Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35403 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35403 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a PARMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a PARMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/01/2025 della CORTE APPELLO di BOLOGNA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La sentenza della Corte di appello di Bologna oggetto di ricorso, datata 28.01.2025, ha confermato la decisione di primo grado con cui:
–NOME COGNOME, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE;
NOME e NOME COGNOME, quali soci e amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE e amministratori della società RAGIONE_SOCIALE dal 26.01.2010 al 17.10.2011, e RAGIONE_SOCIALE fin dalla sua costituzione sono stati condannati alla pena di tre anni di reclusione nonché alle pene accessorie fallimentari per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili della distrazione del patrimonio immobiliare (due unità) della fallita RAGIONE_SOCIALE (fallimento dichiarato il 6.5.2013) stipulando un contratto di usufrutto ventennale e, parallelamente, un contratto di locazione a vantaggio della società RAGIONE_SOCIALE, senza che siano stati mai corrisposti i canoni di locazione pattuiti (pari a 72.100 euro per l’appartamento occupato da NOME COGNOME e a 32.500 per l’appartamento occupato da NOME COGNOME), nonché un contratto di trasferimento della nuda proprietà degli immobili stessi dalla medesima RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE
Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto che gli imputati abbiano attuato tale operazione economica, funzionale ad ottenere un mutuo dell’importo di 710.000 euro dalla banca BNL, che a sua volta diveniva creditore ipotecario degli immobili, in modo fraudolento, con lo scopo di restituire liquidità alla RAGIONE_SOCIALE, in sofferenza finanziaria perché la stessa BNL le aveva negato l’ultima rata di un mutuo da erogare, pari a oltre 10.000.000 euro, concesso per il completamento e la vendita del complesso immobiliare di Felino, che la società stava ultimando.
Tuttavia, la RAGIONE_SOCIALE era fallita dopo quattro anni circa.
Il dissesto si era aggravato, poi, perché la provvista necessaria a pagare il mutuo contratto con BNL, che doveva provenire anche dai canoni d’affitto degli immobili, non era mai stata versata da parte dei conduttori – i due imputati NOME e NOME COGNOME – e il loro padre e coimputato NOME non aveva mai preteso la corresponsione di tali canoni a favore della fallita.
Da tali indicatori, la sentenza impugnata ha tratto la prova degli elementi oggettivo e soggettivo del reato, secondo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in quanto l’operazione economica era stata dolosamente diretta a compromettere l’integrità del patrimonio sociale della fallita a discapito dei creditori non privilegiati.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, con un unico atto, tramite il difensore di fiducia, deducendo quattro diversi motivi.
2.1. Il primo argomento che si propone attiene al vizio di violazione di legge, derivato dalla violazione del contraddittorio: la Corte non ha trattato il processo nella forma orale richiesta dalla difesa e ha deciso in mancanza delle conclusioni della Procura generale presso la Corte di appello, neppure presentate in forma scritta, vista l’assenza di comunicazione all’imputato.
Tale situazione, causando una lesione del diritto di difesa, nella specie del diritto a replicare alle deduzioni della parte pubblica, ha generato una nullità a regime intermedio, tempestivamente eccepita con il ricorso per cassazione, primo momento processuale utile.
2.2. La seconda censura denuncia violazione di norme processuali e nullità intermedia derivata dalla mancata comunicazione della modifica del rito da orale a scritto: il calendario di udienza pubblicato online recava l’indicazione che il processo sarebbe stato trattato oralmente, sicché qualsiasi modifica successiva a tale indicazione, che aveva creato un affidamento nelle parti, avrebbe dovuto essere debitamente comunicata.
Non rileva, in proposito, che l’istanza di trattazione orale della difesa sia stata ritenuta eventualmente inammissibile perché notificata ad un indirizzo di pec erroneo (quello della Procura generale di Bologna, piuttosto che quello della Corte di appello).
