Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30469 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30469 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LENDINARA il 17/08/1964
inoltre:
Fallimento “RAGIONE_SOCIALE“
avverso la sentenza del 09/12/2024 della Corte d’appello di Venezia Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che conclude per l’annullamento con rinvio per il capo b), rigetto nel resto.
L’avvocato COGNOME dopo aver illustrato i motivi di ricorso insiste per l’accoglimento.
Ritenuto in fatto
1. E’ stata impugnata la sentenza della Corte d’appello di Venezia che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine al delitto di bancarotta semplice documentale di cui al capo C) della rubrica perché estinto per prescrizione; e, concesse le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante dei più fatti di bancarotta di cui all’art. 219 comma 2 n. 1 L.F. , ha rideterminato in anni 2 di reclusione la pena inflittagli in primo grado in relazione ai delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di un’autovettura Ferrari venduta sottocosto -capo A) -e di
bancarotta fraudolenta documentale -capo B), con l’irrogazione delle pene accessorie fallimentari, a loro volta ridotte ad una durata corrispondente a quella della pena principale. La sentenza di primo grado è stata confermata anche agli effetti civili, collegati al fatto distrattivo di cui sopra. Il COGNOME è stato ritenuto responsabile di tali reati in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 14 marzo 2013.
2.Il ricorso per cassazione, a firma di difensori abilitati, consta di cinque motivi, a loro volta suddivisi in paragrafi, di seguito indicati nei limiti di stretta necessità di cui all’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1.Il primo motivo ha denunciato vizi di violazione di legge penale e di motivazione, anche per travisamento e in relazione ad atti del processo espressamente richiamati ed allegati, a riguardo della condanna per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Quanto all’elemento oggettivo, la sentenza avrebbe sostanzialmente equivocato la deposizione del teste COGNOME, acquirente della Ferrari dalla società fallita, perché costui non avrebbe mai confermato di averla successivamente rivenduta per il prezzo di 90.000 euro; ha, anzi, spiegato che con la società RAGIONE_SOCIALE, sua acquirente, egli avrebbe compiuto un’operazione di compravendita complessa: avrebbe acquistato una BMW X6 nuova, accompagnata da un conguaglio in denaro ‘ tra ‘ 15.000 e 18.000 euro, ed avrebbe ceduto, in controprestazione e in permuta parziale, la Ferrari e una Toyota Rav 4 usata -alla quale la sentenza impugnata avrebbe attribuito un valore arbitrario.
2.1.1.Il secondo paragrafo del primo motivo si è concentrato sull’elemento soggettivo del reato di bancarotta per distrazione. La sentenza impugnata avrebbe fatto riferimento al bilancio del 2009, approvato nel 2010, per affermare che la società era in istato di dissesto, mentre il contratto in esame è stato stipulato nel 2008, quando la società si sarebbe trovata ‘in ottima salute’ e comunque al di fuori di una condizione di rischio penale, con riflessi sulla prova della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
2.2.Il secondo motivo ha lamentato analoghi vizi di cui all’art. 606 cod. proc. pen. per quanto concerne l’acquisizione della prova del delitto di bancarotta fraudolenta documentale. La sentenza impugnata -come scritto nel primo paragrafo – avrebbe confermato la condanna sulla scia delle parole del curatore, con una motivazione contraddetta dalle risultanze probatorie. Avrebbe esteso le proprie considerazioni all’omessa tenuta del libro giornale, che era invece oggetto di una contestazione diversa, quella di bancarotta semplice; avrebbe erroneamente rilevato la mancata consegna del libro degli inventari del 2010 -che, invece, è stato messo a disposizione del curatore, come da lui stesso ammesso -e quello del 2011, che risulta di contro consegnato, come da ricevuta di consegna da lui sottoscritta e da lui riconosciuta in dibattimento. Tale situazione integrerebbe un vizio di travisamento della prova, nel quale sarebbe incorso anche il giudice di primo grado. Senza contare -prosegue il ricorrente -che la ditta fallita si occupava di trasporti e, pertanto, il suo ‘magazzino’ sarebbe stato di modeste dimensioni e non avrebbe richiesto alcuna enumerazione di dettaglio.
