Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2350 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2350 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a ADRO il 29/10/1956
COGNOME nato a ADRO il 09/09/1953
avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME
OCCHIPINTI;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOMEche ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza pronunciata dal GUP del Tribunale di Brescia, del 11/01/2022, che aveva ritenuto NOME COGNOME NOME e COGNOME Battista responsabili dei reati, loro in concorso ascritti, di bancarotta fraudolenta per distrazione aggravati da più
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fatti di bancarotta e dal danno rilevante e, riconosciute per entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alle contestate aggravanti, e per il COGNOME alla recidiva, condannava NOME alla pena della reclusione di anni due e COGNOME Battista alla pena della reclusione di anni due mesi sei, oltre pene accessorie. Con il beneficio della sospensione condizionale della pena per NOME.
I ricorrenti sono stati condannati per avere, COGNOME quale amministratore unico dalla data di costituzione fino al 26 luglio 2011 e COGNOME quale liquidatore, dal luglio 2011 al 29/04/2013, data del fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE in liquidazione”, distratto e dissipato la complessiva somma di euro 566.974, corrispondente a finanziamenti a titoli gratuito erogati e al valore di lavori eseguiti nei confronti di altra società, RAGIONE_SOCIALE, riconducibile ai medesimi imputati, oltre che al valore di lavori eseguiti presso l’abitazione della medesima COGNOME (per un importo di euro 189.646) per i quali non era stato mai richiesto il pagamento. Gli esborsi risultavano effettuati allorquando lo stato di dissesto della società era già noto da tempo (dal 2008) e al fine di recare pregiudizio ai creditori per procurare a sé un ingiusto profitto.
2.Gli imputati, per il tramite del loro unico difensore, in persona dell’avvocato NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con primo motivo di ricorso censurano la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestato al capo A) deducendo l’insussistenza degli elementi costitutivi dello stesso. Le operazioni contestate come condotta distrattiva in realtà erano state compiute allo scopo di rifinanziare le singole società facenti parte del “gruppo RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile alla medesima famiglia (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE tutte fallite in uno spazio temporale limitato a causa della crisi del mercato immobiliare successiva agli anni 20092010, in assenza della finalità di arrecare pregiudizio ai creditori.
Deduce essersi verificato un “passaggio” di somme infragruppo non idoneo ad integrare una bancarotta, essendo mancato il fine di arrecare pregiudizio ai creditori ma avendo gli imputati agito solo per salvare le società dell’intero gruppo societario (con richiamo a tale proposito di precedente arresto giurisprudenziale). Gli imputati non hanno ottenuto alcun beneficio economico dal trasferimento dalla somma di euro 189.646, corrispondente all’importo dei lavori eseguiti presso l’abitazione della Zacco, dato che la medesima era garante della società e la stessa abitazione è stata venduta all’asta. La condotta era finalizzata a salvare le società non ancora compromesse e magari l’intero gruppo societario, ai sensi dell’articolo 2634 cod.civ. Inoltre, anche la mancata richiesta
di restituzione delle somme versate verso l’altra società non poteva essere considerata come indice di finalità distrattiva, trattandosi di operazioni realizzate in un breve arco temporale e determinate anche dall’improvviso fallimento delle altre società del gruppo dovuta alla crisi del settore immobiliare verificata negli anni 20092010.
2.2. Con secondo motivo denuncia vizi di motivazione relativamente all’elemento soggettivo del reato deducendo essere mancata, negli imputati, la consapevolezza e volontà di determinare un pericolo di danno per i creditori, e non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza e volontà del fatto distrattivo.
2.3. Con terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante del danno di rilevante gravità deducendo la mancanza di prova che la condotta abbia causato un effettivo pregiudizio ai creditori.
2.4. Con quarto motivo censura la sentenza impugnata per vizi di illogicità della motivazione sotto il profilo della mancata applicazione dell’istituto della continuazione rispetto a precedenti condanne riportate dal COGNOME. La Corte d’appello aveva immotivatamente respinto la richiesta sul presupposto che la stessa fosse stata formulata genericamente, senza l’esplicita indicazione delle precedenti condanne per le quali si richiedeva il vincolo della continuazione, pur essendo le stesse ricavabili dal certificato del casellario giudiziale in atti.
Il Procuratore generale ha concluso, con requisitoria scritta, COGNOME chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto è infondato.
1.1.La giurisprudenza della Corte è costante nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado nelle parti in cui la decisione sia conforme: la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep.
2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Pertanto, specie in presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Secondo questa Corte, inoltre, «l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dà luogo ad un vizio di motivazione allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la rado decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01)» ( Sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024).