2.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge quanto all’affermazione di responsabilità dei ricorrenti, poiché mancherebbe la prova dell’elemento oggettivo del reato e di quello soggettivo.
Quanto al primo profilo, la sentenza impugnata adotta un criterio interpretativo erroneo, ritenendo che qualsiasi distacco di un bene dal patrimonio sociale integri sempre e comunque il reato di bancarotta distrattiva, se sopravviene il fallimento.
Viceversa, poiché la condotta di messa in pericolo concreta del bene protetto dalla disposizione incriminatrice deve essere valutata ex ante e non ex post, nel caso di specie non può ritenersi che l’operazione economica contestata sia stata posta in essere con la consapevolezza di mettere a rischio l’integrità patrimoniale, essendo trascorsi quattro anni tra i negozi giuridici censurati e il fallimento, momento in cui si considera integrato il delitto.
Dalle motivazioni dei giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, emerge che l’operazione realizzata dai ricorrenti sia stata considerata lecita e neutra al momento in cui è stata concepita, il che contraddice la volontà delittuosa e la preordinazione delle condotte alla distrazione.
Quanto al secondo aspetto, la condotta di reato è stata ritenuta dolosa (con dolo specifico) sulla base di tre indicatori che la difesa contesta: a) il distacco de beni senza adeguata contropartita; b) il mancato pagamento successivo dei canoni di locazione; c) la scelta premeditata di dare luogo ad un’operazione finanziaria lesiva degli interessi di (alcuni dei) creditori.
Il ricorso evidenzia che l’operazione economica era stata considerata vantaggiosa al momento in cui è stata pianificata e realizzata, concordata con l’unico creditore già privilegiato, vale a dire l’istituto di credito mutuante, mentr gli altri creditori erano e sono rimasti chirografari. Inoltre, il notevole spaz temporale – ben quattro anni – tra l’operazione economica e il fallimento depone nel senso dell’insostenibilità della preordinazione dell’operazione alla distrazione.
L’omesso pagamento dei canoni di locazione da parte dei beneficiari (i due coimputati NOME e NOME COGNOME) è stato dovuto alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale di concordato.
2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, con riguardo alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche agli imputati, sul presupposto, che la difesa contesta, dell’ostacolo alle operazioni della curatela.
Gli imputati hanno consegnato tutta la documentazione della fallita tramite il ragioniere della società, né si possono dedurre conseguenze negative da scelte procedimentali di difendersi legittime.
Il AVV_NOTAIO Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso con requisitoria scritta.
3.1. La difesa degli imputati ha depositato memorie di replica alla requisitoria del Procuratore generale, con le quali reitera le considerazioni del ricorso e soprattutto il motivo processuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, per le ragioni che si indicheranno di seguito.
I primi due, preliminari motivi di censura sono prospettati in modo generico, a tratti poco chiaro e, in ogni caso, risultano inammissili perché privi di adeguato riscontro documentale nel fascicolo processuale, cui il Collegio ha avuto accesso data la natura dei vizi dedotti (cfr. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092).
Emerge dallo stesso atto di impugnazione che la difesa del ricorrente aveva erroneamente trasmesso la richiesta di trattazione orale del processo alla pec della
Procura Generale presso la Corte di appello, piuttosto che a quella dell’ufficio giudicante.
Tale errore ha generato, verosimilmente, un ulteriore equivoco, vale a dire l’indicazione del processo come a trattazione orale nel prospetto delle requisitorie scritte con cui l’ufficio di Procura bolognese ha concluso per i processi fissati all’udienza del 28.01,2025; prospetto che, a sua volta, inviato al difensore, probabilmente è alla base della convinzione difensiva circa la trattazione orale, non essendovi alcun atto presente nel fascicolo o prodotto dalla difesa che, provenendo dalla Corte di appello, dia conto di tale modalità di trattazione.