2.2.1. Il secondo paragrafo ha posto l’accento sulla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato , con riferimento alle scritture ‘la cui assenza o tenuta irregolare ha impedito la ricostruzione del patrimonio aziendale’. L’imputazione ha riguardato due distinte ipotesi di bancarotta documentale, a dolo specifico e a dolo generico e, questa seconda, avrebbe fatto esclusiva menzione -attraverso l’inciso ‘in particolare’ del libro inventari al 31/12/11, del libro dei cespiti ammortizzabili relativo al 2010 e del libro inventari del 2010 ma in quanto mancante della descrizione delle attività e passività. Ma la sentenza impugnata avrebbe ampliato arbitrariamente la contestazione a scritture diverse da queste -così da trascinare la motivazione in una nullità per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, che sarà ribadita nel terzo paragrafo del secondo motivo -e, più esattamente, alla mancanza del libro inventari del 2008 e del 2010, alla mancanza del libro giornale del 2006 e del 2013 e alla mancanza delle annotazioni di apertura e chiusura del libro giornale del 2012. Sarebbero state ‘incluse’ scritture le cui irregolarità l’imputazione ha ricompreso esclusivamente nel capo C), sotto il titolo della bancarotta semplice, come il libro giornale; ma il reato di bancarotta semplice sub C), punibile a titolo di dolo o colpa ma in assenza di precisazioni sul punto, è stato dichiarato estinto per prescrizione. Non sarebbe possibile ‘recuperare’ condotte oggetto di assoluzione per motivare la sussistenza dell’intento di frode preteso dal capo B).
2.2.2.Il terzo paragrafo del secondo motivo ha dedotto la nullità della sentenza per la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ex artt. 521-522 cod. proc. pen., già ascrivibile al primo giudice. La Corte d’appello avrebbe condannato l’imputato ‘sostenendo che la impossibilità di ricostruire il patrimonio o il giro degli affari della società fosse dovuto ad una condotta che non era oggetto di contestazione’, come sarebbe stato già rilevato nell’atto di appello; infine, il curatore sarebbe stato in grado di ricostruire il patrimonio e il volume degli affari.
2.2.3.Il quarto paragrafo del secondo motivo si è appuntato sull’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale. La motivazione sarebbe assente o apparente, perché fondata su petizioni di principio, formulate sulla base della mancata consegna di alcune scritture (libro giornale e libro dei cespiti, pagg. 11-12 sentenza impugnata); e sarebbe stata collegata all’operazione di natura distrattiva avente ad oggetto l’autoveicolo Ferrari, in mancanza di specifica spiegazione sul carattere fraudolento della tenuta delle scritture rispetto al compimento di quella operazione , e insomma di spiegazione sull’efficacia causale dell’una rispetto all’altra . E ancora, le stesse sentenze avrebbero riconosciuto la perfetta ricostruibilità delle vicissitudini relative a tale compravendita, facendo leva sulle dichiarazioni del curatore e sull’esame della documentazione a sua disposizione.
2.3. La doglianza del terzo motivo ha riguardato i medesimi vizi della sentenza con riferimento all’addotta erronea qualificazione giuridica del fatto di bancarotta sub B), ricondotto alla fattispecie di natura fraudolenta anziché a quella punita ai sensi dell’art. 217 L.F.. La conseguenza della fondatezza delle censure mosse con i motivi già ricordati avrebbe dovuto essere, a tutto concedere, la derubricazione dell’addebito in quello di bancarotta semplice; si
tratterebbe, al più, di omissioni od irregolarità formali delle registrazioni, non incidenti sulla possibilità di ricostruire il patrimonio o il volume degli affari.
2.4. Il quarto motivo si è focalizzato sul vizio di motivazione della sentenza impugnata per mancata valutazione delle specifiche doglianze formulate con l’appello. Si tratta di un motivo che, nella sostanza, riepiloga tutto il contenuto dei primi tre motivi che, a vario titolo e diffusamente, hanno protestato l’assenza di risposta alle specifiche ragioni di doglianza tradotte nell’atto di gravame.
