Corte quello di una “rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in
via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali; l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha, infatti, un orizzonte circoscritto dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti interni del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME Rv. 279005, in motivazione; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260). Non vi è spazio, dunque, per l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati da giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzia che trova precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME e altri, Rv. 238215).
Il decimo motivo di ricorso – che indugia nuovamente sulla bancarotta fraudolenta documentale e che auspica la riconduzione della condotta al più al reato di falso in bilancio – è inammissibile per più ragioni.
10.1. In primo luogo, quando il ricorrente ricorda la tesi sostenuta circa la riconducibilità al reato di falso in bilancio, pare non formulare alcuna censura che sia dotata della specificità richiesta dalla già evocata giurisprudenza di questa Corte regolatrice. Laddove il ricorso voglia ulteriormente negare la natura di scrittura contabile rilevante ex art. 216 legge fall. al conto NESDIR siccome non
destinato a confluire nel bilancio, si richiamano le osservazioni svolte quanto all’ottavo motivo di ricorso.
10.2. In secondo luogo – quando evoca il principio del nemo tenetur se detegereil ricorso contiene una doglianza inedita, dal momento che tale tema era stato sollevato, nell’appello, solo con riferimento al reato tributario (cfr pagg. 88 e segg.).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso perché non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare siccome non devolute con la dovuta specificità alla sua cognizione, tranne che si tratti di questioni rilevabili di uff in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza (cfr. l’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla violazione di legge; si vedano, con specifico riferimento al vizio di motivazione, Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, COGNOME).
11. L’undicesimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla bancarotta impropria per mancata esazione dei crediti vantati dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di altre società.
Esso non supera il vaglio di ammissibilità per due ragioni.
11.1. La prima è che l’appello, sulla causazione del dissesto (pag. 84 e segg.), era del tutto aspecifico rispetto alle ampie argomentazioni del Tribunale che, alle pagg. 44-46, partendo dalla delineazione del nesso eziologico richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte tra condotta dell’autore del fatto e determinazione o aggravamento del dissesto, aveva compiutamente rappresentato come l’esazione dei crediti vantati dalla NES, tra le altre, nei confronti di Autocom, avrebbe comportato una significativa riduzione delle ingravescenti passività della prima. Sul punto, nell’appello, non si colgono specifiche considerazioni critiche, tali non potendo ritenersi quelle che riguardano il coefficiente soggettivo della condotta, che è un aspetto diverso. Ebbene, il sostanziale silenzio dell’appello su questo tema si scontra con la regola sancita dalle già richiamate – ad altri fini – Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822), secondo cui «L’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto al ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato» (principio ribadito da Sez. 2, n. 51531 del
19/11/2019, Greco, Rv. 277811); la sedimentazione di tale regola ha poi fatto sì che essa fosse recepita dal legislatore del d.lgs 150 del 2022 con l’introduzione del comma 1-bis dell’art. 581 cod. proc. pen., disciplina naturalmente non applicabile, ratione temporis, all’appello di Compiano.
L’aspecificità dell’appello va rilevata ora per allora perché l’inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (Sezioni Unite COGNOME, in motivazione; Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, COGNOME, Rv. 270799; Sez. 2, n. 40816 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 260359; Sez. 4, n. 16399 del 03/10/1990, COGNOME, Rv. 185996; Sez. 1, n. 3462 del 24/09/1987, COGNOME, Rv. 176912).
11.2. La seconda ragione che conduce all’inammissibilità della doglianza attiene alle sue implicazioni sul versante soggettivo della condotta, dal momento che il ricorso per cassazione patisce un marcato difetto di confronto con il ragionamento sviluppato dalla Corte di appello alle pagg. 20 e 21 della sentenza impugnata. In tali passaggi, i Giudici di appello hanno individuato le ragioni per cui quella del prevenuto dovesse essere considerata una consapevole scelta tesa a favorire le società verso cui la RAGIONE_SOCIALE vantava i crediti. Scelta assunta nonostante quest’ultima versasse in una condizione di crescente difficoltà – che comportava l’esigenza di autofinanziarsi accumulando debiti tributari e verso i fornitori – e favorendo, tra l’altro, la società RAGIONE_SOCIALE, che costituiva la formale proprietaria dell’amplissimo parco veicoli che Compiano aveva acquistato (oltre a tutto il resto) con le somme sottratte dai caveau.
12. Il dodicesimo motivo di ricorso – che lamenta violazione degli artt. 4 d.lgs 74 del 2000 e 6 CEDU quanto al reato tributario e contesta l’interpretazione che la Corte di merito ha dato alla sentenza della Corte edu riportata nell’atto di appello – è inammissibile per le ragioni che seguono.
