Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24308 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24308 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
In nome del Popolo Italiano
– Presidente –
R.G.N. 6314/25
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a RIZZICONI il 09/06/1963
avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE di APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Palmi in data 4 aprile 2018, NOME COGNOME fu condannato alla pena di 4 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le aggravanti di cui all’art. 219, commi 1 e 2, legge fall. dell’avere commesso piø fatti di bancarotta fraudolenta e dell’avere provocato un danno patrimoniale di rilevante gravità, dei reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 216, comma 1, nn. 1 e 2, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, per avere commesso, quale amministratore occulto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Palmi in data 25 febbraio 2008, in concorso con il socio amministratore NOME COGNOME allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, vari atti di bancarotta fraudolenta documentale e per distrazione; in Gioia Tauro in data 18 luglio 2008. Con lo stesso provvedimento il Tribunale aveva dichiarato COGNOME inabilitato all’esercizio di un’impresa commerciale e incapace ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di 10 anni e interdetto dai pubblici uffici per la durata di 5 anni.
1.2. Con sentenza in data 18 giugno 2024, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha applicato all’imputato le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sull’aggravante dell’aver provocato un danno patrimoniale di rilevante gravità, per l’effetto rideterminando la pena inflittagli in 3 anni e 6 mesi di reclusione.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchØ la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi della bancarotta fraudolenta.
Le condotte ascritte a COGNOME si arresterebbero al 2005, mentre la sentenza dichiarativa di fallimento sarebbe intervenuta solo nel 2008, con una evidente frattura temporale rispetto alla quale la Corte territoriale nulla direbbe. Lo stato di sofferenza della società sarebbe stato determinato da un costo eccessivo della manodopera, come riportato nella sentenza di primo grado: circostanza non addebitabile a COGNOME, ma riconducibile alla crisi finanziaria degli anni precedenti al 2008, anno della crisi dell’economia internazionale. Lo stato passivo della società, nel 2008, sarebbe stato, complessivamente, pari a circa 7 milioni di euro, mentre a COGNOME sarebbero state addebitate condotte distrattive soltanto per complessivi due milioni di euro circa. COGNOME avrebbe conferito alla società, negli anni 2000 e 2001, 1.900.00,00 euro, circostanza che inciderebbe sull’elemento soggettivo del reato, ma di cui non vi sarebbe traccia in sentenza. L’imputato avrebbe rescisso ogni legame con la società nel 2005 per agevolare un piano di ristrutturazione aziendale e il pagamento dei debitori, senza che ciò sia stato valutato ai fini della configurabilità del dolo. In generale, si opina che la sentenza impugnata avrebbe valorizzato l’atto distrattivo in quanto tale, senza vagliare l’offensività reale della condotta ovvero l’idoneità del depauperamento patrimoniale a vulnerare l’integrità della garanzia dei creditori. Sotto il profilo soggettivo, poi, la Corte avrebbe omesso di verificare la consapevolezza della concreta incidenza degli atti distrattivi sulle prospettive di soddisfacimento dei creditori. Inoltre, per le condotte di falsa tenuta di scritture contabili avrebbe dovuto essere vagliato il dolo inteso quale coscienza e volontà di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonchØ la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell’aggravante del danno di rilevante gravità. La sentenza riterrebbe integrata tale circostanza senza valutare il rapporto tra l’entità della distrazione e il danno arrecato ai creditori in termini di diminuzione patrimoniale, ma considerando soltanto l’entità del danno cagionato dalla condotta distrattiva. Pertanto, una volta esclusa l’aggravante, il reato sarebbe prescritto, come osservato dallo stesso Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria nelle sue conclusioni scritte, depositate il 30 maggio 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Appare opportuno premettere, per una migliore comprensione della vicenda e al fine di una piø compiuta analisi delle questioni giuridiche poste con i due motivi di ricorso, una breve sintesi della ricostruzione fattuale compiuta dalle due sentenze di merito.
Secondo quanto emerso in sede istruttoria, sin dalla costituzione della società RAGIONE_SOCIALE , COGNOME aveva svolto il ruolo di socio di fatto, investendo nell’impresa ingenti risorse finanziarie. Nondimeno, la società aveva registrato perdite economiche sin dal principio, trovandosi a fronteggiare, già dal 2003, una crisi significativa che aveva portato a chiudere il bilancio di esercizio con un passivo di oltre un milione di euro, quasi raddoppiato nell’anno successivo, allorchØ essa aveva iniziato a subire le prime procedure esecutive, sino ad accumulare, nel proseguo, un’esposizione debitoria di oltre 7 milioni di euro. A fronte di ciò, dal settembre 2005 la società aveva stipulato con la RAGIONE_SOCIALE un contratto di affitto di ramo d’azienda dietro un canone mensile di 13.000 euro, mai contabilizzato, che non avrebbe potuto colmare la sua esposizione debitoria. Inoltre, per quanto di interesse in questa sede, nel 2005, erano stati venduti a NOME COGNOME degli immobili siti in Gioia COGNOME; e il corrispettivo, ammontante a 220.000,00 euro, era stato distratto (capo P). I creditori della società avevano, quindi, avviato la procedura concorsuale, poi conclusa con sentenza di fallimento del Tribunale di Palmi, nel corso della quale il curatore aveva accertato, da un lato, che non era stato rinvenuto alcun registro contabile, nØ su stampa nØ su supporto informatico, a partire dal 2003; e, dall’altro lato, le condotte distrattive contestate al capo P), rispetto alle quali la Corte ha osservato come il coinvolgimento di COGNOME sia dimostrato dalle ammissioni operate dello stesso imputato in sede di esame dibattimentale.