2.5. Il quinto motivo ha dedotto un vizio di inosservanza di legge penale e della motivazione a riguardo della commisurazione della durata delle pene accessorie fallimentari, semplicemente allineata alla pena principale una volta ridotta quest’ultima con la concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sull’aggravante contestata.
3.Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. NOME COGNOME ha anticipato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con riguardo al capo b) e rigetto nel resto.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
1.E’ fondato, in particolare, il primo motivo di ricorso, con effetto assorbente rispetto alle altre censure che hanno investito la sentenza di secondo grado a riguardo dell’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
1.1.La giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763), ha affermato che «Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare», di modo che «L’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad
assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa». Si è così inteso circoscrivere l’area delimitativa della consumazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale alla c.d. “zona di rischio penale”, ovvero al parametro spazio-temporale entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto o conoscibile dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo; di tal che, la rilevanza penale della condotta può essere esclusa quando l’azione addebitata, per le sue caratteristiche intrinseche, non sia idonea ad esporre a pericolo il patrimonio dell’impresa e non sia collocabile in un contesto di condotte che abbiano determinato il dissesto (sez.5, n. 18517 del 22/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 273073). I n sostanza, si è voluto porre l’accento sulla necessità che l’interprete, dinanzi ad un atto cronologicamente distaccato, in modo significativo, dall’epilogo della vita dell’impresa, che, impegnando il patrimonio della stessa, ne riduca la consistenza, onde valutare la sua concreta idoneità lesiva rispetto alla garanzia dei creditori, integrante il bene giuridico protetto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare, e apprezzare la proiezione psicologica di tale profilo di offensività nel soggetto agente, si avvalga di «criteri ex ante», che, in relazione alle caratteristiche complessive dell’atto stesso e della situazione finanziaria della società» siano tali da giustificare l’effettiva idoneità di quell’atto a generare una situazione di squilibrio finanziario dell’impresa potenzialmente permanente e da offrire plausibile riscontro dell’esistenza nell’imprenditore della coscienza e volontà di esporre in tal modo a pericolo gli interessi della massa dei creditori. Ciò non esclude, tuttavia, che «il reato possa rimanere integrato da comportamenti, anche antecedenti alla fase finale della vita della azienda, che presentino caratteristiche obiettive (si pensi alla operazione fittizia, alla distruzione o alla dissipazione) che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano congruenti rispetto all’evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all’agente» (così Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, in motivazione, pag. 12, primo capoverso). Dunque, secondo l’interpretazione offerta dalle sentenze citate ormai consolidata in seno alla giurisprudenza di legittimità – il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare non punisce, sempre ed indifferentemente, qualsiasi atto in diminuzione del patrimonio della società, ma soltanto quegli atti che quell’effetto sono idonei a produrre in concreto, «con esclusione di quelle operazioni o iniziative di entità minima o comunque particolarmente ridotta e tali, soprattutto se isolate o realizzate quando la società era in bonis , da non essere capaci di comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio»; questo, tuttavia, non toglie che «vi siano casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” del fatto di bancarotta patrimoniale e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto in una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita
ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, in motivazione pag. 10, punto 4.4.).