In primo luogo, esso è affetto da genericità estrinseca, in quanto non affronta tutti i corretti passaggi del ragionamento che la Corte distrettuale ha impiegato per distinguere il caso COGNOME c. Regno Unito di cui alla sentenza della Corte edu del 17 dicembre 1996 da quello oggi sub iudice e per reputare, invece, praticabile l’esegesi di questa Corte sul punto.
In secondo luogo, il Collegio intende richiamare e ribadire gli insegnamenti di questa Corte secondo cui il principio del nemo tenetur se detegere opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già avviato e, quando invocato rispetto al reato tributario ed all’obbligo di dichiarare anche i redditi d
provenienza illecita, deve ritenersi recessivo rispetto al dovere di concorrere alle spese pubbliche previsto dall’art. 53 Cost. (Sez. 3, n. 53656 del 03/10/2018, A., Rv. 275452; Sez. 3, n. 53137 del 22/09/2017, COGNOME, Rv. 271827).
E’ interessante segnalare, a questo proposito, che la sentenza n. 53656 ha altresì statuito che è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e 36, comma 34-bis, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, nella parte in cui queste disposizioni prevedono, al fine di non commettere il reato di omessa presentazione della dichiarazione di redditi, l’obbligo di presentare la dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, ancorché riguardi redditi provenienti da attività illecita. Per giungere a questa conclusione, la Suprema Corte ha sostenuto che «la dichiarazione dei redditi (quand’anche di natura illecita) non costituisce, per sé sola, una denuncia a proprio carico, ma unicamente una comunicazione inviata a fini fiscali, sicché solo in via eventuale a questa possono seguire accertamenti in ordine all’origine delle somme ivi esposte; del resto, la questione è già stata affrontata da questa Corte (Sez. 3, sentenza 7.03.2017 dep. 26.07.2017, n. 37107, ric. COGNOME, non massímata; v. anche, Sez. 3, n. 53137 del 22/09/2017 – dep. 22/11/2017, COGNOME, Rv. 271827), richiamandosi il principio di diritto secondo il quale, la circostanza che il possesso di reddi possa costituire reato e che l’autodenuncia possa violare il principio nemo tenetur se detegere è sicuramente recessiva rispetto all’obbligo di concorrere alle spese pubbliche ex art. 53 della Costituzione, dichiarando tutti i redditi prodotti (effettivi), espressione di capacità contributiva (cfr. in termini Cass. civ., Sez.5 n.3580 del 2016). È stato, sul punto, precisato che “la ormai incontestata e riconosciuta normativamente tassabilità dei proventi illeciti, anche delittuosi, comporta il necessario superamento di ogni remora anche in ordine alla dichiarazione, essendo connaturale al possesso di un reddito tassabile il relativo obbligo di dichiarazione” (Cass. civ., Sez.5, n.20032 del 30/09/2011, Rv.619268 – 01). Né sussiste la violazione dell’art. 6 CEDU, il quale nel riconoscere al soggetto il diritto a tacere e a non contribuire alla propria incriminazione a conferma e garanzia irrinunciabile dell’equo processo, opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già attivato, stante la sua “ratio” consistente nella protezione dell’imputato da coercizioni abusive da parte dell’autorità (Sez.5, n.12697 del 20/11/2014, dep.25/03/2015, Rv.263034)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E’ opinione del Collegio che non vi siano ragioni – né che esse si colgano dal ricorso – per disattendere detta interpretazione e per ritenere che possa essere utilmente agitata la violazione della norma convenzionale che – si badi – in
cassazione non può essere denunziata se non nell’ambito di un’eccezione di illegittimità costituzionale, che però non è stata formulata. Proprio a questo riguardo, è opportuno richiamare gli insegnamenti delle Sezioni Unite che, nella sentenza n. 29541 del 16/07/2020 (ricorrente COGNOME, Rv. 280027, n.m. sul punto), hanno ribadito che non è consentito il motivo di ricorso che deduca la violazione di norme della Convenzione EDU (come già affermato da Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279059). A sostegno di questa conclusione, il massimo Consesso ha osservato che l’inosservanza di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali può fondare un motivo di ricorso solo laddove posta a sostegno di una questione di costituzionalità di una norma interna. Ciò in quanto le norme della Convenzione EDU, così come interpretate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, rivestono il rango di fonti interposte, integratrici del precetto di c all’art. 117, comma 1, Cost.
