Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36856 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA Il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per raccoglimento del ricorso limitatamente alla quantificazione delle pene accessorie con rinvio, sul punto, al Giudice di merito. Chiede rigettarsi gli ulteriori motivi di ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai propri scritti ed insiste per raccoglimento dei motivi di ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME si riporta al propri scritti ed insiste per raccoglimento dei motivi di ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Roma, in data 3.12.2014, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannainceri NOME e COGNOME NOME, ciascuno alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e dissipazione loro ascritti ai capi A); B); C) e D) dell’imputazione, quelli di cui ai capi C) e D) contestati al solo COGNOME, nelle qualità, la COGNOME, di amministratore di diritto della “RAGIONE_SOCIALE“, il COGNOME di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Roma con sentenza del 19.4.2012.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con due autonomi atti di impugnazione, fondati sugli stessi motivi, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, per travisamento del fatto, in quanto, con riferimento alla condotta distrattiva di cui al capo A), avente a oggetto la cessione dell’intero compendio aziendale della fallita, la corte territoriale non ha tenuto in adeguato conto il bonifico effettuato personalmente dal COGNOME, per un importo di 76.000,00 euro, in favore della fallita “RAGIONE_SOCIALE“, di cui l’imputato era amministratore di fatto e socio maggioritario, bonifico effettuato dal prevenuto in qualità di fideiussore della “RAGIONE_SOCIALE“, di cui era amministratrice COGNOME NOME, in adempimento di un’obbligazione personale di garanzia con danaro proprio e senza animo di surroga.
Premesso che la contestata distrazione del compendio aziendale presuppone necessariamente che la cessione sia avvenuta senza l’acquisizione nel patrimonio della fallita del relativo corrispettivo e che la fallita deve considerarsi creditrice della cessionaria “RAGIONE_SOCIALE“, appare manifestamente illogico, ad avviso dei ricorrenti, l’argomento della corte territoriale, secondo cui dalla semplice corresponsione del bonifico non conseguiva affatto l’estinzione del debito della fallita, posto che dalla
cessione del compendio aziendale non era sorto alcun debito per la “RAGIONE_SOCIALE“, che, come detto, era creditrice e non debitrice della cessionaria.
I ricorrenti lamentano, inoltre, la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la corte territoriale afferma che è configurabile la condotta distrattiva pur in presenza di una cessione a titolo oneroso, cui abbia fatto seguito il pagamento, a mezzo del bonifico, del corrispettivo, nonché nella parte in cui il giudice di appello afferma che tale pagamento ha determinato l’estinzione del debito personale del COGNOME in qualità di fideiussore, con la conseguenza che esso poteva estinguere il debito della “RAGIONE_SOCIALE” solo se l’imputato avesse dedotto e provato di avere azione di regresso, quale fideiussore, nei confronti della fallita.
A tale ultimo proposito osservano gli imputati che la posizione di fideiussore della “RAGIONE_SOCIALE“, debitore garantito, rafforzava la posizione creditoria della fallita, essendo del tutto irrilevante, ai fini delle ragioni del ceto creditorio, che il debito per la cessione del compendio aziendale venisse adempiuto dalla “RAGIONE_SOCIALE” oppure dal fideiussore, senza tacere che, essendo stato effettuato il bonifico senza animo di surroga, la società fallita conservava integri i suoi diritti nei confronti del debitore nei quali, invece, a norma dell’art. 1949, c.c., il fideiussore si sarebbe potuto sostituire;
violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale non ha preso in considerazione la censura difensiva volta a contestare la sussistenza dell’ulteriore condotta distrattiva contestata nel capo A) avente a oggetto la cessione di un impianto sonoro marca “Bose”, sul presupposto dell’avvenuto pagamento del prezzo di tale cessione mediante un bonifico di 12.000,00 euro, da ritenere congruo alla luce della perdita di valore dell’impianto;
violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla fattispecie dissipativa di cui al capo B), consistente, secondo l’ipotesi accusatoria, GLYPH nell’avere la società fallita sostenuto i costi di ristrutturazione di uno stabilimento balneare, per un importo di 100.000,00 euro, ritenuto superiore al valore del compendio aziendale
ceduto, operazione inutile dannosa per la fallita, che da essa non conseguito alcuna utilità, avendo sopportato i relativi costi al posto dell’acquirente dello stabilimento.