1.2. La vendita sottocosto del veicolo Ferrari -unica condotta realizzativa del delitto contestato – anche a concordare con la ricostruzione della sentenza impugnata e con quella di primo grado a proposito dell’effettivo valore economico del bene al momento dell’estromissione dal patrimonio della società fallita (gennaio 2008), avrebbe comportato un depauperamento economico di circa 50.000 euro. Tuttavia, non si è puntualmente dato conto delle condizioni patrimoniali e finanziarie della società al momento del compimento dell’operazione, perché non è stata illustrata, con sufficiente precisione, la collocazione temporale dello stato di dissesto dell’impresa; la decisione impugnata si è limitata ad accennare ad una ‘situazione assai delicata sul piano dell’equilibrio patrimoniale proprio negli anni 2008 -2009’, con il richiamo alla testimonianza del curatore, senza approfondire se, ed in quali termini, l’atto di gestione non virtuoso si sia rivelato concretamente pernicioso per la solidità economica dell’impresa o foriero di produrre o di influenzare, almeno in via embrionale, uno stato di crisi aziendale, tenuto conto dello iato temporale esistente (5 anni) tra il suo perfezionamento e la data della dichiarazione di fallimento; non è nota l’entità del passivo della procedura concorsuale , non è nota l’evoluzione dell’attività imprenditoriale nel corso degli anni e, del resto, il bilancio di esercizio del 2008 si è chiuso con un utile, sia pure di consistenza modesta; una perdita significativa si è radicata alla fine 2009 anche a causa della comparsa del l’opaca appostazione in bilancio di ‘fatture da emettere’, ritenuta strumentale all’edulcorazione delle condizioni patrimoniali dell’ente ; gli atti allegati dalla difesa al ricorso per cassazione, a sostegno del motivo di ricorso che ha dedotto travisamento della prova, consentono di apprendere che nel 2006 ,nel 2007 e nel 2008 non sono state notificate cartelle esattoriali e che in ogni caso il debito erariale degli anni antecedenti al 2008, non superiore a 20.000 euro, fosse compatibile con la fisiologia dell’attività d’impresa. In assenza di evidenze connotate da inequivoca fraudolenza ed in un contesto di incertezza probatoria emergente dal testo stesso del provvedimento impugnato, risalta la debolezza dell’impianto della motivazione anche con riferimento alla configurazione del coefficiente psicologico che deve assistere i profili oggettivi del rimprovero contestato.
2.Parte del primo paragrafo, il secondo, il quarto paragrafo del secondo motivo sono fondati, nei termini e limiti che seguono, con assorbimento delle censure del terzo e del quarto motivo -queste ultime spese sulle deduzioni dei vizi relativi alla conferma della condanna di primo grado per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale – e del quinto motivo, attinente al trattamento sanzionatorio. Mentre la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza -dedotta con il terzo paragrafo del secondo motivo – integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta, con la formulazione di uno specifico motivo di gravame, fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo. Ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di
legittimità, come invece accaduto nel caso di specie ( ex multis , sez.4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886; sez.6, n. 31346 del 12/07/2012, COGNOME, Rv.253217).
2.1.Mette conto rilevare, allora , che l’editto accusatorio di cui al capo B) incorpora una contestazione alternativa dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, e tale modalità di enunciazione è consentita, perché non determina alcun vizio di indeterminatezza dell’imputazione (tra le più recenti, cfr. Sez. 5, n. 8902 del 19/1/2021, COGNOME, Rv. 280572). Segnatamente, sono state addebitate, a tale titolo alternativo, l’omessa esibizione del libro degli inventari al 31/12/2011; l’omessa esibizione del registro dei cespiti ammortizzabili relativo al 2010; e una irregolare scritturazione del registro degli inventari del 2010, perché ‘sprovvisto delle descrizioni analitiche delle singole attività e passività’ ; all’ascrizione delle condotte è seguito il rimprovero dei relativi effetti, con la dizione ‘così da non permettere al curatore la ricostruzione del patrimonio o del volume degli affari’.
E’ necessario sgombrare il campo dal rilievo sul quale più volte ha insistito l’atto di ricorso a proposito di un preteso travisamento della prova con riferimento all’omessa ostensione del registro degli inventari del 2011, perché infondato. Il registro degli inventari del 2011 è stato bensì allegato alla nota di consegna della contabilità dell’aprile 2013, controfirmata dal curatore, ma la lettura della relazione redatta ai sensi dell’art. 33 L.F. , resa disponibile tra gli atti compiegati al ricorso per cassazione, consente agevolmente di arguire che si è trattato di una scrittura totalmente in bianco (pag. 8: ‘ libro composto di 97 pagine, numerate dalla n. 2011/4 alla n. 2011/100 completamente bianche’ );e l’ omessa tenuta, anche parziale, delle scritture contabili, comprende non solo la mancata istituzione di uno o più libri contabili, ma anche l’ipotesi della materiale esistenza dei libri “lasciati in bianco ‘ (sez.5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv.287175).