Anzi, sia l’intestazione della sentenza di appello che il verbale di udienza danno conto di come il processo si sia svolto a trattazione cartolare e scritta, con le conclusioni dell’ufficio di Procura, delle quali, pertanto, non vi è dimostrazione di mancanza, come invece argomenta il ricorso solo apoditticamente.
Del resto, neppure tali conclusioni avrebbero dovuto essere comunicate alle parti, dal momento che, seguendo recente e condivisibile orientamento di questa Corte regolatrice, nel procedimento cartolare novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022, la cui disciplina è vigente dal 1 luglio 2024, la comunicazione, a cura della cancelleria, delle conclusioni del pubblico ministero alle altre parti, diversamente da quanto stabilito per il previgente rito cartolare “pandemico”, non è più prevista né per il procedimento di appello ex art. 598-bis cod. proc. pen., né per quello di cassazione ex art. 611 cod. proc. pen., essendo stabilito esclusivamente che le richieste del Procuratore generale siano presentate quindici giorni prima dell’udienza e che le parti possano presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima dell’udienza, memorie di replica, sicché le richieste avanzate dalla parte pubblica sono a disposizione delle altre parti, che possono richiederne copia alla cancelleria, mentre eventuali comunicazioni relative al deposito devono considerarsi di mera “cortesia”, non sussistendo più alcun obbligo al riguardo (Sez. 2, n. 15245 del 06/03/2025, COGNOME, Rv. 287897 – 01).
Dunque, se si pretende di desumere dal mancato invio delle conclusioni dell’ufficio di Procura generale la loro mancanza, si segue un’indicazione che, invece, è smentita dall’attuale sistema normativo.
Un’ulteriore osservazione vale a rendere ancora meno incisiva la denuncia del ricorso: nulla è stato dedotto quanto all’eventuale comparizione in aula del difensore e alla rappresentazione, da parte sua, al Collegio di appello, dell’errore in cui si sarebbe incorsi nella comunicazione della forma di trattazione del processo.
Alla luce di tali determinazioni, è evidentemente del tutto fuori fuoco anche il motivo di censura con cui si eccepisce l’illegittima modifica delle modalità di trattazione dell’udienza, da orale a scritta, non essendovi alcuna prova in atti
dell’effettiva fissazione del processo con forma orale né avendo la difesa provato altrimenti tale circostanza, peraltro smentita -come detto- dal verbale di udienza.
Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso, con riguardo alla denuncia della mancanza di prova dell’elemento oggettivo del reato e di quello soggettivo.
3.1. Non sbaglia la difesa quando osserva che non sempre e non qualsiasi distacco di un bene dal patrimonio sociale integra il reato di bancarotta distrattiva, se sopravviene il fallimento.
Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, infatti, è reato di pericolo concreto, in quanto l’atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare, sicché, ai fini della prova del reato, il giudice, oltre alla constatazione dell’esistenza dell’atto distrattivo, deve valutare la qualità del distacco patrimoniale che ad esso consegue, ossia il suo reale valore economico concretamente idoneo a recare danno ai creditori (Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059 – 01).
Il tema dell’offensività reale della condotta contestata nell’egida della bancarotta patrimoniale prefallimentare merita di essere valutato secondo una dimensione ermeneutica costituzionalmente orientata, di rinnovata attenzione alla natura della fattispecie di bancarotta distrattiva prefallimentare quale reato di pericolo concreto.
Secondo quanto già evidenziato, nella sentenza citata, da questa stessa sezione, non vi è dubbio che la Corte di cassazione disegni attualmente il paradigma tipologico del delitto previsto dall’art. 216, comma primo, n. 1, prima parte, I. fall., secondo lo schema del reato di pericolo concreto, con particolare riguardo – per quel che interessa alla presente analisi – alla condotta dell’imprenditore che abbia distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte i suoi beni (per tutte, cfr. Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, COGNOME, Rv. 269562 e Sez. 5, n. 38396 del 23/6/2017, COGNOME, Rv. 270763; in tema di bancarotta fraudolenta dissipativa cfr. Sez. 5, n. 533 del 14/10/2016, dep. 2017, Zaccaria, Rv. 269019).