Lamentano al riguardo i ricorrenti che, ove si voglia seguire la ricostruzione di fatti fornita dai giudici di merito, la condotta degli imputati, tanto più ove si constati la carenza di prova del pagamento e pertanto la sua rilevanza in termini di mera obbligazione assunta imprudentemente dalla fallita poco prima della cessione del compendio aziendale, andrebbe qualificata ai sensi dell’art. 217, Lfall., dunque come bancarotta semplice, consistendo nella consumazione del patrimonio sociale in operazioni aleatorie o imprudenti, con conseguente estinzione del reato , per sopravvenuta prescrizione nelle more dell’appello, in quanto la committenza di opere di ristrutturazione poco prima della cessione non è né inconciliabile con lo scopo sociale, né incoerente con le esigenze dell’impresa, potendo al più rilevare in termini colposi;
violazione di legge in punto di determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari.
I ricorsi appaiono parzialmente fondati e vanno accolti nei seguenti termini.
Fondati appaiono i rilievi articolati nel primo e nel secondo motivo dei ricorsi in questione.
Al riguardo si osserva che, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo
depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Come è stato ribadito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Costante nella giurisprudenza della Suprema Corte è, inoltre, l’orientamento, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Rv. 271437).
Tanto premesso, nel caso che ci occupa l’operazione di natura distrattiva contestata ai ricorrenti è stata ritenuta sussistente dalla corte territoriale sul presupposto che, quando era già conclamato lo stato di insolvenza della “RAGIONE_SOCIALE“, è stata posta in essere un’operazione fraudolenta, il cui principale artefice viene individuato nel COGNOME, consistente nella “cessione del complesso aziendale a favore di due società” – in particolare, della “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata dalla COGNOME, che, a sua volta, lo aveva trasferito alla “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata da COGNOME NOME, ex coniuge del COGNOME e, già socia della “RAGIONE_SOCIALE” – “comunque riconducibili a COGNOME con conseguente azzeramento – e quindi sottrazione – delle garanzie patrimoniali dei creditori della
società fallita i quali, a fronte della complessiva operazione, si sono visti sottrarre tutti i beni di pertinenza della fallita, che è restata titolare dei debiti contratti in bonis”, continuando di fatto il COGNOME a svolgere la sua attività, gestendo lo stabilimento balneare “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e i relativi servizi accessori, sito in Ostia, costituente il cuore del complesso aziendale ceduto.
Ciò posto, nei motivi di appello il COGNOME e la COGNOME, come evidenziato dalla stessa corte territoriale, avevano contestato in radice la possibilità di configurare l’ipotesi distrattiva di cui si discute, osservando che nessuna diminuzione si era verificata nel patrimonio della società fallita in conseguenza della contestata operazione dì cessione in favore della società amministrata dalla COGNOME, non essendo avvenuta, tale cessione, a titolo gratuito, bensì a titolo oneroso, come dimostrato dalla circostanza che il prezzo venne personalmente corrisposto dall’imputato, in qualità di fideiussore, attraverso un bonifico dell’importo di 76.000,00 euro.
Nel disattendere tale censura, la corte territoriale si è espressa nei seguenti termini: …dagli atti emerge che si è trattato di un bonifico emesso dall’imputato personalmente a favore della società fallita. Non si vede quindi come si possa sostenere, solo sulla base di tale bonifico, che esso sia servito a estinguere un debito della società. Se effettivamente fosse stata questa la finalità dell’operazione, trasparenza avrebbe voluto che il bonifico avesse come beneficiario il creditore. Solo in tal caso il pagamento avrebbe comportato l’estinzione del debito della società; con le modalità invece attuate consapevolmente, un tale effetto poteva essere conseguito solo ove la società fallita avesse utilizzato tale somma corrispondendo il dovuto al (non meglio identificato) creditore. Ma è chiaro che dalla semplice corresponsione del bonifico non conseguiva affatto l’estinzione del debito da parte della fallita”.