2.2. A ll’imputato sono state dunque attribuite due condotte ‘omissive’, consistenti entrambe in una ‘omessa esibizione’ di libri contabili, alla quale è equiparata l” omessa tenuta ‘ delle scritture, che può tradursi -come detto -nella mancata tenuta tout court , o nella consegna agli organi fallimentari di scritture lasciate ‘in bianco’ . L”omissione’ (della compilazione) connota l”inesistenza’ degli adempimenti contabili ; essa è stata ritenuta equivalente alla sottrazione o all’occultamento di scritture esistenti e non consegnate al curatore, riconducibile , cioè, alla prima fattispecie (c.d. ‘specifica’) , contemplata dall’art. 216 primo comma n. 2, prima ipotesi, del R.D. n. 267 del 1942, che si realizza con la sottrazione, distruzione o falsificazione materiale (totale o parziale) dei libri e delle altre scritture contabili e richiede il dolo specifico rappresentato dallo scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (sez.5, n. 18320 del 07/11/2019, COGNOME, Rv.279179; sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, COGNOME, Rv. 252992; sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, COGNOME, Rv. 244494).
2.3. La seconda fattispecie (c.d. ‘generale’), di cui all’art. 216 primo comma n. 2, seconda ipotesi, del R.D. n. 267 del 1942 è integrata dalla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita; questa ipotesi, diversamente dalla prima, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza attraverso una falsità (non materiale ma) ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali (‘ in guisa da non rendere possibile …’) descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 278321); sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904). La locuzione caratterizza infatti la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico (Sez. 5, n. 2439 del 05/11/2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 21872 del 25/3/2010, COGNOME, Rv. 247444; Sez. 5, n. 15743 del 18/1/2023, COGNOME, Rv. 284677); il dolo generico riposa nella coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda o possa rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore e non esige necessariamente lo scopo di trarne un ingiusto profitto o di provocare nocumento ai creditori (Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, COGNOME, Rv. 268867; Sez. 5, 8 giugno 2010, n. 21872, COGNOME; Sez. 5, 23 febbraio 2006, n. 6769, COGNOME; Sez. 5, 28 giugno 2005, n. 24328, COGNOME; Sez. 5, 3 dicembre 2004, n. 46972, COGNOME; Sez. 5, 5 maggio 2004, n. 21075, COGNOME; Sez. 5, 22 agosto 2001, n. 31356, COGNOME; Sez. 5, 16 febbraio 2000, n. 5905, COGNOME).
2.4.Vi è, inoltre, da tener presente l’ulteriore distinzione tra il reato di bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico -art. 216 comma 1 n. 2, seconda parte, L.F. -e il reato di bancarotta documentale semplice nella forma della tenuta ‘irregolare o incompleta’ delle scritture contabili, di cui all’art. 217 comma 2 L.F..
Sotto il profilo oggettivo, . L’accertamento di tale evento non è dunque necessario ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 217 L.F. , i cui elementi essenziali sono rappresentati da omissioni, irregolarità o errori formali nelle registrazioni, comunque inidonei a compromettere la completezza o l’attendibilità delle scritture, che consentono l’intellegibilità dell’effettivo contenuto e del significato dei dati annotati (Sez. 5, n. 32051 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 260774; Sez.5, n. 11390 del 09/12/2020, COGNOME, Rv.280729). Si è anche precisato che nella bancarotta documentale semplice viene in rilievo l’aspetto meramente
formale dell’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge, mentre nella bancarotta fraudolenta è posto in risalto un profilo sostanziale, atteso che, da un lato, l’illiceità della condotta non è circoscritta alle sole scritture obbligatorie per legge, riguardando tutti i libri e scritture contabili genericamente intesi, e, dall’altro, è richiesto il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, invece, gli arresti di questa Corte sulla questione oggetto di interesse si esprimono nel senso di ritenere che, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall’art. 216, comma 1, n. 2, seconda parte, R.D. n. 267/1942, l’elemento soggettivo del reato deve essere individuato nel dolo generico, che si traduce nella consapevolezza che l’omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili renda impossibile, o potrà rendere impossibile, la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore, per la bancarotta semplice prevista dall’art. 217, comma 2, R.D. n. 267/1942, il coefficiente di attribuibilità psichica della condotta dev’essere sostenuto indifferentemente dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili obbligatorie per legge ovvero le tenga irregolarmente ( ex multis , Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, Pisano, Rv. 274630; Sez. 5, 28 dicembre 2011, n. 48523, COGNOME; Sez. 5, 23 febbraio 2006, n. 6769, COGNOME; Sez. 5, 25 luglio 1991, n. 8081, Minuto).