Tanto premesso in termini di ricostruzione fattuale, deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle censure, articolate con il primo motivo, in relazione alla sussistenza della bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale.
3.1. Sotto un primo profilo, la Difesa dell’imputato ha dedotto che l’affermazione di responsabilità dell’imputato si fonderebbe sul mero riconoscimento dell’avvenuta commissione di talune condotte distrattive, senza però verificarne la reale l’offensività, ossia senza accertare l’idoneità del depauperamento patrimoniale a creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori. Inoltre, il ricorso lamenta che non sarebbe dimostrata la reale efficacia causale delle condotte distrattive rispetto alla situazione di dissesto, tenuto conto del fatto che le condotte di COGNOME si arresterebbero al 2005 mentre che la sentenza
dichiarativa di fallimento sarebbe intervenuta soltanto nel 2008; e che lo stato di sofferenza della società sarebbe stato determinato da fattori esterni alle azioni distrattive ascritte all’imputato. E ciò trarrebbe conferma dal fatto che lo stato passivo della società, nel 2008, sarebbe stato pari a circa 7 milioni di euro, a fronte di condotte distrattive stimate in complessivi due milioni di euro circa.
3.2. Osserva, tuttavia, il Collegio che le argomentazioni difensive sono del tutto eccentriche rispetto alla configurazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione come ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità. E’ stato, infatti, affermato, con orientamento ormai del tutto pacifico, per un verso che la bancarotta fraudolenta distrattiva prefallimentare Ł un reato di pericolo concreto da valutarsi ex ante , sicchØ l’atto di depauperamento deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie (Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059 – 01), senza che sia però necessario il verificarsi di un danno effettivo alla massa dei creditori, il quale costituisce un post factum , irrilevante per la realizzazione della fattispecie (Sez. 5, n. 20096 del 26/01/2024, Parcesepe, Rv. 286501 – 01); e, per altro verso, che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non Ł necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 – 01; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 261942 – 01; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262741 – 01; Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 260690 – 01; Sez. 5, n. 11793/14 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 260199 – 01; Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012, COGNOME, Rv. 254061 – 01).
Ne consegue che non ha rilevanza alcuna, ai fini della integrazione del delitto contestato, nØ la circostanza che le condotte distrattive possano non avere effettivamente creato un vulnus all’area di garanzia dei creditori, attesa la ricordata natura di reato di pericolo della fattispecie in esame, nØ che tali condotte abbiano da sole determinato la situazione di dissesto, che ben potrebbe essere stata determinata dall’azione concorrente di una pluralità di fattori, cui le condotte distrattive abbiano, comunque, concorso. Ciò che, all’evidenza, priva di qualunque rilievo il fatto che, a fronte di un passivo accertato in 7 milioni di euro, le condotte distrattive possano avere avuto, come dedotto a pag. 3 del ricorso, un ammontare di ‘soli’ 2 milioni di euro circa.
Quanto, poi, alle ulteriori deduzioni difensive in ordine all’elemento soggettivo, del tutto generica Ł l’osservazione secondo cui la sentenza non avrebbe tenuto conto dei conferimenti operati da COGNOME in favore della società, non escludendo questi ultimi il successivo compimento di condotte distrattive da parte dell’imputato una volta consolidatasi la situazione di dissesto con la conseguente decisione di sottrarre alle ormai inevitabili azioni esecutive dei creditori le risorse della società ancora presenti nel suo patrimonio. Quanto, poi, al rilievo difensivo secondo cui la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare se COGNOME fosse consapevole della concreta incidenza degli atti distrattivi sulle prospettive di soddisfacimento delle pretese dei creditori, si tratta di un profilo che dalla incontestata sintesi della sentenza impugnata non risulta essere stato devoluto con l’atto di appello, sicchØ la mancata trattazione dello stesso da parte della Corte territoriale non può essere censurata in sede di ricorso per cassazione.