1.2.Delineate le coordinate ermeneutiche che fissano il confine valutativo del giudizio rimesso a questa Corte, deve osservarsi che il primo motivo di ricorso è infondato in quanto la doglianza difensiva – secondo la quale i versamenti effettuati, da parte della società fallita in favore di altra società dello stes gruppo non ancora compromessa economicamente, non potrebbero integrare distrazione essendosi trattato di mero “passaggio di somme infragruppo”- non tiene conto dell’insegnamento espresso da questa Corte secondo cui «In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la mera partecipazione ad un “gruppo di società”, dovendo invece l’interessato dimostrare in maniera specifica il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata, giacché la destinazione di risorse da una società all’altra, sia pur collegata, integra comunque la violazione del vincolo patrimoniale nei confronti dello scopo strettamente sociale» ( Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, Rv. 277545 – 01). Il che equivale a dire che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la natura distrattiva di un’operazione all’interno del medesimo gruppo può essere esclusa in presenza di vantaggi compensativi, che riequilibrino gli effetti immediatamente negativi per la società fallita e neutralizzino gli svantaggi per i creditori sociali (tra le a Sez. 5, n. 16206 del 02/03/2017, Magno, Rv. 269702). Nella fattispecie in esame, tuttavia, non ricorre alcuno dei presupposti per escludere la natura distrattiva delle operazioni poste in essere dagli imputati, avendo i giudici di
merito, oltre che ritenuto insussistente un collegamento formale tra le società riconducibili alla medesima famiglia Lancini, sottolineato come le operazioni contestate ( consistite nella erogazione di un finanziamento a titolo gratuito in favore della RAGIONE_SOCIALE, per più di 190 mila euro, oltre che nella esecuzione di lavori gratuiti in favore della medesima società e della RAGIONE_SOCIALE, per importi rispettivamente superiori a 180 mila euro) abbiano costituito condotte distrattive in quanto hanno cagionato la concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa con grave pregiudizio per i creditori della stessa fallita. La Corte di appello ha, inoltre, con motivazione concisa ma immune da vizi logico giuridici, evidenziato che la natura distrattiva dell’operazione non può essere esclusa dalla circostanza che il socio avesse concesso garanzie in favore della società, in tal modo correttamente sottintendendo l’irrilevanza della deduzione difensiva, riproposta con il ricorso per cassazione, relativa alla messa all’asta della casa della Zacco, fatta ristrutturare ( gratuitamente) a spese della società fallita.
2. È inammissibile, in quanto generico e ripetitivo, il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in quanto la doglianza non si confronta con la motivazione spesa dai giudici di merito i quali hanno considerato che le condotte poste in essere, tenute quando già il dissesto era noto da tempo e anche nel corso della fase liquidatoria, prive di alcuna ragione giustificativa e sorrette dalla finalità di sottrarre disponibilit creditori della società per farle confluire nel patrimonio di altra società, devono ritenersi riconducibili a dolo, anche tenuto conto del ruolo ricoperto dagli imputati in seno alla società fallita e della certa consapevolezza, da parte loro, delle complessive dinamiche societarie.
3.È manifestamente infondato il terzo motivo con il quale la difesa deduce l’insussistenza della contestata e ritenuta circostanza aggravante del danno di rilevante gravità. Secondo l’insegnamento di legittimità, mentre la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo e non richiede – nell’azione del fallito – la dimostrazione di un danno reale ai creditori, essendo integrata anche soltanto con la mera messa in pericolo degli interessi creditori, senza necessità di un pregiudizio, questo – ove sussistente in termini di rilevante gravità – può integrare l’aggravante in esame (Sez. 5, n. 11633 del 08/02/2012, Rv. 252307). Il parametro al quale, poi, ancorare il rilevante pregiudizio non può essere quello (o meglio esclusivamente quello) dell’entità del passivo o della differenza tra attivo e passivo, bensì quello (ovvero anche quello) della diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta; pertanto, il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non si riferi singolo rapporto che passa tra fallito e creditore ammesso al concorso, ne’ a
singole operazioni commerciali, o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione – non percentuale, ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 1, n. 1 del 10/10/2000, Rv. 217403; Sez. 5, n. 8690 del 27/04/1992, Rv. 191565; Sez. 5, n. 48203 del 10/07/2017 Rv. 271274).
In definitiva, in ossequio alla lettera della norma e al principio di offensività, rilevare è l’entità delle conseguenze pregiudizievoli sui creditori del fallito, al di dell’entità in sé del passivo fallimentare o dell’ammontare dei beni distratti (Sez. 5 , n. 24216 del 24/02/2021, Rv. 281578 – 01). Nel caso in esame, la sentenza impugnata si muove nel solco segnato dalle superiori indicazioni ermeneutiche essendo stata correttamente ancorata la circostanza in esame all’entità complessiva delle distrazioni accertate pari a 570.000 euro ed essendo, peraltro, irrilevante la circostanza che in sentenza l’ammontare delle distrazioni sia stato indicato in un importo pari ad un milione di euro, considerata l’assenza di deduzioni specifiche al riguardo.
È inammissibile la censura formulata con ultimo motivo di ricorso, concernente il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione fra i fatti accertati nel presente procedimento ed altri oggetto di diversi autonomi procedimenti penali, in quanto disancorata dalle argomentazioni spese dalla Corte di appello, sul punto, che ha respinto la richiesta per la genericità della stessa, in coerenza con l’insegnamento di questa Corte secondo cui « in tema di reato continuato, la parte che intende beneficiare della relativa disciplina in grado di appello ha l’onere di allegare, ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen., elementi specifici e concreti a sostegno della richiesta, non essendo sufficienti, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, né la mera produzione delle sentenze relative alle condanne di cui si chiede l’unificazione “quoad poenam” ex art. 81, comma secondo, cod. pen., né la generica istanza di riconoscimento del beneficio.» ( Sez. 3, n. 24052 del 30/05/2024, Rv. 286534 – 01) .
In conclusione i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/10/2024.