Il pericolo deve valutarsi ex ante ancorchè al momento della declaratoria dello stato di insolvenza, in riferimento agli atti depauperativi compiuti nella cd. zona di rischio penale (cfr. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, COGNOME, Rv. 246879, in motivazione, e Sez. 5, n. 18517 del 22/2/2018, Lapis, Rv. 273073) ed alla qualità oggettiva della distrazione, sebbene realizzata in un tempo lontano dal fallimento, se particolarmente condizionante in negativo per le sorti future della società.
La zona di rischio penale è quella che in dottrina viene comunemente individuata come “prossimità dello stato di insolvenza”, quando l’apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall’agente imprenditore o figura equiparata, è destinato a orientare la “lettura” di ogni sua iniziativa di distacco dei beni – fatte salve quelle inquadrabili nelle altre ipotesi di reato pure previste dall legge fallimentare del 1942 – nel senso della idoneità a creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali (così la sentenza COGNOME, cit.).
Dunque, un’esegesi costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare come reato di pericolo concreto (in tema, oltre alla citata sentenza COGNOME, cfr. anche Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 261683) impone di valutare la rilevanza penale delle condotte e la loro offensività in base all’idoneità ex ante degli atti depauperativi a mettere realmente a rischio la garanzia dei creditori della massa fallimentare, in un parametro spazio-temporale ragionevole (la “zona penale di rischio”) entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo.
La sentenza Sez. 5, n. 17819 del 24/3/2017, COGNOME, Rv. 269562 segna idealmente il passaggio della giurisprudenza di legittimità ad una linea interpretativa più consapevole e approfondita per la definizione del delitto di bancarotta distrattiva prefallimentare quale forma di reato a pericolo concreto, puntando sulla valorizzazione del peso dell’atto di depauperamento, che, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo precedente all’apertura della procedura fallimentare (conforme, esplicitamente, Sez. 5, n. 50081 del 14/9/2017, COGNOME, Rv. 271437; vedi anche Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, COGNOME, Rv. 281031-04, in motivazione).
Tuttavia, si è altrettanto condivisibilmente chiarito che non deve confondersi l’esposizione a pericolo, sufficiente per l’integrazione del reato, con il danno alla massa dei creditori, requisito non richiesto dalla norma come essenziale e che costituisce un post-factum, anche perché l’assenza di danno non è essa stessa prova di mancata esposizione a pericolo, poiché tale assenza, invece, può derivare dalla complessiva attività di recupero posta in essere, dopo il fallimento, dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 17819 del 24/3/201k COGNOME, Rv. 269562, in motivazione; Sez. 5, n. 13382 del 3/11/2020, COGNOME, Rv. 281031, che, entro tali coordinate di ragionamento, ha affermato, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’irrilevanza
sotto il profilo dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, dell’assenza di un danno per i creditori).
Si ribadisce, pertanto, la necessità di abbandonare posizioni ermeneutiche che schiacciano in termini assertivi la prospettiva della ricerca della prova del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare sul punto genetico del distacco, senza esplorare ed approfondire i caratteri qualitativi di tale distacco patrimoniale (cfr. la citata sentenza Sez. 5, Messina), vale a dire:
il tempo in cui esso avviene: poiché lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e soprattutto quando l’impresa o la società sono in bonis, l’imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni le destinazioni che ritiene utili alla conservazione del valore del patrimonio sociale nel suo complesso, senza che possa essere esasperato il concetto, pur presente nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui l’atto distrattivo rileva in qualsiasi tempo sia stato commesso precedentemente al fallimento (Sez. 5, n. 316 del 27/11/1985, dep. 1986, COGNOME, Rv. 171578).
