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Bancarotta fraudolenta: quando è reato? Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta fraudolenta a carico di alcuni amministratori. Questi avevano ceduto immobili della società per ottenere un mutuo, quattro anni prima del fallimento. La Corte ha stabilito che non ogni atto che riduce il patrimonio è reato, ma solo quello che crea un ‘pericolo concreto’ per i creditori. Tale pericolo va valutato al momento dell’operazione, non a posteriori. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: Quando un Atto è Davvero Reato?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, interviene per delineare con maggiore precisione i confini del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La pronuncia sottolinea un principio fondamentale: non ogni atto che diminuisce il patrimonio di una società prima del fallimento è automaticamente un crimine. È necessario che tale atto abbia creato un pericolo concreto e reale per le ragioni dei creditori, valutato al momento in cui è stato compiuto.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda gli amministratori di una società immobiliare, condannati in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta. L’accusa era di aver distratto due unità immobiliari dal patrimonio della società, poi fallita. L’operazione contestata consisteva nella stipula di un contratto di usufrutto ventennale e di un contratto di locazione a favore di un’altra società controllata dagli stessi amministratori, senza che i canoni venissero mai versati. Parallelamente, la nuda proprietà degli immobili era stata trasferita a una terza società.

L’intera manovra era stata concepita per ottenere un importante mutuo da una banca, necessario a fornire liquidità alla società in un momento di difficoltà finanziaria. Tuttavia, il fallimento della società è stato dichiarato circa quattro anni dopo questa operazione economica.

La Valutazione del Rischio nella Bancarotta Fraudolenta

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’operazione non era distrattiva, ma mirava a salvare l’azienda, e che il lungo lasso di tempo trascorso tra l’atto e il fallimento escludeva la volontà di frodare i creditori. La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo, annullando la sentenza di condanna.

La Corte ha ribadito che il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è un ‘reato di pericolo concreto’. Ciò significa che, per la condanna, non basta dimostrare la semplice diminuzione del patrimonio. Il giudice deve accertare che l’atto di disposizione sia stato concretamente idoneo a mettere in pericolo la possibilità per i creditori di essere pagati.

L’Importanza della Valutazione ‘Ex Ante’

Un punto cruciale della decisione è la necessità di una valutazione ex ante, cioè basata sulla situazione esistente al momento in cui l’operazione è stata compiuta, e non ex post, ovvero alla luce del successivo fallimento. Se al momento dell’atto l’impresa non si trovava nella cosiddetta ‘zona di rischio penale’ (cioè in prossimità dello stato di insolvenza), un’operazione economica, anche se riduttiva del patrimonio, potrebbe non essere considerata reato.

Le Contraddizioni della Corte d’Appello sul Tema della Bancarotta Fraudolenta

La Cassazione ha evidenziato la contraddittorietà delle motivazioni della Corte d’Appello. La stessa sentenza impugnata, infatti, ammetteva che l’operazione potesse apparire ‘neutra’ o addirittura ‘vantaggiosa’ in astratto, in quanto funzionale a ottenere un finanziamento vitale per la società. Questa ammissione, secondo la Cassazione, è in netto contrasto con la successiva conclusione di colpevolezza per un reato di distrazione, che presuppone una volontà fraudolenta.

Inoltre, la sentenza d’appello non ha adeguatamente considerato l’elemento temporale: i quattro anni intercorsi tra l’operazione e il fallimento rendono più difficile sostenere la tesi di una preordinazione dell’atto a danno dei creditori.

le motivazioni

La Corte Suprema ha annullato la sentenza perché la motivazione era superficiale e contraddittoria. Non è stato adeguatamente provato che l’operazione, realizzata quattro anni prima del fallimento e finalizzata a ottenere liquidità, costituisse un pericolo concreto per i creditori al momento in cui fu posta in essere. La Corte d’Appello non ha svolto un’analisi approfondita sulla reale offensività della condotta né sull’effettiva sussistenza del dolo specifico, ovvero l’intenzione di danneggiare i creditori. Il caso è stato quindi rinviato a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per un nuovo esame che tenga conto dei principi di diritto enunciati, valutando anche la possibile riqualificazione del fatto in un reato meno grave come la bancarotta preferenziale.

le conclusioni

Questa sentenza è di grande importanza per imprenditori e professionisti. Essa chiarisce che la gestione del patrimonio sociale, anche quando comporta atti di disposizione, non sfocia automaticamente nel penale in caso di successivo fallimento. La liceità di un’operazione va valutata nel contesto economico e temporale in cui si inserisce. Per configurare la bancarotta fraudolenta, l’accusa deve provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’atto non solo ha diminuito il patrimonio, ma ha creato un pericolo reale e attuale per i creditori e che l’imprenditore ha agito con la precisa finalità di danneggiarli.

Qualsiasi operazione che diminuisce il patrimonio di un’azienda prima del fallimento costituisce bancarotta fraudolenta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non ogni atto che riduce il patrimonio sociale integra il reato. È necessario che l’atto sia concretamente idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento dei creditori.

Cosa intende la Corte per ‘reato di pericolo concreto’ nel contesto della bancarotta fraudolenta?
Significa che il reato si perfeziona non con il danno effettivo, ma con la creazione di un pericolo tangibile e attuale per gli interessi dei creditori. La valutazione di tale pericolo deve essere fatta dal giudice analizzando la qualità del distacco patrimoniale e il suo reale valore economico al momento del fatto.

Quanto è importante il tempo trascorso tra l’operazione contestata e la dichiarazione di fallimento?
È molto importante. Un notevole lasso di tempo (in questo caso, quattro anni) tra l’operazione economica e il fallimento può indebolire l’accusa di una preordinazione dell’atto a scopo distrattivo e deve essere attentamente considerato dal giudice per valutare l’intenzione fraudolenta dell’imprenditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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