E ancora: “Anche a volere seguire la tesi prospettata in appello, un tale pagamento giuridicamente ha determinato sicuramente l’estinzione del debito personale dell’imputato, quale fideiussore – per sua stessa allegazione – e quindi un debito personale. Pertanto il pagamento de
quo poteva estinguere anche il debito della Lasi solo ove l’imputato avesse dedotto e provato di avere azione di regresso, quale fideiussore, nei confronti della fallita”, circostanza, non solo non provata, ma da escludere, atteso che “egli era socio della fallita e, in quanto tale, ha fornito garanzia personale”.
In questo argomentare si annida uno dei vizi denunciati dai ricorrenti, non certo quello del “travisamento del fatto”, non scrutinabile in sede di legittimità, quanto, piuttosto, il vizio della manifesta illogicità della motivazione.
Partendo dalla formulazione dell’imputazione e dalla motivazione della sentenza di primo grado, non è revocabile in dubbio che, con riferimento alla prima delle condotte distrattive contestate nel capo A), agli imputati sia stata addebitata l’avvenuta cessione del compendio aziendale della fallita alla “RAGIONE_SOCIALE“, in assenza di corrispettivo, condotta che, ove dimostrata, secondo il richiamato orientamento dominante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, integrerebbe l’elemento oggettivo del reato di cui si discute, in quanto idonea a mettere in pericolo le ragioni del ceto creditorio.
Se ciò è vero, come è vero, una volta dimostrato, mediante la produzione allegata al ricorso in ossequio al principio della cd. autosufficienza, che già in primo grado il COGNOME aveva depositato agli atti la ricevuta di un bonifico effettuato dal prevenuto in qualità di fideiussore della “RAGIONE_SOCIALE“, “in adempimento di un’obbligazione personale di garanzia con danaro proprio e senza animo di surroga”, sollevando la relativa eccezione in appello, non si comprende il percorso argomentativo seguito dalla corte territoriale, che sembra considerare l’intervento del COGNOME finalizzato a garantire un debito nei confronti di un creditore rimasto sconosciuto della società fallita, la quale, invece, nell’ambito della contestata operazione di cessione, assume, piuttosto, la veste di creditrice nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” e non di debitrice.
La mancanza di chiarezza su questo punto, che lascia adombrare, al là della terminologia utilizzata dai ricorrenti, anche un travisamento della prova, assume un valore decisivo in ordine alla fondatezza dell’assunto
accusatorio, posto che, come già detto, il “fatto” distrattivo contestato e ritenuto dal giudice di primo grado consiste nella cessione del complesso aziendale della società fallita a titolo gratuito e non nella distrazione della somma entrata nel patrimonio della società fallita, attraverso il bonifico disposto dal COGNOME in qualità di fideiussore della cessionaria, profilo non sufficientemente meditato dal giudice di secondo grado, nella parte della motivazione in cui svaluta il motivo di appello degli imputati, osservando che, in ogni caso, ove anche la somma di 76.000,00 euro fosse entrata nelle casse della società, ci si troverebbe sempre di fronte a un’attività distrattiva, “perché non è dato sapere quale sia stata la sua concreta utilizzazione”, attività che, tuttavia, nella forma indicata, non ha formato oggetto di contestazione.
Del resto, la stessa posizione del COGNOME di fideiussore della “COGNOME“, debitore garantito, sarebbe stata da sola inidonea a mettere in pericolo le ragioni del ceto creditorio, garantendo, piuttosto, le ragioni creditorie della società fallita e, di riflesso, quelle del ceto creditorio della “RAGIONE_SOCIALE“.
Ai sensi dell’art. 1944, c.c., infatti, il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale al pagamento del debito e l’obbligazione assunta è efficace, come previsto dall’art. 1936, co. 2, c.c., anche se il debitore non ne ha conoscenza, dovendosi ribadire, al tempo stesso, il consolidato principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di fideiussione, l’ampia libertà di forma consentita al prestatore della garanzia personale nel manifestare il proprio intendimento di obbligarsi in qualità di fideiussore incontra il solo limite dell’inequivocità ed oggettività di tale manifestazione di volontà (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 3429 del 08/03/2002, Rv. 552938).
