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Bancarotta fraudolenta patrimoniale: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico di un amministratore unico. Il reato è stato configurato per aver distratto fondi dalla vendita di un’imbarcazione e per essersi auto-assegnato immobili societari a un valore notevolmente inferiore a quello reale, a titolo di pagamento del TFR. La Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo provata la volontà dell’imputato di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, nonostante le operazioni fossero avvenute due anni prima della dichiarazione di fallimento.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta Patrimoniale: La Cassazione Conferma la Condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato i principi cardine in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, confermando la condanna inflitta a un amministratore unico di una S.r.l. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere quando le operazioni di gestione aziendale possono sfociare in condotte penalmente rilevanti, anche se compiute a distanza di tempo dalla dichiarazione di fallimento.

I Fatti di Causa: Le Operazioni Sospette

L’amministratore di una società di costruzioni, dichiarata fallita nel marzo 2016, è stato accusato di aver sottratto beni dal patrimonio sociale attraverso due operazioni principali, avvenute nel 2014:

1. La distrazione di 37.000 euro: questa somma derivava dalla vendita di un’imbarcazione di proprietà della società. Sebbene la barca fosse stata venduta, una parte significativa del ricavato non è mai transitata nelle casse sociali.
2. L’auto-assegnazione di due immobili: l’amministratore si era assegnato due immobili di proprietà della società per un valore di 120.000 euro, a fronte di un valore reale di 321.000 euro. L’operazione era stata giustificata come pagamento del suo Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e di altri crediti vantati verso l’azienda.

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano riconosciuto la colpevolezza dell’imputato, condannandolo a quattro anni di reclusione e a pene accessorie, tra cui l’interdizione dai pubblici uffici.
La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le condotte non integrassero il reato di bancarotta. Tra i motivi principali, si contestava che:

* Le operazioni erano avvenute molto prima del dissesto, causato non dalle sue azioni ma dal mancato pagamento da parte di un’altra impresa.
* I 37.000 euro derivanti dalla vendita della barca erano stati usati per pagare rate di un mutuo e stipendi dei lavoratori.
* L’assegnazione degli immobili era finalizzata a salvare i beni da un pignoramento in corso e non a danneggiare i creditori.

L’Analisi della Corte sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale e il Dolo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo i motivi infondati e le decisioni dei giudici di merito corrette e ben motivate. L’analisi della Corte si è concentrata su due aspetti cruciali.

La Distrazione dei Fondi dalla Vendita dell’Imbarcazione

I giudici hanno evidenziato come la difesa non avesse fornito alcuna prova concreta che i 37.000 euro fossero stati effettivamente utilizzati per finalità aziendali. L’esame dei libri contabili e degli estratti conto non mostrava alcun versamento a copertura del mutuo o per il pagamento degli stipendi. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, spetta all’amministratore dimostrare la destinazione dei beni che risultano mancanti. La semplice affermazione, priva di riscontri documentali, non è sufficiente a escludere la distrazione.

L’Assegnazione degli Immobili a Valore Ridotto

Anche la seconda operazione è stata considerata un chiaro atto distrattivo. La Corte ha sottolineato la ‘quasi perfetta corrispondenza’ tra l’importo di uno dei crediti vantati dall’amministratore (circa 36.000 euro) e la somma sparita dalla vendita della barca (37.000 euro), vedendovi un ‘indice di fraudolenza’. L’assegnazione di beni a un valore nettamente inferiore a quello di mercato, anche se a fronte di crediti legittimi, costituisce una diminuzione ingiustificata del patrimonio sociale a danno dei creditori.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha stabilito che per configurare il dolo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza né lo scopo specifico di danneggiare i creditori. È sufficiente il cosiddetto ‘dolo generico’, ovvero la coscienza e la volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia per le obbligazioni contratte.

Nel caso di specie, l’amministratore, sottraendo beni alla società, ha consapevolmente impresso loro una destinazione estranea agli interessi aziendali. Inoltre, i giudici hanno smontato la tesi della mancanza di difficoltà economiche al momento dei fatti, citando una comunicazione dello stesso amministratore all’assemblea dei soci in cui ammetteva ‘l’impossibilità per la società a soddisfare la richiesta [di pagamento di TFR] con mezzi ordinari’. Questo dimostra che l’amministratore era pienamente consapevole della fase di difficoltà che l’azienda stava attraversando, ben prima della formale dichiarazione di fallimento.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza ribadisce la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta la gestione del patrimonio sociale in prossimità di una crisi d’impresa. Le implicazioni per gli amministratori sono chiare:

1. Onere della prova: è l’amministratore a dover provare, con documentazione certa, la destinazione di ogni bene o somma di denaro usciti dal patrimonio sociale.
2. Irrilevanza del momento: compiere atti distrattivi anche anni prima del fallimento non esclude il reato, se all’epoca era già percepibile una situazione di difficoltà finanziaria.
3. Valutazione degli asset: la cessione o l’assegnazione di beni societari a valori non congrui è considerata un’operazione anomala e un forte indizio di distrazione.

La decisione sottolinea l’importanza di una gestione trasparente e documentata, specialmente nei momenti di crisi, per evitare di incorrere nel grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Quando si configura il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale?
Si configura quando un amministratore, con coscienza e volontà, destina i beni del patrimonio sociale a finalità diverse da quelle aziendali, sottraendoli così alla garanzia dei creditori. Non è richiesta la specifica intenzione di danneggiarli né la consapevolezza dello stato di insolvenza.

Può un amministratore giustificare la mancanza di beni sostenendo di averli usati per scopi aziendali, come pagare stipendi o mutui?
Sì, ma deve fornire prove concrete e documentali di tale destinazione. Secondo la Corte, la semplice affermazione non è sufficiente; in assenza di una chiara smentita emergente dagli elementi probatori, la mancanza di beni nel patrimonio del fallito costituisce prova della distrazione.

Compiere un’operazione distrattiva molto prima della dichiarazione di fallimento esclude il reato?
No. La sentenza chiarisce che anche operazioni avvenute due anni prima del fallimento possono costituire reato se, al momento dell’atto, l’amministratore era consapevole di una fase di difficoltà della società, tale da compromettere la garanzia per i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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