13. Il tredicesimo motivo di ricorso – che denunzia violazione di legge e mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. – è aspecifico.
Il tema centrale sia del punto della sentenza obiettivo delle censure sia del motivo in esame è la valutazione, da parte del Collegio di merito, della consulenza svolta su mandato della difesa dal dr. COGNOME incaricato di investigare sulle condizioni mentali del prevenuto al momento del fatto, che aveva concluso per la presenza, in capo a Compiano, di un’ossessione compulsiva all’acquisto di beni che ne avrebbe parzialmente compromesso la capacità di intendere e di volere al momento del fatto.
13.1. In primo luogo il ricorso – quando esprime meraviglia per la tesi della Corte territoriale – non sembra cogliere il senso della proposizione della sentenza impugnata che ha svilito la rilevanza in bonam partem della consulenza COGNOME sulla base della risalenza del colloquio dell’esperto con l’imputato. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, infatti, la Corte di appello non ha sottolineato in negativo tale collocazione temporale perché non ha compreso che oggetto dell’accertamento dovesse essere la condizione dell’imputato al momento del fatto; piuttosto, i Giudici di appello hanno espresso serie riserve sull’affidabilità e dell’eloquenza diagnostica di quel colloquio, avvenuto nel 2013, quando ancora a Compiano era contestata la sola appropriazione indebita e la destinazione della somme sottratte al solo parco auto, unici temi su cui si svolse il colloquio e che non restituivano il quadro complessivo della condotta – più articolata e “studiata” di quella di cui Compiano parlò con il consulente – attuata dall’imputato al di là di quel primo segmento di condotta. Altrimenti detto, la
Corte distrettuale ha sostenuto che la consulenza risente del mancato aggiornamento non nel senso di verificare le mutate condizioni psichiche – come pare ritenere il ricorrente – ma perché al consulente non furono resi noti anche elementi successivamente venuti alla luce e che, evidentemente, l’imputato gli aveva scientemente taciuto.
13.2. Il ricorso difetta di confronto con la decisione avversata per quanto concerne, oltre che il dato di cui sopra, anche le puntuali osservazioni della Corte di appello a proposito della scarsa qualità dell’elaborato, siccome:
privo di dati scientifici e sperimentali;
non preceduto dalla somministrazione di test cognitivi e, in generale, di un approfondimento clinico e documentale della condizione del soggetto da esaminare;
non preceduto dalla verifica delle condizioni dell’imputato nell’arco di tutto il periodo in cui si è dispiegata la condotta;
caratterizzato da una diagnosi generica circa la direzione della compulsione;
connotato da un approccio squisitamente teorico.
L’aspecifícità del ricorso si apprezza anche per quanto concerne le osservazioni della Corte di merito a proposito della singolarità della rappresentazione, da parte del consulente, di un vizio di mente mai emerso aliunde, pur essendo il Compiano un imprenditore che, per vari decenni aveva svolto con successo un’attività imprenditoriale di rilievo.
Il quattordicesimo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge quanto al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 219 legge fallimentare – è assorbito in ragione dell’annullamento con rinvio quanto alla bancarotta patrimoniale, che renderà necessario un nuovo scrutinio sul punto all’esito del rinnovato esame della regiudicanda principale.
Il quindicesimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto concerne l’importo della provvisionale e tale statuizione non può essere oggetto di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773; Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
In conclusione, il ricorso di Compiano va accolto in ordine alla bancarotta fraudolenta distrattiva e la sentenza deve essere parzialmente annullata quanto a questo addebito, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. IL Collegio precisa che la Corte del rinvio dovrà riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione
e senza la necessità di soffermarsi – nell’ambito del capo annullato – sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, dovrà
evitare di incorrere nuovamente nei vizi rilevati, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine
all’iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del
19/04/2018, COGNOME e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010,
COGNOME, Rv. 248413). Per il resto il ricorso di Compiano deve essere rigettato.
Il governo delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalle parti civili sono rimesse alla definizione del giudizio.
17. Il ricorso della parte civile RAGIONE_SOCIALE che verte esclusivamente sul
quantum della provvisionale liquidata – è inammissibile per
le stesse ragioni illustrate a proposito del quindicesimo motivo del ricorso
Compiano.
L’inammissibilità del ricorso della RAGIONE_SOCIALE comporta la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come
modificato ex
I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo a) prima parte, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso di Compiano Luigi. Dichiara inammissibile il ricorso della RAGIONE_SOCIALE e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Spese in favore delle parti civili al definitivo.
Così deciso il 20/02/2024.