4.1. Fondato appare anche il rilievo di cui al secondo motivo di ricorso. La corte territoriale, infatti, pur dando atto che gli imputati avevano contestato la natura distrattiva della cessione dell’impianto di diffusione sonora del pari contestata al capo A) dell’imputazione, opponendo la congruità della somma corrisposta dalla cessionaria a titolo di corrispettivo, in considerazione dell’usura cui nel tempo era stato
sottoposto il bene, ha completamente omesso di considerare tale doglianza, rimasta senza risposta alcuna.
5. Infondato, invece, appare il terzo motivo di ricorso, con conseguente rigetto sul punto dei ricorsi.
Come affermato dal costante e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione si distingue da quello di bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti sotto il profilo oggettivo, per l’inconciliabilità con lo scopo sociale e l’incoerenza con il soddisfacimento delle esigenze dell’impresa delle operazioni poste in essere, e soggettivo, per la consapevolezza, da parte dell’autore della condotta, di diminuire il patrimonio societario per scopi del tutto estranei all’oggetto sociale (cfr. Sez. 5, n. 34979 del 10/09/2020, Rv. 280321; Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011, Rv. 251218).
In caso di bancarotta fraudolenta, dunque, mentre la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Non ricorre, pertanto, l’ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma primo, n. 2, legge fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta, nel caso di operazioni che abbiano comportato, in pressoché totale assenza di vantaggi, un notevole impegno economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell’interesse dell’impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a
prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo (cfr. Sez. 5, n. 34292 del 02/10/2020, Rv. 279973).
Sicché la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell’ambito di condotte tenute comunque nell’interesse dell’impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Rv. 284230).
Di tali principi ha fatto buon governo la corte territoriale, in quanto non appare revocabile in dubbio la natura dissipativa dell’operazione contestata ne capo B) dell’imputazione, essendo stato dimostrato che la società fallita, poco prima della cessione del compendio aziendale alla “RAGIONE_SOCIALE” ha provveduto a effettuare lavori di ristrutturazione del lido balneare sito in Ostia in precedenza indicato, sopportando la relativa spesa di 100.000,00 euro, senza trarne alcun vantaggio, perseguendo dolosamente, come ritenuto dai giudici di merito alla luce delle modalità della condotta, l’esclusivo interesse della cessionaria, che si è trovata nella invidiabile condizione di godere delle opere di ristrutturazione dello stabilimento balneare, senza averne pagato i relativi costi.
Non colgono, pertanto nel segno, gli argomenti difensivi articolati dai ricorrenti al riguardo, che, anzi, a ben vedere, si collocano ai confini dell’inammissibilità, apparendo in larga parte tali da proporre una generica lettura alternativa ovvero una rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099, Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Fondato è anche il quarto motivo di ricorso.
Con riferimento alle pene accessorie “fallimentari”, va osservato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 222 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, I. fall., nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziché: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni».
In applicazione di tale principio la Corte di Cassazione, riconoscendo d’ufficio l’illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 216, ultimo comma, legge fall., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabilire la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità (cfr. Cass., sez. V, 29.1.2019, 5882, rv. 274413).
Tale opzione risulta confermata da un condivisibile arresto delle Sezioni Unite, in cui, proprio con riferimento all’irrogazione delle pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta, è stato ribadito che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133, c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex art. 37, c.p. (cfr. Cass., Sez. U., n. 28910, del 28.2.2019, rv. 276286).
Orbene la sentenza impugnata, pur essendo stata pronunciata il 25.1.2023, ha completamente ignorato il tema, non intervenendo sulla durata delle pene accessorie fallimentari, determinata dal giudice di primo grado, senza alcuna motivazione al riguardo, in dieci anni.
7. In conclusione la sentenza impugnata va annullata, limitatamente all’affermazione di responsabilità di entrambi gli imputati con riferimento
a entrambi i fatti distrattivi loro contestati nel capo A) dell’imputazione, e al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Rom, che provvederà a risolvere le indicate aporie e a colmare le evidenziate lacune, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati.
La non completa soccombenza dei ricorrenti implica che essi non siano condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) e al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma il 16.5.2024.