Insomma, l’amministratore della società fallita che, anche solo per negligenza, abbia omesso, sotto il profilo formale, di tenere o abbia tenuto in modo irregolare o incompleto le scritture contabili obbligatorie per legge ma che, sotto il profilo sostanziale, abbia lasciato comunque traccia di tutte le sue operazioni gestorie, traibile da documenti contabili pur non regolarmente tenuti, in modo tale che a posteriori sia possibile ricostruire sia il patrimonio sia il movimento degli affari, non risponde del reato di bancarotta fraudolenta, ma di quello meno grave di bancarotta semplice. Per contro, l’amministratore di società che non solo non tenga o tenga irregolarmente i libri contabili, ma che non dia evidenza documentale delle operazioni gestorie compiute o conservi, comunque, documentazione contabile inidonea a ricostruire il patrimonio ed i movimenti contabili dell’impresa, risponde, ricorrendo l’elemento soggettivo del dolo generico, del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
2.5.Ne consegue, ai fini del presente scrutinio, che l’omessa esibizione del registro degli inventari del 2011 e l’omessa esibizione del registro dei cespiti (o beni strumentali) ammortizzabili del 2010 può integrare il reato di bancarotta fraudolenta documentale esclusivamente nella forma c.d. a dolo specifico; mentre la terza condotta contestata nel capo B), che si è assunto consumata con la ostensione, alla curatela del fallimento, del registro degli inventari del 2010, sprovvisto della descrizione analitica delle singole attività e passività , è astrattamente compatibile -a differenza delle altre due -con il reato di bancarotta fraudolenta documentale nella forma c.d. a dolo generico (che è altro e un quid minus rispetto al dolo intenzionale, apparentemente contra sez. 5 Gualandri, cit., in motivazione, § 2.3.), purchè sia data congrua dimostrazione della sua ‘influenza’ sulla
possibilità di esauriente ricostruzione del patrimonio o dell’andamento degli affari dell’impresa -con particolare attenzione all’occultamento o alla dissimulazione degli atti depauperativi delle consistenze patrimoniali dell’ente (sez.5, n. 33575 del 08/04/2022, COGNOME, Rv.283659) – e della relativa consapevolezza (anche nei confini della rappresentazione della possibilità di realizzazione del l’evento ) da parte dell’imprenditore.
Orbene, richiamata la disciplina normativa pertinente e rammentati i lineamenti interpretativi tracciati dalla giurisprudenza di legittimità, osserva il collegio che plurime si rivelano le aporìe argomentative enucleabili dal percorso espositivo delle decisioni in esame.