In ultimo, quanto alle condotte di bancarotta documentale, la doglianza difensiva concernente la mancata ricostruzione di un dolo generico inteso come volontà di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, Ł appena il caso di osservare che la fattispecie di reato che Ł stata ritenuta integrata Ł quella della bancarotta documentale specifica prevista dalla prima parte dell’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall., per la quale Ł richiesto il dolo specifico consistente nello scopo di procurare, a sØ
o ad altri, un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. SicchØ anche tale rilievo non appare affatto pertinente nel caso di specie e, conseguentemente, deve ritenersi del tutto generico.
Infondato Ł anche il secondo motivo del ricorso, con cui la Difesa deduce che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante dell’avere cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
4.1. In argomento va premesso che il piø risalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità valorizzava, ai fini della sussistenza della fattispecie prevista dall’art. 219, primo comma, legge fall., la sola entità del passivo (Sez. 5, n. 5927 del 21/11/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 184139 – 01). Al contrario, l’orientamento attualmente consolidatosi ritiene che l’aggravante in esame ricorra in presenza di un danno di rilevante gravità da valutarsi con riferimento «non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta» sicchØ, il relativo giudizio «non si riferisce al singolo rapporto tra fallito e creditore ammesso al concorso» ma «alla diminuzione – non percentuale ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti» (Sez. 1, n. 12087 del 10/10/2000, COGNOME, Rv. 217403 – 01; Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992, COGNOME, Rv. 191565 – 01). Dunque, l’entità del danno provocato dalla bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale e non al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo e va determinata indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (Sez. 1, n. 28009 del 10/04/2024, COGNOME, Rv. 286675 – 01); sicchØ l’aggravante può essere integrata anche in presenza di un danno che rappresenti una frazione ‘non rilevante’ del passivo globalmente considerato (Sez. 5, n. 13285 del 18/01/2013, COGNOME, Rv. 255063 – 01; Sez. 5, n. 49642 del 02/10/2009, COGNOME, Rv. 245822 – 01). Nondimeno, perchØ la circostanza aggravante sia configurabile non Ł sufficiente la presenza di un fatto di bancarotta di rilevante gravità quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, ma occorre anche che il pregiudizio in capo ai creditori, complessivamente considerato, sia anch’esso di rilevante gravità (così Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017, COGNOME, Rv. 271274 01).
4.2. Ora, sull’argomento, i Giudici di primo grado avevano ritenuto, con motivazione non censurabile sotto il profilo, prettamente di merito, del valore dei beni distratti, che attesa l’entità delle somme non contabilizzate e oggetto di appropriazione, fosse stato certamente integrato un danno di rilevante gravità. Ciò, evidentemente, in quanto era stata sottratta all’attivo fallimentare una somma cospicua, che aveva ridotto, in modo significativo, l’entità dell’attivo fallimentare disponibile per il soddisfacimento delle ragioni creditorie.
A fronte di tale motivazione, l’imputato si era limitato, con l’atto di appello, ad affermare che il danno economico di rilevante entità non fosse stato provato. E ciò in quanto non risultava dimostrato se i creditori della società fallita fossero stati o meno soddisfatti dall’attivo fallimentare, nØ se si fossero inseriti nel fallimento o se avessero ottenuto dei sussidi da parte dei fondi previdenziali.
Tale motivo, tuttavia, era stato articolato in maniera del tutto generica. Ciò in quanto erano stati richiamati aspetti del tutto estranei all’ambito della fattispecie, quali la partecipazione dei creditori alla procedura fallimentare ovvero l’esito satisfattivo della stessa, dovendo il danno agli stessi arrecato essere misurato al tempo del fallimento (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME, in motivazione) e non certo al tempo della conclusione della procedura. E ciò in quanto, come ricordato, ai fini dell’esistenza del danno
deve aversi riguardo alla riduzione provocata sulla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (v. supra § 4.1.). Per la stessa ragione, risulta viepiø irrilevante, per quanto qui di interesse, anche l’ultima circostanza dedotta, ovvero l’eventuale accesso a sussidi da parte dei creditori.
Ne consegue che, a fronte della inconferenza del motivo di appello, deve ritenersi non censurabile la pur sintetica motivazione con cui il Collegio di merito ha affermato la sussistenza dell’aggravante in considerazione del rilevante ammontare del danno arrecato dalla condotta distrattiva dei beni aziendali, sottratti al soddisfacimento della massa dei creditori.
Inoltre, dalla infondatezza del motivo concernente la configurabilità dell’aggravante in questione deriva che la stessa deve reputarsi correttamente ritenuta dalla Corte territoriale, sicchØ di essa, in quanto circostanza ad effetto speciale, deve tenersi conto per la determinazione del tempo necessario a prescrivere. Pertanto, il relativo termine non può considerarsi ancora spirato, essendo la scadenza fissata al 25 novembre 2026.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. GLYPHGLYPHCosì deciso in data 29 maggio 2025
Il Presidente NOME COGNOME