La dimensione ermeneutica della zona di rischio penale segna, quindi, la crisi di tale prospettiva e sigla il passaggio definitivo alla visione costituzionalmente orientata del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale pre-fallimentare;
la sua “qualità” oggettiva, e cioè il suo valore economico reale e la sua concreta idoneità a porre in pericolo la garanzia che la massa dei creditori, al momento del fallimento, sarà in grado di escutere.
3.2. Nel caso di specie, dalle motivazioni dei giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, emerge una posizione non lineare riguardo alla natura distrattiva e fraudolenta dell’operazione di cessione degli immobili priva di corresponsione di canoni di locazione, contestata nell’imputazione.
La stessa sentenza impugnata, infatti, al par. 4.2., ha sostenuto la liceità dell’operazione in astratto – ritenuta, altresì, anche apparentemente “neutra” o addirittura “vantaggiosa” per il creditore privilegiato BNL – «dal momento che la cessione degli immobili era stata funzionale all’ottenimento del mutuo necessario a dar linfa vitale alla RAGIONE_SOCIALE, e non atta a pregiudicare i creditori con un’operazione di distrazione patrimoniale».
E dopo avere così argomentato, la sentenza prosegue – ancora più pericolosamente dal punto di vista della coerenza del percorso argomentativo – sul crinale di una ricostruzione della fattispecie che vira verso l’approdo di una bancarotta preferenziale (illuminante il passaggio della sentenza in cui, a pag. 6, si rappresenta che “L’operazione.., veniva effettuata a discapito dei creditori non privilegiati”), a vantaggio del creditore assistito da garanzia reale (la BNL), anziché sostenere, con argomenti concreti, la narrazione dell’ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva alla quale, invece, poi si giunge.
Le motivazioni del provvedimento di appello appaiono, pertanto, contraddittorie e, comunque, superficialmente adattate alla sentenza di primo grado e alla centralità del distacco patrimoniale, senza tenere in conto la tipologia di operazione economica – i due immobili erano stati messi a disposizione per eseguire comunque l’aumento di capitale della società RAGIONE_SOCIALE, ancorchè destinati a rispondere al bisogno abitativo familiare dei ricorrenti NOME e NOME COGNOME – e, anzitutto, il tempo in cui tale operazione è stata commessa, lontano quattro anni dal fallimento.
In ogni caso, dopo il confronto con i più moderni approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità, già richiamati, ai quali, pertanto, è necessario riadattare il percorso logico entro cui sono stati esaminati gli elementi di fatto e le prove acquisite nel processo, si potrà pervenire alle medesime conclusioni già adottate nella sentenza impugnata.
Invero, il giudice di rinvio, in caso di annullamento per vizio di motivazione, è investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventual giudicato interno e le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicché non è vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale è legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito, come anche analoghe (Sez. 5, n. 38139 del 13/09/2024, C., Rv. 288174 – 03; Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, Tannburrino, Rv. 280660 – 01; Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F, Rv. 271345 – 01).
3.3. Critica risulta anche l’indagine condotta dalla Corte territoriale sul dolo del reato configurato, che è stato trattato fugacemente, superando in modo assertivo l’obiezione difensiva, ancora una volta incentrata sul tempo considerevole intercorso tra l’unica operazione economica ritenuta depauperativa e il fallimento, sebbene valorizzando alcuni fattori indizianti (la cointeressenza tra le società beneficiarie e la loro riconducibilità al medesimo nucleo familiare) che potranno essere ancora meglio esplorati nel giudizio di rinvio.
3.4. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che verificherà, oltre alla configurabilità del reato contestato, alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata, anche le condizioni concrete per ritenere configurabile, in tutto o in parte, la condanna in ordine al diverso reato di bancarotta fraudolenta preferenziale.
3.5. Sono assorbiti gli argomenti di censura relativi al trattamento sanzionatorio.
9 GLYPH
24E)
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione dell Corte di appello di Bologna.
Così deciso il 15 ottobre 2025.