Entrambe le pronunce operano una sorta di non consentita ‘commistione’ tra gli addebiti del capo B) e quelli del capo C), relativo ad una imputazione di bancarotta documentale semplice in relazione alla quale è stata dichiarata l’improcedibilità per prescrizione , convogliando impropriamente nell’alveo del la riprovazione del capo B) una serie di lacune contabili che il pubblico ministero aveva riservato al perimetro della bancarotta semplice (l’assenza delle annotazioni del libro giornale dal 1 gennaio 2013 al fallimento, l’irregolarità del libro giornale del 2012 quanto alle annotazioni di apertura e chiusura); declinano il ragionamento probatorio con attinenza esclusiva alla figura incriminatrice della bancarotta fraudolenta documentale c.d. generica, inconciliabile con l’omissione totale delle scritturazioni del libro degli inventari del 2011 e del registro cespiti del 2010; non chiariscono, neppure a riguardo della residua irregolarità del libro inventari del 2010 , gli indici di ‘fraudolenza’ che devono connotare l’elemento oggettivo del reato, ed anzi la sentenza di primo grado (pag.13), invero senza rilievi da parte della Corte territoriale (pag.15) , veicola l’attenzione sull a anomalia contabile della nota di credito di 19.000 euro e sulla annotazione della minusvalenza, appostate peraltro nel 2012 e che, per un verso, in quanto manifeste, hanno contribuito a formare la prova della distrazione e, per altro verso, sono estranee all’oggetto della contestazione; la decisione impugnata si limita a citare, per contrastare i motivi di appello, l’operazione distrattiva del veicolo di marca Ferrari senza dar conto della concreta strumentalità, od utilità, delle eventuali manipolazioni contabili al suo perfezionamento o al suo occultamento, perché vi riconnette genericamente la mancata consegna del libro giornale -attribuita a titolo di bancarotta semplice nel capo C) -e la mancata consegna del libro cespiti, che avrebbe dovuto essere associata ad altra forma di dolo e che, per il 2012, è stato messo a disposizione del curatore fallimentare; mentre, per converso, non fa menzione (al pari del primo giudice) delle irregolarità del registro degli inventari , che avrebbe dovuto essere redatto con l’analitico dettaglio di attività e passività, a norma dell’art. 2217 cod. civ. e dell’art. 15 del D.P.R. n. 600 del 1973. Sarebbe stato indispensabile, in tale scenario, uno scrupoloso approfondimento dei dati di fatto e delle emergenze probatorie nella prospettiva di un compiuto raffronto con la tipicità delle varie forme di bancarotta documentale di cui agli artt. 216 e 217 L.F., perché l’imputato, con eccezione della vicenda dell’alienazione dell’autovettura di pregio, è stato prosciolto dalle residue incolpazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di ricorso abusivo al credito (per un caso similare, v. sez.5, n. 26613 del 22/02/2019, COGNOME), e perché,
nell’ambito del medesimo fallimento , sono state contestualmente formalizzate accuse di bancarotta documentale di diverso grado e gravità.
2.6. D ‘alt ro canto, questa Corte si è già espressa nel senso che integri il reato di bancarotta semplice documentale l’imprenditore che tenga in modo sintetico il libro degli inventari, tale da non esprimere in maniera analitica i singoli elementi patrimoniali, rendendo necessario, ai fini della loro ricostruzione, il ricorso al libro giornale ed al mastro dei conti (sez.5, n. 39482 del 27/06/2013, COGNOME, Rv.256324; da ultimo, cfr. anche sez. 5, n. 27703 del 28/05/2024, COGNOME, Rv. 286641); così nella sostanza offrendo avallo alla tesi difensiva che, sul tema della possibilità di rielaborazione dell’andamento gestionale dell’impresa, aveva opposto che i partitari di contabilità risultavano regolarmente consegnati al curatore del fallimento (cfr. infatti pag. 12 relazione del curatore), che dunque avrebbe potuto consultarli ed evincerne i dati necessari a delineare il panorama patrimoniale e finanziario della società fallita. Analogamente, in difetto di appagante illustrazione degli indicatori di fraudolenza che connotano il delitto di bancarotta documentale di cui all’art. 216 primo comma n. 2), prima o seconda ipotesi, del r.d. n. 267 del 1942, l’omessa tenuta del registro degli inventari del 2011 e del registro dei beni ammortizzabili del 2010 (scrittura obbligatoria per la natura dell’impresa, ex art. 2214 comma 2 cod. civ. , perché espressamente prevista per le società soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ai sensi degli artt. 13 e 16 del D.P.R. n. 600 del 1973; cfr. anche s ez.5, n. 7904 del 27/06/1997, COGNOME, Rv.208320 ) avrebbero potuto ritenersi integrare il delitto di bancarotta documentale semplice di cui agli artt. 217 comma 2 e 224 L.F. (sez.5, n. 20061 del 06/11/2014, COGNOME, Rv. 264071), esse potendo consistere nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 cod. civ.), che integra un reato di pericolo presunto e di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori (in motivazione, sez.5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino).
3.La sentenza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, perché provveda a colmare le carenze della motivazione così evidenziate a riguardo di entrambe le imputazioni per le quali è stata pronunciata condanna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Così deciso in Roma, 05/09/2025
Il consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME