Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12822 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12822 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME COGNOME nato a ROVATO il 28/09/1970
COGNOME nato a ROVATO il 23/02/1975
avverso la sentenza del 23/04/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1-
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono con unico atto a firma del comune difensore avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia che ne ha confermato la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Letta la memoria depositata dal difensore degli imputati.
Rilevato che i primi due motivi di ricorso, con i quali vengono dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla ritenuta natura distrattiva dei prelievi effettuati dagli imputati ed alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sono inammissibili. I ricorrenti, infatti, non si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza, finendo per confondere il momento in cui si è determinato il dissesto della fallita a seguito del repentino blocco della sua attività a causa dell’incidente sofferto dal COGNOME NOME, con quello, di tre anni precedente, in cui si è manifestato lo squilibrio economico-finanziario della società, negato in maniera solo assertiva dai ricorrenti, che non hanno tenuto conto di quanto invece degli accertamenti compiuti in proposito dal curatore e richiamati dalla Corte territoriale. Situazione questa che aveva reso oggettivamente concretamente pericolosa per gli interessi creditori la prosecuzione della prassi seguita dai due imputati di prelevare in conto utili futuri somme a titolo di remunerazione dell’attività svolta. Remunerazione che la Corte ha escluso avesse una qualche fonte di legittimazione e che nemmeno i ricorrenti hanno saputo indicare, ma che, soprattutto, anche gli stessi imputati erano evidentemente consapevoli di non aver alcun diritto a conseguire, attesa la voce di appostazione contabile dei prelievi, ossia “crediti verso soci per prelievo in conto utili”. In altri termini, in assenza di utili già a partire dall’esercizio del 2009 – e dunque b prima dell’incidente occorso al COGNOME Mauro – i prelievi erano privi di giustificazione, tanto più, come ricordato in sentenza, quelli destinati a quest’ultimo, posto che per la giurisprudenza di legittimità assume natura distrattiva la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritannente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, segnatamente di persone, non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279103). Né a diverse conclusioni può giungersi con riferimento alla posizione del fratello NOME, non risultando che egli fosse dipendente della fallita (né la Corte di Cassazione – copia non ufficiale
difesa lo ha eccepito), mentre l’attività lavorativa prestata nella sua qualità di socio, come correttamente ricordato dai giudici del merito, doveva trovare la propria remunerazione, per l’appunto, proprio nell’eventuale conseguimento di utili da parte della società. Ed in tal senso vieppiù generici si rivelano i ricorsi nella misura in cui omettono di considerare la logica conclusione cui è pervenuta la sentenza, ossia che, in assenza di utili e successivamente anche di ricavi d’esercizio, la retribuzione degli imputati è stata finanziata attraverso la “consumazione” del patrimonio societario ovvero il trasferimento di quanto tratto dalla progressiva liquidazione dello stesso, con evidente danno per il ceto creditorio. Manifestamente infondate sono poi le obiezioni difensive basate sulla convinzione degli imputati di risollevare le sorti aziendali, tanto da stipulare onerosi contratti di leasing, che si risolvono in meri paralogismi, posto che tale convinzione non è incompatibile con la loro coscienza della pericolosità della condotta posta in essere. Manifestamente infondato è infine anche il rinvio a quanto affermato dalla risalente Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, COGNOME, Rv. 253493, pronunzia rimasta, sia prima che successivamente, isolata nella giurisprudenza di questa Corte, per la quale invece l’insolvenza non costituisce l’evento del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (ex multis Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804). Rilevato che conseguentemente deve ritenersi inammissibile anche il terzo motivo, posto che, come detto, i giudici dell’appello hanno attribuito una corretta qualificazione giuridica ai fatti accertati, il che esclude qualsiasi possibilità di configurare diverso reato di bancarotta semplice patrimoniale. Ritenuto, quanto alle doglianze proposte con il quarto motivo con riguardo al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, che quelle articolate dai ricorrenti si rivelano mere censure in fatto, tese a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del merito della decisione dei giudici territoriali.
Rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente irrilevanza del compimento del termine di prescrizione del reato successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi deve poi seguire l condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025