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Bancarotta fraudolenta prestanome: la responsabilità

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un amministratore di diritto per bancarotta fraudolenta. La sentenza chiarisce che per la responsabilità del cosiddetto “prestanome” è sufficiente la consapevolezza generica delle attività illecite, senza necessità di conoscere ogni singola operazione. Inoltre, stabilisce che il reato di bancarotta, ai fini della revoca di benefici come la sospensione condizionale, si considera commesso al momento della dichiarazione di fallimento e non al tempo delle singole condotte distrattive. Questo caso evidenzia i gravi rischi per chi accetta ruoli di facciata in società gestite da altri, confermando un orientamento rigoroso sulla bancarotta fraudolenta prestanome.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta prestanome: la Cassazione sulla responsabilità

La figura dell’amministratore prestanome è spesso al centro di complesse vicende giudiziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 34809/2025) torna sul tema della bancarotta fraudolenta prestanome, delineando con chiarezza i contorni della responsabilità penale di chi accetta formalmente una carica societaria senza esercitarla di fatto. La decisione affronta due questioni cruciali: il livello di consapevolezza richiesto per la condanna e il momento in cui il reato si considera commesso, con importanti conseguenze su benefici come la sospensione condizionale della pena.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice. L’imputato aveva ricoperto la carica di amministratore di diritto e poi di liquidatore di una società, dichiarata fallita nel 2017. Le accuse si fondavano su condotte distrattive del patrimonio sociale e sull’aver aggravato il dissesto aziendale omettendo di richiederne il fallimento.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due argomenti:
1. L’assenza di prova del dolo, ovvero della consapevolezza di partecipare alle attività illecite, essendo egli un mero prestanome.
2. L’errata revoca della sospensione condizionale della pena, concessagli in un precedente procedimento. Secondo la difesa, il reato di bancarotta si sarebbe dovuto considerare commesso all’epoca delle condotte distrattive (prima del 2015) e non al momento della dichiarazione di fallimento (2017), il che avrebbe impedito la revoca del beneficio.

La Responsabilità nella Bancarotta Fraudolenta del Prestanome

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto (il prestanome) risponde insieme all’amministratore di fatto per non aver impedito gli illeciti che aveva l’obbligo giuridico di prevenire.

Ai fini della responsabilità, non è necessaria la prova che il prestanome fosse a conoscenza di ogni singola operazione fraudolenta. È sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo compia attività illecite ai danni della società e dei creditori. Questa consapevolezza può manifestarsi anche nella forma del dolo eventuale, ovvero l’accettazione del rischio che tali eventi possano verificarsi.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente valorizzato elementi concreti come il costante agire a stretto contatto con l’amministratore di fatto e l’assidua presenza nella sede sociale. Questi fattori sono stati ritenuti indici sufficienti a dimostrare una consapevolezza, almeno potenziale, della valenza negativa delle operazioni gestionali, rendendo irrilevante la qualifica di mero prestanome ai fini della colpevolezza.

Quando si Consuma il Reato di Bancarotta?

Il secondo motivo di ricorso, ritenuto infondato, ha permesso alla Corte di chiarire un aspetto tecnico fondamentale. La difesa sosteneva che, per la revoca della sospensione condizionale, si dovesse guardare al momento della condotta (prima del 2015) e non a quello della consumazione del reato (dichiarazione di fallimento del 2017).

La Cassazione ha respinto questa tesi. Il reato di bancarotta è un reato di pericolo concreto la cui punibilità è subordinata al verificarsi di una condizione obiettiva di punibilità: la dichiarazione di fallimento. Sebbene le condotte di distrazione del patrimonio siano di per sé offensive per gli interessi dei creditori, esse assumono rilevanza penale solo se e quando interviene la sentenza dichiarativa di fallimento.

Fino a quel momento, l’agente ha la possibilità di “riparare” al danno, reintegrando il patrimonio sociale. Se tale riparazione non avviene, il reato si considera commesso e si consuma nel momento in cui il tribunale dichiara il fallimento. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di revocare la sospensione condizionale, poiché il nuovo reato era stato commesso (nel 2017) dopo il passaggio in giudicato della sentenza che aveva concesso il beneficio (nel 2016).

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso perché infondato in ogni sua parte. Sul primo punto, ha sottolineato che la difesa non si è confrontata adeguatamente con le motivazioni della sentenza d’appello, che avevano ben evidenziato il ruolo attivo e consapevole dell’imputato, al di là della sua qualifica formale. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere sufficiente la generica consapevolezza delle attività illecite, o l’accettazione del rischio che esse avvengano, per integrare il dolo dell’amministratore prestanome.

Sul secondo punto, la Corte ha seguito l’orientamento delle Sezioni Unite, confermando che la dichiarazione di fallimento è una condizione obiettiva di punibilità che rende attuale l’offesa al bene giuridico tutelato. Pertanto, il momento in cui il reato si considera “commesso” ai fini legali, inclusa la revoca di benefici, coincide con la data della sentenza di fallimento. Fino a quel momento, le condotte illecite possono essere neutralizzate da una reintegrazione del patrimonio, dimostrando che il reato non è ancora perfetto.

Conclusioni

La sentenza in commento offre due importanti insegnamenti pratici. In primo luogo, rafforza il monito a non accettare cariche societarie di facciata: essere un “prestanome” non è uno scudo contro la responsabilità penale. La giustizia penale richiede agli amministratori, anche a quelli solo formali, un dovere di vigilanza la cui violazione, anche solo per colpevole disinteresse, può portare a una condanna per bancarotta fraudolenta prestanome. In secondo luogo, chiarisce che le conseguenze di un reato di bancarotta si attualizzano con la dichiarazione di fallimento, un momento che può avere effetti determinanti su altri aspetti della vita giuridica del condannato, come la revoca di una sospensione condizionale della pena precedentemente ottenuta.

Un amministratore ‘prestanome’ risponde di bancarotta fraudolenta anche se non compie materialmente gli atti illeciti?
Sì. Secondo la sentenza, l’amministratore di diritto risponde insieme all’amministratore di fatto per non aver impedito l’evento illecito, avendo l’obbligo giuridico di vigilare e intervenire. È sufficiente la generica consapevolezza delle attività illecite o l’accettazione del rischio che queste si verifichino (dolo eventuale).

Per condannare un amministratore di diritto per bancarotta è necessaria la prova che fosse a conoscenza di ogni singola operazione illecita?
No. La Corte ha specificato che non è richiesta la conoscenza di ogni singola operazione. È sufficiente una ‘generica consapevolezza’ delle attività illecite compiute dall’amministratore di fatto. Nel caso di specie, la presenza assidua in azienda e lo stretto contatto con il gestore di fatto sono stati considerati indici di tale consapevolezza.

Ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena, quando si considera ‘commesso’ il reato di bancarotta?
Il reato di bancarotta si considera commesso e si consuma al momento della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento. Anche se le condotte di distrazione sono avvenute in precedenza, è la dichiarazione di fallimento che attualizza l’offesa e rende il reato penalmente rilevante. Pertanto, è questa data che rileva per valutare se il nuovo reato sia stato commesso entro i termini previsti per la revoca del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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